EX MANICOMIO DI VOLTERRA, L'INFERNO SULLA COLLINA
L’ex Manicomio di Volterra è sorto tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo dalla trasformazione dell’ospizio di mendicità per i poveri ex convento di San Girolamo. Si è chiamato in svariati modi: Asilo dei Dementi (1888); Frenocomio di San Girolamo (1902); Ospedale Psichiatrico di Volterra (1934), Consorzio Interprovinciale dell'Ospedale Psichiatrico di Volterra (1963). Nel 1896 fu dato incarico all’ingegner Luigi Filippo Allegri di predisporre il progetto per un vero e proprio manicomio. Nell’aprile del 1900 la Congregazione di carità decise di affidare l’incarico di Direttore dell’Asilo dei dementi all’illustre Psichiatra Luigi Scabia, che cercò da subito di stipulare convenzioni con altre province per l'arrivo di pazienti. Negli anni 30 i malati provenivano ormai da svariate province: Como, Pisa, Livorno, La Spezia, Savona, Imperia, Viterbo, Nuoro, Rieti e Roma.
Le presenze raggiunsero il massimo di 4.794 internati nel 1939. Il progressivo aumento dei ricoverati rese necessario l'ampliamento della struttura con la creazione di nuovi padiglioni per accoglierli. Gli edifici prendevano il nome dei più celebri studiosi e alienisti del tempo: il Kraepelin, il Krafft-Ebing successivamente intitolato a Luigi Scabia. Dal 1926 al 1935 vennero portati a termine lo Charcot ed il Ferri per i pazienti “semi agitati e agitati”.
Il complesso era organizzato secondo lo schema del villaggio a padiglioni reso quasi del tutto autosufficiente dalla presenza di lavanderia, panificio, laboratori artigianali, falegnameria etc. Nel 1948 ci fu la creazione di una sezione medico-psicopedagogico, destinata poi alla rieducazione dei minorenni. A tale scopo vennero utilizzati i padiglioni Bianchi e Chiarugi, gli ultimi costruiti (tra il 1936 e il 1937). La direzione venne affidata ad un funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia.
All’interno dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra fino al 1963 venne applicata senza riserve la legge n. 36 del 1904, strutturando così un rigido custodialismo all’interno dell’Ospedale abbandonando le idee di Scabia orientate verso il "no-restrainct" e l'"ergoterapia".
Si rafforzò la struttura di tipo gerarchico ed era il primario che impartiva gli ordini a tutti. Il personale eseguiva tali ordini senza alcun tipo di rapporto con i pazienti. Dal regolamento interno: “Gli infermieri non devono tenere relazioni con le famiglie dei malati, darne notizie, portar fuori senz’ordine lettere, oggetti, ambasciate, saluti; né possono recare agli ammalati alcuna notizia dal di fuori, né oggetti, né stampe, né scritti.”
Il clima era carcerario”. Gli infermieri venivano chiamati “guardie” o “superiori”, le finestre dei reparti erano protette da sbarre che di notte venivano chiuse a chiave. Le lettere che i pazienti scrivevano ai familiari, durante la loro degenza in ospedale, non venivano consegnate alle famiglie, ma semplicemente raccolte nelle cartelle cliniche.
Significativa la testimonianza della Dott.ssa Signorini, psicologa i cui genitori lavoravano nel manicomio, il padre come guardia e la madre come infermiera: “Le guardie o sorveglianti eseguivano quanto gli veniva detto dai primari psichiatri. Mio padre mi ha sempre detto che spesso non riusciva a capire la modalità di trattamento della malattia mentale basata sulla contenzione a letto, l’elettroshock e i bagni freddi. Successivamente furono inseriti i primi farmaci antipsicotici in via sperimentale, e nel 1955 furono introdotte le nuove terapie basate sugli psicofarmaci tipo clorpromazina …”
Dal 1963 si iniziarono i passi verso una riforma per arrestare il rigido regime che si era instaurato. Le necessità erano quelle di: rompere il verticismo, sensibilizzare il personale; stabilire delle regole di vita dei pazienti decise in modo comunitario in base alle singole situazioni. Nel 1977 all’interno dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra erano ancora ricoverate 630 persone. Nel 1978, con l’entrata in vigore della legge n.180, il manicomio venne progressivamente chiuso e i degenti progressivamente dimessi. Parte delle strutture furono riorganizzate per accogliere gli ex degenti in attesa di acquisizione di un minimo di autonomia e di un reinserimento sociale, sul modello di quelle che oggi sono le “case famiglia”. Altre definitivamente chiuse.
