EX COTONIFICIO

LA PRYPIAT DEL TESSILE

Il cotonificio, fondato agli inizi del XX secolo e che prende il nome dal suo fondatore Giovanni Losa, è stata una fabbrica modello che ha dato lavoro a tantissime persone. Ha funzionato fino agli anni novanta, attraversando praticamente tutto il novecento per poi entrare in crisi, chiudere e non riaprire più. Nel 2013 ha subito un sequestro preventivo per inquinamento delle falde acquifere; nella fabbrica risultavano ancora presenti 300.000 litri di olii minerali e altri materiali potenzialmente pericolosi, nonostante tutta l'area fosse chiusa da circa vent’anni. 

Ed è proprio questa la caratteristica di questo sito: il fatto che sia tutto come è stato lasciato il giorno in cui l’attività cessò, come se la fabbrica, chiusa regolarmente come ogni giorno, per qualche misteriosa ragione non abbia poi più aperto. Il cotonificio è stato definito la “Pripyat del tessile” e mai una definizione fu più indovinata. A dare questa sensazione è la quantità di macchinari e di materiale che ancora si trova al suo posto nei capannoni, negli uffici ed anche nei di laboratori chimici e di tinteggiatura delle stoffe. Persino la grande villa padronale all’interno della fabbrica ha ancora ogni cosa al suo posto. Tutto congelato nel tempo, una eredità industriale ancora perfettamente leggibile, proprio come la città di Prypiat abbandonata all’improvviso dopo lo scoppio del reattore della vicina centrale di Chernobyl. Non sappiamo se dopo il sequestro sia stata fatta la bonifica; immaginiamo di sì, visto che sono trascorsi altri dieci anni ma la sensazione che il luogo fornisce è sempre la stessa: quella di un luogo che ha subito un evento imprevisto, improvviso e traumatico al punto che nemmeno che lavorava li immaginasse che non sarebbe più tornato al lavoro. Gli uffici mostrano ancora i contratti, le schede dei lavoranti, i turni, le visite mediche. I capannoni sono pieni dei macchinari e sugli scaffali ancora ci sono i prodotti. Stesso dicasi per i locali dove avveniva la produzione grezza e la tinteggiatura, le anali chimiche. Questo porta subito chiunque a pensare una cosa: questo potrebbe essere un perfetto museo di archeologia industriale che racconta concretamente come si lavorasse in un cotonificio del novecento e come si sia evoluta la produzione negli anni. Invece è tutto tristemente lasciato marcire nell’abbandono. 

Veniamo ora alla nostra esplorazione. Non abbiamo dovuto faticare molto a trovare un ingresso; arrivati davanti al portone di ingresso principale ci siamo accorti che era aperto. La nostra scelta di non entrare mai in luoghi in cui ci siano segni di divieti espressi o barriere che manifestano una qualche volontà, anche non attuale, di impedire l’accesso ci avrebbe, in caso contrario, impedito di godere di uno spettacolo che si è rivelato poi grandioso. La prima cosa che vediamo è un grande atrio, aperto su un lato che immette nell’interno della fabbrica, con due ingressi nel grande edificio di facciata, una a destra e l’altro a sinistra. Nell’atrio campeggia una lapide commemorativa del fondatore Giovanni Losa. C’è anche una bacheca con ancora dentro comunicazioni (una datata 1977 ed un’altra 1985) ed un alloggio di legno per la posta. I locali di entrambe le entrate sono occupati da uffici ancora tutti arredati e stracolmi di documenti. In uno c’è anche una grande cassaforte rovesciata per terra. 

In fondo agli uffici di sinistra c’è una grande vetrata con una porta che lascia intravedere i capannoni della produzione tessile, con enormi tavoli stracolmi di rocchetti di filo di ogni colore. La porta di vetro e ferro purtroppo è bloccata dalla ruggine e dalla sporcizia. Dobbiamo tornare nell’atrio e entrare dall’interno; la cosa è facile perché anche tutte le porte dei capannoni sono aperte. Trascorriamo del tempo fotografando avidamente l’interno del capannone, lunghissimo e pieno di ogni possibile macchinario e mercanzia: dai tanti tavoli con le vecchie macchine da cucire Singer, alle distese di rocchette e fusi di cotone colorato, a grandi telai a macchine di cui non riconosciamo la funzione. Ci sono anche grandi magazzini sui cui scaffali la merce è accatastata in modo caotico. Anche il pavimento è ingombro di tessuti, filati, fazzoletti ancora nelle loro confezioni. Delle grandi bilance interrompono la monotonia dei tessuti con il loro lucido acciaio.

