Nel buio, echi di guerra

.           UN  GRAFFITO  RIEVOCA UN EPISODIO  BELLICO  DI  SETTANTASETTE  ANNI  FA

ESSERE ALTROVE VUOLE DEDICARE QUESTO ARTICOLO ALL'ING. CLEMENTE ESPOSITO, SENZA IL QUALE LA NAPOLI SOTTERRANEA SAREBBE MOLTO MENO CONOSCIUTA E VISITABILE ED ALLA MEMORIA DELLA FIGLIA BIANCA

Come Pompei si è preservata grazie al deposito di cenere indurita dell’eruzione vesuviana, così Napoli con i suoi “strati urbani” ha salvato moltissime vestigia del passato. La città partenopea si è sviluppata per secoli in una zona abbastanza circoscritta. Questo perché, invece di costruire altrove, si preferiva costruire “sopra” aree di altre epoche, utilizzando in tutto o in parte i materiali già usati in precedenza, innalzando sempre un poco di più il livello del calpestio stradale. L’originario impianto urbano greco-romano è molti metri più in basso; per vederlo, basta scendere sotto la chiesa di San Lorenzo, alla confluenza tra il decumano superiore (via Tribunali) e il “cardo” di via San Gregorio Armeno. Come un gigantesco cubo di Rubik, in cui ogni colore è assegnato ad un epoca, a seconda di come sposti le superfici del cubo spuntano dal bianco della città contemporanea pezzetti di colore dello strato greco, romano, bizantino, normanno, angioino, aragonese, vicereale, borbonico etc. A prolungare questo processo di stratificazione hanno contribuito in parte anche i reiterati editti vicereali “extra moenia”, che dal 1566 al 1718 hanno imposto il divieto di costruire fuori dalla mura della città. Napoli ha una ulteriore caratteristica, quella di essere costruita su materiale di origine piroclastica, per lo più il tufo giallo, che ha particolari caratteristiche di elasticità e conduzione termica che lo rendono un materiale ottimo per l’edilizia. Ed è così che è stata per secoli edificata la città, prendendo il tufo dal sottosuolo. E così un complesso sistema di enormi gallerie scavate nel tufo dalla natura o dalla mano dell’uomo si stende sotto il tessuto urbano e oltre. Queste cavità sono un mondo tutto da esplorare, con un microclima unico che solo da poco si è iniziato a sfruttare (ci sono studi ed esperimenti per le coltivazioni sotterranee, utilizzando particolari lampade), e sono un deposito di testimonianze storiche di tutte le epoche: da materiale potremmo dire di "archeo edilizia" a motociclette e autoveicoli ormai introvabili (vedi il Tunnel borbonico di via Chiatamone). 

Da Posillipo a Foria, queste profonde caverne sono state provvidenziali ricoveri durante la seconda guerra mondiale per la popolazione dai pesanti ed incessanti bombardamenti alleati. E, dunque, sono piene di testimonianze della guerra, testimoni esse stesse delle ore di angoscia vissute in profondità da una variegata umanità accomunata dal disagio, dal poco spazio, dal poco cibo condiviso, dalla paura di non trovare più la propria casa una volta tornati in superficie a bombardamenti cessati. Il suono inconfondibile della sirena che annunciava l’imminente “incursione aerea”, l’affannosa corsa nel ricovero prendendo a volo quello che si poteva portare, l’angoscia di non trovarvi i propri cari, sorpresi altrove dall'allarme e forse entrati in altri ricoveri, i pensieri di un futuro incerto per  il paese piombato nella confusione, nella miseria e nella disperazione più totale, la vita che nonostante tutto continua anche nel ricovero: tutto questo è impresso in centinaia, di graffiti, scritte e disegni mantenuti ancora molto vividi dall'oscurità, sulle pareti di tufo. Dalle frasi d’amore, alla propaganda fascista, alle vignette satiriche, a ritratti di signorine “disponibili”, a episodi bellici. 