Venne poi pubblicato il libro Corrispondenza negata, contenente le lettere integrali scritte dai ricoverati ai familiari e mai spedite alle famiglie. Queste lettere sono un patrimonio inestimabile di conoscenza, testimoniano la vita che si svolgeva nel manicomio ed il tipo di pazienti che vi finivano. Molti al suo interno avevano una storia assai bizzarra. Il più celebre è sicuramente Ferdinando “Oreste” Nannetti
FERDINANDO ORESTE NANNETTI
Ferdinando Nannetti, conosciuto come NOF 4, nome con cui egli stesso si faceva chiamare, nacque a Roma il 3 ottobre 1927 da Concetta Nannetti e padre ignoto. Fu rinchiuso a dieci anni in un ospedale psichiatrico e, dopo essere stato rilasciato, fu di nuovo ricoverato a Roma per un oltraggio a pubblico ufficiale e poi spostato nel 1958 a Volterra dove vi è rimasto fino alla morte avvenuta il 24 gennaio 1994. Fu seppellito nel cimitero del manicomio. Scrisse molte lettere a parenti o persone immaginarie firmandosi spesso come Nanof, Nof o Nof 4; tali iniziali stavano ad indicare il suo nome: Nannetti Oreste Ferdinando e quattro era il numero di matricola che gli era stato attribuito all’entrata nel manicomio. Era rinchiuso nel padiglione Ferri perché ritenuto schizofrenico pericoloso e nella sua permanenza al Ferri incise sul muro esterno dell’edificio una serie di graffiti con la fibbia della cintura, una storia con raffigurazioni lunga circa 180 metri e alta due, di difficile interpretazione. Oggi i graffiti sono assai deteriorati e molti sono andati distrutti. Può essere definito un’artista d’avanguardia dell’arte murale.
PADIGLIONE FERRI
Il Ferri si chiama così in onore del celebre criminologo Enrico Ferri. Fu costruito nella zona denominata Poggio delle Croci nel 1930 è un edificio a pianta a C che si sviluppa su due piani. Era il padiglione dedicato alla sezione criminale, cioè ai malati di mente adulti maschi che avevano commesso crimini e dunque erano considerati pericolosi. In termini odierni sarebbe stato lo psichiatrico giudiziario (ex OPG). Aveva pertanto una alta cancellata ed un posto di guardia agli ingressi, cancellata che fu poi eliminata negli anni settanta.
PADIGLIONE CHARCOT
Edificio di notevoli dimensioni, a pianta longitudinale su tre livelli, costruito nel 1927 sul Poggio delle Croci. Non distante dal Ferri, era una sorta di sua succursale. Fu il primo padiglione del complesso di Volterra ad avere un sistema di riscaldamento.
Il pianterreno era occupato dal refettorio, dal parlatorio, da ambulatori nonché da alcune camerate per i pazienti. Il primo piano era occupato dalle camerate. I sotterranei erano dedicati a locali di servizio e dalla “sala degli aranci” un grande ambiente dedicato agli eventi, feste come il “carnevale dei matti” voluto dal direttore Scabia. Lo Carchot era circondato da un ampio parco in cui c’erano panchine, gazebo ed aree per lo svago all’aria aperta dei pazienti. Negli anni 50 venne aggiunto un campo di calcio ancora esistente.
PADIGLIONE MARAGLIANO
Il Maragliano insieme al Ferri e allo Charcot, completa il gruppo di padiglioni (almeno quelli degni di nota) che occupa il Poggio delle Croci. Costruito nel 1933 era un sanatorio, la sezione dei pazienti con patologie psichiatriche affetti dalla tubercolosi. Più piccolo del Ferri e dello Charcot è a pianta rettangolare su due livelli con due piccole ali a portico.
PADIGLIONE NEUROLOGICO
Grande edificio a due livelli che occupa la parte bassa del poggio delle croci; ospita al suo interno ancora molti arredi e testimonianze. Non presenta grate alle finestre e crediamo fosse adibito ad ambulatori e degenze ordinarie.
PADIGLIONE CHIARUGI
Costruito nel 1937 fu inizialmente occupato dalla sezione femminile e dal 1966 divenne sezione minorile. Si tratta di un edificio molto grande su quattro livelli, oggi in condizioni molto precarie di conservazione.