Usciamo da questi capannoni ed entriamo in altri identici posti di fronte e ci accorgiamo di quanto grande fosse questa fabbrica. Dentro facciamo un incontro: una coppia di urbexer tedeschi. In questi locali crediamo, anche dai tanti macchinari presenti, che ci fosse la fase della produzione primaria, dove si lavoravano le materie prima e si creasse il semilavorato: un vero paradiso per gli amanti della foto industrial! Vera chicca è un laboratorio chimico intatto, ma marcio e assai decadente, cosa che incontra molto i miei personali gusti. In un attiguo capannone immerso nella semioscurità ci sono scaffali e scaffali pieni di schede perforate per telai in bell’ordine. Questo genere di telaio inventato da Jacquard costituisce l’antenato del calcolatore automatico o computer; ha semplificato e velocizzato la produzione di disegni anche molto complessi. Basta un solo operaio per far funzionare il telaio, senza bisogno di qualcuno che sposti i fili: il telaio jacquard lo fa in automatico. La prima macchina in grado di svolgere un lavoro ripetitivo in modo automatico.

IL LABORATORIO CHIMICO

L'ARCHIVIO DELLE SCHEDE PERFORATE

Nonostante tutto quello che abbiamo già visto, le sorprese non sono affatto finite. Sul fondo della fabbrica, lato destro rispetto all’atrio, nascosta alla vista del mondo esterno, c’è una bella villetta un tempo abitata con ogni probabilità dalla famiglia proprietaria del cotonificio. Oggi ha un aspetto spettrale con il suo intonaco giallo ormai sporco e cadente e le tende strappate alle finestre. L’ingresso è spalancato e quindi anche la casa è visitabile. Ha ancora gli arredi ma è in uno stato abbastanza avanzato di marcescenza, sporcizia e disordine. Sembra davvero di essere sul set di un film horror. Al pianterreno ci sono: una vecchia cadente cucina, sul cui soffitto si sono impiantate gigantesche radici di qualche rampicante simili a capelli castani di un essere mostruoso nascosto nella muratura; alcuni salottini hanno il pavimento pieno di libri e vecchi documenti; un grande e tetro salone con tende di velluto nero, un vecchio pianoforte ed un bizzarro divano dal sapore assai retro, sormontato da una struttura di legno e specchi in cui sono incastonati ovali con ritratti di personaggi femminili. Questa villa è una esplorazione nella esplorazione tanto è bella ed inattesa! Saliamo al piano superiore con grande curiosità e qui troviamo svariate camere da letto con tutto il mobilio e gli armadi ancora pieni di effetti personali nonché un vecchissimo bagno. C’è poi un ulteriore piano più piccolo usato come soffitta con vecchi mobili e alcune macchine da cucire.


È tempo di uscire da questa fabbrica, come sempre con le mani vuote e le schede piene di belle immagini, con la consapevolezza di avere visto qualcosa di eccezionale che andrebbe assolutamente recuperato per il suo alto valore storico e culturale. Noi vi diamo appuntamento alla prossima esplorazione qui su Essere altrove.

RINGRAZIAMENTI A PAOLO ED EMILIA DI EFFETTO URBEX 

 

PRENDI SOLO IMMAGINI LASCIA SOLO IMPRONTE

L'esplorazione è stata fatta per un tempo davvero breve, nel rispetto dei luoghi e degli eventuali cartelli di divieto presenti. Nessuna intrusione in luoghi protetti da chiusure, barriere, cancelli o in presenza di divieti è stata fatta. Nulla è stato toccato e/o prelevato. 

IL PRESENTE ARTICOLO NON COSTITUISCE IN NESSUN MODO UN INVITO O UN INCORAGGIAMENTO ALL'ESPLORAZIONE. I LUOGHI SONO FATISCENTI E PERICOLOSI. CHI LO FACESSE, SE NE ASSUME OGNI CONSAPEVOLE RISCHIO. AD OGNI BUON CONTO RICORDATE SEMPRE LA REGOLA "LEAVE ONLY FOOTPRINTS AND TAKE ONLY PHOTOS", LASCIATE SOLO IMPRONTE E NON PRENDETE NULLA SE NON IMMAGINI.

 

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