BAHAMAS


(Nella foto: Giovanni ed Anna con un grande esemplare di Squalo Tigre)

SULLA ROTTA DEGLI SQUALI TIGRE

        DIARIO DELLA  SPEDIZIONE  9- 17 novembre 2012

 

Immaginate di essere seduti davanti ad un camino, con un bicchiere di vino rosso tra le mani in una giornata di novembre. Fuori fa freddo e infuria il vento. Ora chiudete gli occhi e sognate una piccola barca persa in un oceano azzurro e trasparente. Sul quadrato di poppa una gran quantità di attrezzatura da immersione e da ripresa. Siete con Jim Abernethy sul ponte della sua barca, la Shear Water, molte miglia in mare aperto sui basso fondi corallini del Little Bahamas bank, a nord ovest di Grand Bahama. Adesso torniamo un po’ indietro, all’inizio di questa storia. Vi racconterò di lunghi preparativi, di vento, di salsedine, di barche, di oceano, di squali … a centinaia.  

 

Quando ho deciso di partecipare a questa spedizione stavo affrontando uno dei periodi più difficili e dolorosi della mia vita e non sapevo davvero se, poi, alla fine ce l’avrei fatta ad esserci. E’ stata una scommessa con la vita e con me stesso. Fatto sta che, dopo un intero anno di difficoltà e aspettative, di dubbi e di speranze, mi sono trovato, come di colpo, di fronte all’oggetto dei miei desideri. E’ una calda sera agitata dal vento e sono nella rada di Lake Park in Florida, su un pontile mobile ad ammirare la SHEAR WATER, uno splendido Hatteras di 65 piedi perfettamente adattato alle immersioni con gli squali, che dondola dolcemente sull’acqua. Una linea superba, le foto di due grandi squali, un tigre ed un martello, riprodotte alla perfezione ai lati, il quadrato di poppa ingombro di bombole di alluminio ordinate nelle rastrelliere. L’avevo vista tante volte sul web ed ora che l’avevo davanti mi sembrava impossibile. E’ il 9 novembre 2012, il giorno prima dell’imbarco per la spedizione con Jim Abernethy sui banchi delle isole Bahamas; obbiettivo: squali, in particolare Squali Tigre e Sphyrna Mokarran, lo squalo martello maggiore. Il meteo non è favorevole. Il cielo è sereno, ma c’è vento da nord est in ulteriore rinforzo con presagi di mare in burrasca. Le palme piegate dal vento e quel rumore metallico dovuto alle sollecitazioni del sartiame, tipico di quando in porto il mare non è fermo, ci dicono che le previsioni non sbagliano. E’ già passato da qui l’uragano Sandy che ha colpito anche la costa orientale degli Stati Uniti, facendo molti danni prima di morire nella zona dei grandi laghi, a nord. Più di uno ha il timore che la partenza possa essere rimandata. Ogni considerazione è rimandata al giorno seguente.

Reperita una sistemazione a buon mercato, ceniamo in un posto che è un simpatico incrocio tra un pub, un club di biliardo ed un Karaoke bar. La birra scorre a fiumi e, tra partite di freccette e pool palla nove, si esibiscono in melense canzoni country personaggi davvero pittoreschi ed in evidente stato di ebrezza. Indosso un grande tovagliolo nero a mo’ di bandana sulla fronte e mi atteggio a “cacciatore di squali”.

La mattina del giorno dopo ci ritroviamo nella vicina Palm Beach per fare colazione in un enorme bar dal sapore caraibico, con squali e Marlin imbalsamati, scialuppe addobbate e tavole da surf, dove servono ogni ben di dio: salsicce, bacon grigliato, uova, pesce, frutta tropicale. E’ quasi ora di lasciare l’albergo e iniziare questa avventura che si preannuncia già difficile in partenza. La sede della “Scuba Adventures” è al n. 216 di Federal Highway, nei pressi di Lake Park Marina. Ci accolgono con grande calore. All’interno è un trionfo di stupende gigantografie subacquee di Jim: per lo più squali, delfini, tartarughe e lamantini. Completate le registrazioni e tutte le formalità, compilati gli “scarichi di responsabilità” di ben 2 pagine a scrittura fitta (ne conservo una copia per ricordo), compriamo qualche attrezzatura mancante. Con gli squali tigre è buona norma di prudenza non indossare colori sgargianti. Jim privilegia il “total black”, cioè ogni cosa deve essere di colore scuro, preferibilmente nero. Anche guanti e cappuccio sono obbligatori, non per la temperatura dell’acqua, che è piacevolmente calda, ma perché non bisogna lasciare parti del corpo scoperte (il colore chiaro della pelle ricorda quello dei pesci morti e attira gli squali Tigre). Così, io e Anna acquistiamo un comodo sottomuta di lycra rigorosamente nero con cappuccio incorporato che ci evita di dover usare quello più pesante di neoprene.

