COMPSA

-              Il parco archeologico di Conza della Campania          -

Chi ha più di quaranta anni, ricorderà quel terribile giorno di tanto tempo fa: il 23 novembre 1980. Alle ore 19.35 un devastante terremoto flagellò tutta la Campania e parte della Basilicata. Cento interminabili secondi che cancellarono per sempre intere comunità. L’epicentro fu nella piana del Sele, tra i comuni di Conza delle Campania, Teora e Castelnuovo di Conza. Questa fu la zona più colpita dal sisma e nomi come Laviano, Calabritto, Pescopagano, Teora, Castelnuovo di Conza, Ariano Irpino, Morra, Sant’Angelo dei Lombardi, Conza riempirono tristemente le cronache quotidiane. Questi paesi furono quasi interamente rasi al suolo e rimasero isolati per giorni, senza acqua, cibo, energia elettrica e soccorsi. Poche, ma coraggiose, squadre locali di vigili del fuoco con pochissimi mezzi a disposizione, Vigili urbani, carabinieri, semplici cittadini scavarono giorno e notte per strappare alla morte i pochi superstiti sepolti vivi sotto le macerie. Si scavava a mani nude o con quei pochi attrezzi a disposizione, nel freddo e nel buio dell’inverno Irpino, invocando gli aiuti che tardavano ad arrivare. L’allora presidente Sandro Pertini in un amaro e celebre discorso televisivo chiedeva perdono e conto dei colpevoli ritardi e della disorganizzazione dei soccorsi. Il terremoto dell’Irpinia dell’ottanta rimane una delle peggiori sciagure vissute dal nostro paese ed ha lasciato un segno ancora visibile nei luoghi e nelle persone su cui quella tragedia si è abbattuta. Non dimenticare quell’evento è un omaggio dovuto ai quasi tremila morti del sisma e non dimenticare questa terra è un dovere verso i vivi che lottano contro l’oblio in cui queste piccole comunità sembrano condannate a rimanere. Gli sforzi di tante amministrazioni locali, tanti studiosi e di tante persone comuni per salvare i loro borghi e ridare speranza ai giovani, che oggi come allora sono costretti a partire per cercare lavoro e un futuro migliore altrove, non trova ancora adeguato sostegno nel potere centrale e regionale.

Ma qualcosa per fortuna sta cambiando. Si dice “aiutati che Dio ti aiuta”. Le ostinate quanto valide iniziative locali stanno creando un nuovo interesse e una nuova visione. La gente di questi luoghi, infatti, non vuole né commiserazione né elemosina, reclama solo la giusta attenzione per una terra che ha tanto da offrire in termini di bellezze naturali, cultura, risorse umane e artistiche. Le comunità hanno cominciato a dialogare fra loro, a valorizzare progetti comuni e di lunghe vedute. Si stanno riscoprendo tradizioni e luoghi per troppo tempo abbandonati. Noi siamo stati i testimoni fortunati di alcuni di questi segnali che promettono bene per il futuro. Mi riferisco, ad esempio, ad Apice Vecchia, la Pompei del 900 che sorgerà nel luogo della città abbandonata per il sisma del 1962; un progetto che potrebbe essere imitato da moti comuni della zona vista la bellezza di molti borghi abbandonati presenti nell’area. Oppure a Castelnuovo di Conza, dove i cittadini si sono riappropriati di quello spazio magico e simbolico della piazza del vecchio paese chiamato “Lu Chiaineddu” (la spianata). Il Falò della notte di San Giovanni della passata estate, che non ardeva da moltissimi anni, è simbolicamente il fuoco che hanno dentro gli abitanti di questo antico borgo e la voglia di rinascita.

Conza della Campania, forse il paese più duramente colpito e divenuto un simbolo del dramma irpino, ha visto nascere qualcosa di veramente bello grazie alla distruzione del vecchio borgo. Le ruspe che spianavano la collina dalle macerie hanno portato alla luce quello che era un antichissimo insediamento campano chiamato Compsa, da cui sembra derivare il nome Conza. Rovine romane, medioevali ed una necropoli tutt’ora oggetto di studio e scavo. Ciò che era nascosto sotto la città ora torna alla luce e regala nuove prospettive, nuovo interesse e nuove speranze. In realtà, si sapeva già della presenza di un antico insediamento e già c’era un progetto di studio di tutta la piana partito nel 1978 e bruscamente interrottosi a causa della catastrofe nel 1980. Ma ciò che ha paradossalmente aperto definitivamente la strada ai rilievi prospettici e agli scavi è stata la quasi totale distruzione del paese. E’ un segno del destino? Noi crediamo di sì. Dalla morte nasce sempre la vita: così è stato in questi luoghi.

Il parco Archeologico di COMPSA sorge esattamente dove prima sorgeva il vecchio abitato di Conza. Si parte da un piccolo piazzale in leggero declivio alla base del colle di Conza. C’è una colonna con una croce che lo rende evidente;  è stata posta nel 1741 e reca lo stemma del comune: un Aquila turrita che poggia sui tre colli di Conza, Ronza e Monte Travaglioso. 