PADIGLIONE SCABIA
Uno dei padiglioni più antichi, costruito nel 1898 su tre livelli ebbe svariate destinazioni. Presenta una bellissima scultura nel cortile delle scale: l’albero delle luci. E' stato quasi completamente svuotato.
IL CIMITERO
Il manicomio disponeva anche di un proprio cimitero, poiché i ricoverati non potevano essere sepolti insieme ai “civili”. Completamente lasciati a sé stessi in vita e anche nella morte, non è stata concessa nemmeno una degna sepoltura. Anch'esso abbandonato ed in stato di degrado. Luigi Scabia, che fu Direttore del Manicomio fino al 1934, è stato seppellito, per sua volontà, in questo cimitero. Il complesso è allocato nella zona denominata San Finocchi.
COSA RIMANE: ESPLORARE VOLTERRA
Il manicomio di Volterra fa parte, insieme agli altri manicomi d’Italia, di un’esperienza e di un’epoca fortunatamente conclusasi e di cui hanno fatto le spese migliaia di persone, spesso assolutamente sane di mente, colpevoli solo di essere disagiate, sole, prive di protezioni o dal carattere e comportamento non conforme ai costumi dell’epoca. Ne ricordiamo una su tutte: la poetessa Alda Merini. Tutte queste persone non venivano curate, ma messe in custodia senza avere colpe e senza avere più diritti. Se il criminale poteva contare sul sistema giustizia e sulla certezza della pena, il malato di mente era rinchiuso in manicomio sine die. Il fine originale dei manicomi era la cura e il reinserimento dei malati; tuttavia progressivamente i manicomi abbandonarono completamente la veste di “ospedali” per indossare quella di luoghi di custodia che avevano il principale compito di eliminare alla vista della “società dei sani” ciò che era considerato un fastidio, un problema o un abominio. In definitiva finì per essere un orribile carcere tomba, dove si veniva completamente annientati e dimenticati. Dietro i cancelli c’era un mondo parallelo fatto di abusi, sperimentazioni folli sulla pelle dei malati, solitudine e disperazione. E chi non era pazzo lo diventava certamente.
Cosa rimane di quell’epoca? Giganteschi villaggi fantasma in cui si può agevolmente intuire tutto il dolore di cui sono stati testimoni. Oggi l’ex manicomio di Volterra è testimone privilegiato di tutto ciò, decadente e da decenni in stato di abbandono.
Perché allora addentrarsi in un luogo del genere? Come ha scritto qualcuno, questi luoghi sono la storia e la vita di individui come noi che non vanno assolutamente dimenticati. Va mantenuta viva la loro memoria perché non capiti ad altri quello che è capitato di patire a loro. Senza la memoria la storia si ripete.
Percorrendo gli oscuri corridoi si prova una profonda angoscia. La sensazione è proprio quella di essere un carcere di massima sicurezza. Le pesanti cancellate ormai arruginite, i lunghi claustrofobici corridoi e le sbarre alle finestre non richiamano un luogo di cura e recupero. Non è difficile immaginare la tensione, le urla dei pazienti, l’acre odore di sudore ed escrementi che spesso non venivano rimossi dal pavimento o dai letti. I padiglioni hanno assunto un aspetto ancor più sinistro di quello che avevano quando erano in funzione, avviluppati in una rigogliosa vegetazione cresciuta ovunque, scarnificati e decolorati dall'oblio, dai ripetuti crolli e fessurazioni. Tutta la collina è oggi un gigantesco monumento alla follia e all’ipocrisia umana.
UN RIGRAZIAMENTO AD ASYA GARBINI
L'esplorazione è stata fatta nel rispetto dei luoghi e degli eventuali cartelli di divieto presenti. Nessuna intrusione in luoghi protetti da chiusure, barriere, cancelli o in presenza di divieti è stata fatta. Nulla è stato toccato e/o prelevato.
IL PRESENTE ARTICOLO NON COSTITUISCE IN NESSUN MODO UN INVITO O UN INCORAGGIAMENTO ALL'ESPLORAZIONE. I LUOGHI SONO FATISCENTI E PERICOLOSI. CHI LO FACESSE, SE NE ASSUME OGNI CONSAPEVOLE RISCHIO. AD OGNI BUON CONTO RICORDATE SEMPRE LA REGOLA "LEAVE ONLY FOOTPRINTS AND TAKE ONLY PHOTOS", LASCIATE SOLO IMPRONTE E NON PRENDETE NULLA SE NON IMMAGINI.