Sceso una sera in uno di questi rifugi antiaerei, ho potuto vedere una grande sala con una parete ricca di scritte e disegni. Tutte molto toccanti, ma una di queste raffigurazioni ha colpito più di altre la mia curiosità: una nave che sta affondando dal nome “Eumeneus”, colpita da un sommergibile appena sotto la superficie dal nome “Cappellini” ed una data: 13.1.1941. 

Da sempre affascinato dai racconti che ho ascoltato dai miei nonni, mi ritrovo a pensare che forse qualcuno della mia famiglia è stato qui e, magari, è l’autore di qualcuna di queste raffigurazioni. La mia nonna paterna, in particolare, era molto brava a disegnare ed aveva l’abitudine di farlo continuamente. Ho così fatto una breve indagine e non ci ho messo molto a scoprire che la scena dipinta è un riferimento ad un evento bellico davvero accaduto, che deve aver acceso la fantasia delle persone che hanno lasciato questa testimonianza. La nostra Marina Militare si è molto distinta nell’ultimo conflitto mondiale ed è inutile ricordare le epiche imprese della X mas e dei nostri incursori subacquei. 

In particolare, il sommergibile del disegno, il CAPPELLINI, apparteneva alla Classe cd. “Marcello”, destinato alla navigazione oceanica e di stanza alla base italiana sulla costa atlantica francese denominata in codice "Betasom". Era lungo 73 mt. e largo 7, spinto da due motori diesel FIAT e armato con due cannoni, due mitragliere e 4 tubi lanciasiluri. Aveva 57 uomini di equipaggio tra ufficiali e marinai ed aveva una quota massima operativa di 100 mt di profondità. Fu costruito nei cantieri di Monfalcone e varato il 14 maggio del 1939; impegnato nelle operazioni belliche fino al 1943, fu poi destinato a trasporto materiali per l’Oriente. Successivamente sequestrato dai giapponesi, terminò la sua carriera il 2 settembre 1945, quando fu trainato al largo della città di Kobe, nella baia di Osaka, ed affondato.

                                  IL SOMMERGIBILE CAPPELLINI: varo                                                                                                    in navigazione nel 1939 

                               Il Comandante Salvatore Todaro

 

Ma veniamo alla scena rappresentata sul muro. Nell’estate del 1940 l’unità sommergibile Cappellini fu affidata al comando di Salvatore Todaro, personaggio che nel bene e nel male divenne leggendario.  Il Bollettino del Quartier generale delle Forze Armate n.71 del 18 agosto 1940 riportò la presenza in Atlantico di un sommergibile italiano che aveva silurato una petroliera. Quel sommergibile probabilmente era il "Malaspina" che attaccò la petroliera "British Fame". Ciò significò per gli alleati la scoperta di non avere il pieno controllo del passaggio di Gibilterra e che i nostri temuti sommergibili si aggiravano in Atlantico in cerca di prede. Il 29 settembre del 1940 anche il Cappellini, con Todaro al comando, violò lo stretto di Gibilterra e si avventurò nell’Oceano Atlantico. Dopo aver affondato il 15 ottobre 1940 il mercantile belga Kabalo ed il 5 gennaio del 1941 nella acque tra Freetown e le Isole di Capoverde,  il piroscafo inglese Shakespeare, dopo 9 giorni nelle medesime acque il Cappellini avvistò l'Eumaeus (nome corretto), una nave mercantile inglese, costruita a Dundee dalla Caledon Shipbuilding & Engineering, varata il 17 novembre 1920, di proprietà della Ocean SS CO Ltd, riconvertita in incrociatore ausiliario…la nave del disegno.  