Sulla sinistra ci sono alcuni edifici in rovina dove è stato identificato il vecchio impianto termale romano. Non a caso lì c’è un vecchio fontanile ottocentesco ricavato da un antico sarcofago del IV sec. d.c. con una curiosa iscrizione che permette l’acceso alla tomba solo alla moglie Nevia.

Tornando al piazzale della colonna, c’è il cancello di accesso al parco archeologico. Un lungo viale di pietra corrispondente a qualcuna delle vie della vecchia Conza ormai scomparsa, ci porta fino ad una grande spiazzo dove c’è ciò che rimane della Cattedrale. Tracce e reperti sono un po’ ovunque, ma il cuore di Compsa, il foro, è proprio nel piazzale antistante la Cattedrale Santa Maria assunta in cielo. Si ritiene che il foro di Compsa sorge all’interno dell’arce sannitica preromana. Ciò sarebbe confermato dal ritrovamento di parte della pavimentazione in ciottoli fluviali.  Sono venute a galla la pavimentazione, le scanalature di marmo per lo scolo dell’acqua piovana, diverse iscrizioni. Sulla facciata di un blocco marmoreo si nota benissimo incisa la figura di una vittoria alata poggiante su un globo, che simboleggia dominio sul mondo, e nelle mani una corona di foglie. Questo era il basamento di una statua celebrativa dell’imperatore Costantino, come si intuisce dall’iscrizione presente su un’altra faccia del basamento. 

                          Pavimento a "spiga" di ciottoli di fiume                                                                                      VITTORIA ALATA                                               ISCRIZIONE

Ai lati della Cattedrale vi è un terrapieno ancora da scavare da cui spuntano frammenti ossa umane: tibie, crani, vertebre, rotule, anche il bacino microscopico di un neonato. Abbiamo appreso che alcuni scheletri intatti sono stati spostati in un luogo sicuro, ma continuano ad affiorare molti resti umani 

La Cattedrale di Santa Maria Assunta in cielo, o meglio ciò che ne rimane, fu costruita nel 1344, ma ricostruita più volte a causa dei frequenti terremoti. Ciò che rimane è il frutto dell’ultima ricostruzione del 1736. Il sarcofago con le spoglie del patrono, Sant’Erberto (XII sec.), prima custodito qui è stato portato nella cattedrale del nuovo insediamento. Nella chiesa sono visibili decorazioni di probabile origine bizantina, messe in luce dagli scavi sotto la pavimentazione settecentesca e che hanno rivelato l’appartenenza al periodo romano di parte dei muri perimetrali. Nella parte scavata sotto la pavimentazione settecentesca sono presenti alcune sepolture, tra cui un sarcofago di pietra calcarea, ed un blasone medioevale (tre aquile). 

La Cripta sottostante corrisponde la nucleo più antico della città come testimoniato da alcune iscrizioni latine ed un frammento di affresco databile intorno al I sec. d.c.. All’interno fu ritrovata un’urna in marmo lunense, un  parallelepipedo con decorazione consistente in due aquile affrontate che reggono nel becco le estremità di una ricca ghirlanda di fiori e frutti.

Sulla tabula si legge: (is) M(anibus) D(ecimus) PETRONIVS NIGRINVS F(ilius) ET CAECILIA QVINTIANA CONIVNX FECERUNT

 

< Alla base della muratura del campanile, crollato col sisma, si nota un bassorilievo lapideo che corrispondeva        alla porta dell’urbe. Era infatti posto in origine nella cinta muraria laddove c’era la porta di ingresso. 

 

 

 

 

 

 

 

 Poco distante dalla Cattedrale c’è il Museo che contiene gran parte dei reperti ritrovati. Pannelli esplicativi spiegano la storia di Compsa e degli scavi archeologici. Un bel plastico descrive com’era Conza prima del terremoto. Il tutto è completato da foto storiche di Conza prima e dopo il sisma.

Per un  approfondimento rinviamo alla pagina web della Pro loco,  una miniera di informazioni e di particolari storici:

 www.prolococompsa.it

 

L'ORIGINE DI COMPSA

Qui vogliamo solo raccontare come si è arrivati a spiegare l’origine di Compsa grazie ad un elmo sannita, che non è in Campania bensì nel museo della fondazione Poldi Pezzoli di Milano, di cui c’è solo una foto nel museo del parco archeologico di Compsa. Molte sono state le ipotesi sull’origine del nome. Del resto, se le origini di Conza sono state per molto tempo oscure è perché dei primi secoli della sua storia non si sa molto e devono comunque essere state molto burrascose: un insediamento così importante avrà certamente avuto un ruolo non secondario nelle guerre combattute contro Roma dalle tribù sannitiche. Questo Elmo appartenuto ad un guerriero delle tribù campane riportava una scritta in alfabeto ionico che ha attirato l’attenzione degli studiosi: VEREIA CAMPSANAE METAPONTINAE SUB MAGISTRATU……(nome non leggibile con chiarezza). Lo stato di conservazione dell’elmo ha creato qualche difficoltà nella interpretazione della scritta di cui si riporta la dizione latina, ma grazie ad un seguente restauro si è appurato quanto segue. “L’incisione presenta termini Osci trasferiti nell’alfabeto di Metaponto. L’uso del greco si giustifica da un punto di vista geografico e dalla mancanza di una lingua Osca scritta…” (I Sanniti – G. Tagliamone).