IL PIROSCAFO INGLESE EUMEUS

Il Cappellini lanciò diversi siluri, schivati con grande abilità dall'Eumaeus. Lo scontrò si concentrò allora in superficie con l’artiglieria e fu durissimo. La nave inglese colpì ben due volte il sommergibile italiano uccidendo il tenente Danilo Stiepovich e provocando seri danni. Alla fine di quasi due ore di combattimento, il Cappellini centrò in pieno la nave con un colpo di cannone e con un siluro sotto la parte prodiera che segnò la fine della nave. L’Eumeus affondò a 8° 55’ N, 15° 03’W nelle acque davanti alla odierna Guinea.  Era il 14 gennaio del 1941. Il Cappellini si allontanò in fretta dall'area, ma venne raggiunto da un aeromobile inglese che gli provocò ulteriori danni. Todaro dovette riparare alle Isole Canarie, porto neutrale, dove gli furono concessi solo pochi giorni per riparare i danni alla meno peggio e tornare alla base.

Così Romano Asuni sulla Domenica del Corriere racconta questo epico scontro navale: “All'alba dei 14 gennaio, le vedette avvistano un grosso piroscafo britannico, trasformato in incrociatore ausiliario. E' armato di due cannoni e fila veloce. Si chiama Eumaeus. Attacco, dopo un lungo inseguimento. La nave inglese ha inizialmente il sopravvento, perché i suoi cannoni hanno una gittata più lunga dei sommergibile italiano. Ma quando il Cappellini riesce a farsi sotto, i suoi colpi micidiali spazzano la coperta della nave. Ma i cannoni inglesi continuano a sparare. Quanta gente c'è a bordo, quanti uomini? Todaro se lo chiede quando s'accorge che, nonostante che il piroscafo sia rimasto gravemente colpito, l'intensità dei suoi colpi non diminuisce. Nel frattempo, il sommergibile ha un cannone fuori uso, un ufficiale gravemente ferito e un cannoniere scelto colpito alla testa. Anziché rinunciare, Todaro spinge il sommergibile ancora all'assalto: l'unico cannone diventa rovente per il ritmo dei colpi. Il cannoniere si scrolla via il sangue dalla fronte con una manata, come fosse sudore. Todaro lo guarda: vorrebbe decorarlo lì, in piena battaglia e lo fa, a modo suo: " Da questo momento ", gli dice, " sei autorizzato a darmi del tu. E sarai l'unico che potrà dirmi, "tu, comandante". Centrato da una serie di colpi, l'Eumaeus sta intanto affondando lentamente. Todaro lo vede, ma ha fretta. Dal momento dell'attacco sono passate due ore. E' molto probabile che altre navi o aerei nemici si stiano avvicinando al teatro della battaglia, non può rischiare. Si avvicina ancora al piroscafo e da una distanza inferiore ai settecento metri fa partire per la prima volta un siluro. L'esplosione segna la fine della nave: ma da essa cominciano a uscire uomini, in continuazione. Era un trasporto truppe, con a bordo tremila soldati inglesi. Non c'è nulla da fare per loro: non dispongono neppure di una lancia di salvataggio. Poi, il pericolo è concreto: da un momento all'altro il sommergibile può essere avvistato. Todaro ordina l'immersione e si allontana dalla zona dei combattimento. Ma è stato individuato: deve subire un attacco che procura al sommergibile gravi danni. Restando in immersione un'intera notte potrà sfuggire alla caccia e rifugiarsi nel porto neutrale di La Luz, nella Gran Canaria. Ci starà cinque giorni, poi, effettuate le riparazioni più urgenti, uscirà dal porto beffando cinque navi inglesi che lo attendevano.”

Naturalmente, l'articolo intriso di retorica fascista va considerato per quello che era l'epoca e magari le cose non andarono proprio così; non lo sapremo mai. E forse questo è l’articolo letto dall'ignoto graffitaro che ci ha lasciato questa toccante testimonianza, un episodio bellico riscoperto grazie ai preziosi doni che solo la mia città sa offrire di continuo.

Dopo aver affondato la nave Kobalo, Todaro salvò i naufraghi. I pattugliatori inglesi fecero passare il Cappellini con i naufraghi a bordo rendendo onore all'equipaggio. Anche per questo gli fu data la medaglia d'oro al valore militare. Al capitano della Kobalo che gli chiese perché li avesse salvati rispose: "perché siamo italiani". 

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