 La Vereia era una sorta di compagnia di ventura a carattere militare legata alla tradizione sannita del ver sacrum. I giovani maschi dovevano cercare nuove terre e colonizzarle nel ventesimo anno dalla sacratio dedicata ad una divinità al momento della loro nascita. Si formavano così queste compagnie di “sacrati”, il tempo e l’età dei predestinati. Tali compagnie erano assolutamente autonome e svincolate dall’Ethnos da cui derivavano. Un eminente studioso, il Regina, ha così interpretato la scritta ritenendola di natura sacro votiva piuttosto che un segno di proprietà dell’elmo:” Elmo della Vereia Campsana operante a Metaponto sotto il supremo comando di…”. L’elmo, dunque, apparteneva ad una compagnia di ventura definita da due aggettivi: il primo è l’etnico di provenienza (da Campsa), un oppidum (città fortificata) menzionato in alcune fonti del VI sec. d.c.; il secondo è Metaponto luogo dove operava questa vereia. Resta da chiarire dove fosse ubicata la “Kampsa” sannita cui fare risalire l’aggettivo kampsana dell’iscrizione. L’incertezza sull’ubicazione di Campsa è dovuta anche alla assonanza con altri toponimi quali Cossa che ha fatto ritenere essere Cosa in Etruria o Cosa sullo Ionio (odierna Cassano Ionio) e non la Compsa Hirpina nominata in altre fonti; così Tolomeo e Strabone. Uno storico bizantino del VI sec. d.c., Agatia Scolastico, narra di uno scontro alle falde del Vesuvio tra le orde Gotiche e l’esercito bizantino di Narsete. I settemila goti sconfitti ripararono nella roccaforte di Campsa, ma poi la roccaforte cadde nel 555 d.c.. Gli storici ormai non hanno dubbi nell’identificare tale rocca nella Compsa irpina ovvero l’attuale Conza, scartando l’ipotesi Conca della Campania nel casertano, essendo tale rocca già stata conquistata nel 524 dai Goti e per l’importanza strategica di tale colle da sempre ambito da tutti gli eserciti invasori. L’esistenza di una Vereia sannita partita da Campsana Hirpina è perfettamente in linea con quanto si sa del popolo sannita, bellicoso ed incline alla guerra (Naturalis Historia di Plinio il Vecchio). 

 

Questo è solo l’inizio di una storia secolare che potrete approfondire venendo a visitare il sito. Lo merita davvero. E Conza non è solo storia, ma natura prorompente della valle circostante, dove il WWF ha creato diversi parchi a protezione dell’ambiente. E’ gastronomia con cibi sani, gustosi e l’eccellente vino prodotto in tutta l’Irpinia. E’ amicizia, perché la simpatia e la disponibilità delle persone certamente vi regalerà nuovi amici. 

Ed a tal proposito è nostro dovere ringraziare di cuore due (ormai possiamo dire) amiche della pro loco di Compsa che ci hanno invitato ed accompagnato in una visita straordinaria al sito, sottraendo il loro tempo al riposo domenicale ed alle famiglie: Tina Terralavoro e Stefania Russoniello


Qui di seguito tutte le notizie utili per la visita (maggiori info sul sito della pro loco):

 

Le visite al Parco Storico e Archeologico di Compsa si effettuano su prenotazione ai seguenti recapiti:
e-mail: prolococompsa@libero.it
Tel. 0827 39519 / 0827 39399
Cell: 349 3583469
costo del biglietto di ingresso:

€ 3,00 € 
€ 2,00 € per gruppi di almeno 10 persone;
gratuito per bambini fino a 6 anni accompagnati

Come arrivare:

da NAPOLI e AVELLINO attraverso l'autostrada Napoli-Canosa A 16 con uscita ad Avellino Est, seguire le indicazioni per l'Ofantina fino a Parolise, dove si imbocca l'Ofantina bis e la si segue fino a Lioni per poi reimmettersi sull'Ofantina e seguirla fino a Conza della Campania.

da SALERNO e POTENZA uscire a Contursi Terme sulla Salerno-Reggio Calabria A3, seguire la Fondovalle Sele e quindi imboccare l'Ofantina in direzione Conza della Campania.

 

Dove mangiare:

il parco Archeologico ha una convenzione con la vicinissima locanda “da Michelina" (Via Belvedere,1 Conza - Cell. 348/0101046) . 

Se non trovate posto da Michelina (è spesso prenotata per eventi) vi consigliamo caldamente:

"da FABIOLA" via del Municipio, 30 Sant’Andrea di Conza - tel. 0827 35340

Si arriva in pochi minuti da Conza ed ha una comoda area parcheggio gratuito di fronte. 

 

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