Andiamo alla Marina dove eravamo stati la notte precedente e scarichiamo tutte le attrezzature subacquee e fotovideo, nonché gli effetti personali.  Ci attendono i collaboratori di Jim, tre in tutto: Matt Heath il vice comandante, Jeff Davis marinaio e sub e Chad Shagren abile cuoco, sub, marinaio…insomma un pilastro della spedizione. Apprendiamo con gioia che, nonostante le previsioni meteo, si parte lo stesso. Se tutto va bene, leveremo le ancore da Lake Park alle 2.00 di notte. Arrivo alle Bahamas stimato per le 9.00 del mattino seguente. Con i grandi carrelli del porto ci aiutano a trasbordare tutto quella che è pesante e non ha rotelle. Imbarchiamo tutto il materiale subacqueo e da ripresa. E’ un gran da fare, poiché i trolley, i borsoni e ogni genere di contenitore saranno riportati con la Jeep alla Scuba Adventures, in magazzino, dove rimarranno fino al nostro sbarco. Ogni minimo spazio a bordo è dedicato alle immersioni e alle attrezzature da video ripresa e tutto ciò che ingombra viene sbarcato. Così, sistemiamo i pochi effetti personali nelle cabine, l’attrezzatura subacquea sotto i banchi da immersione del quadrato di poppa e quella foto video negli appositi spazi dedicati all’interno della dinette

La Shear Water è davvero una prima donna, in un porticciolo dove ci sono numerose bellissime barche attrezzate per la pesca e le immersioni. Fa bella mostra di sé con il suo scafo azzurro come il mare delle Bahamas e i suoi due grandi squali “tatuati” ai lati della cabina bianchissima. All’interno, la barca è ancora più stupefacente che all’esterno: si respira un’atmosfera da avventura ed ogni piccolo spazio è riempito da straordinarie foto di squali. Persino la botola dei rifiuti è nascosta da una superba foto di un enorme bocca spalancata di Bull shark. La Shear Water ospita di frequente spedizioni scientifiche per sessioni di studio degli squali e si capisce subito che qui si fa sul serio, una barca molto strutturata e spartana che di turistico ha ben poco.

Lunga sessantacinque piedi (circa 20 metri) dalla poppa alla delfiniera, ha una apposita doppia plancia a poppa che permette una comoda e veloce risalita a bordo a più sub contemporaneamente, anche con tutta l’attrezzatura indosso, cosa molto salutare con squali in gran numero sempre presenti sotto poppa. Uno spazioso quadrato di poppa con panche e rastrelliere lungo tutto il perimetro (ospita comodamente 12 sub), al centro due vasche con acqua dolce che coperte diventano comode panche per l’attrezzatura foto-video. Sotto il quadrato di poppa c’è la sala macchine, il compressore (dotato di fruste lunghe che attraverso delle aperture permettono di caricare le bombole direttamente nella rastrelliera), il dissalatore in grado di ottenere una grande quantità di acqua dolce ogni giorno direttamente dal mare e le celle frigorifere per la pastura degli squali).  In zona coperta, sul ponte superiore, la dinette con un grande tavolo ed ampi divani ed una piccola cucina attrezzatissima. Una scaletta porta al ponte inferiore dove ci sono le cabine e i bagni: tre cabine doppie con cuccette a castello ed una grande a prua con 6 posti. Due bagni di discrete dimensioni con cabina doccia ai due lati del corridoio.

Eccoci finalmente a bordo. Verso le 18.00 arriva anche Jim che ci saluta. Conferma la partenza e, purtroppo, anche il mare in burrasca. Prima di lasciarci a Matt, il suo vice, per il briefing sulla barca, Jim ci riunisce tutti attorno al tavolo e ci fa una richiesta: “ragazzi, questa notte si ballerà parecchio, quindi vi chiedo, per la vostra stessa sicurezza, di non uscire per nessun motivo all’aperto. Se qualcuno cadesse in mare di notte, nella corrente del golfo e con queste condizioni, avrebbe scarse probabilità di sopravvivenza. Sotto il tavolo, nella cassetta del pronto soccorso, ci sono due scatoli di compresse contro il mal di mare. Se avete bisogno prendetele”. Ci saluta e si ritira in plancia di comando sul Flying Bridge.

La cena viene servita verso le 19.00 e poi ci attardiamo a conversare attorno al tavolo, davanti ad una corposa bottiglia di Rum comprata a terra.

Nonostante la stanchezza, non riesco a dormire e sono ancora sveglio quando sento i potenti motori che si avviano: stiamo lasciando la rada di Lake Park marina per affrontare la traversata nell’oceano. Trascorrono i minuti e gli scossoni diventano sempre più forti, finché non capisco che siamo ormai in mare aperto nel mezzo di onde molto alte. Sento un certo vuoto nello stomaco ogni volta che la barca ricade nel cavo delle lunghe onde atlantiche. Fuori è tutto un rumore di oggetti che cadono, che urtano tra loro e di anonimi passi concitati che corrono verso il bagno. Anche Anna sta parecchio male, è sudata e pallida; vomiterà molte volte nel corso della notte. Fortunato me, vinto dalla stanchezza verso le 4 di notte mi addormento e sogni i delfini. Quando mi sveglio, è tutto tranquillo. Siamo in una rada a Grand Bahama, per le formalità doganali.

 Ci tratteniamo una mezz’ora prima di riprendere il mare per il Little Bahamas bank, che si estende per molte miglia ad ovest di Grand Bahama. E’ li che siamo diretti, verso una zona particolare del banco dall’evocativo nome di “TIGER BEACH”. D’ora in avanti, per tutti i giorni della spedizione saremo sempre in mare aperto, nelle zone abitualmente frequentate dagli squali tigre.

Alle 11.00 Jim ci riunisce insieme all’equipaggio davanti al grande tavolo della dinette per l’atteso briefing sugli squali. Vuole che uno di noi traduca tutto in Italiano. Dopo consultazioni, vengo eletto traduttore ufficiale senza stipendio. Mi arrangio alla meglio e confesso che, essendoci due donne a bordo, ho spesso edulcorato le colorite, a volte inquietanti, espressioni. Il briefing è durato molto tempo, ma cerco di riassumere le cose principali che ricordo.  

Jim esordisce così:” ovviamente mi aspetto di avere a che fare con subacquei più che esperti e, dunque, tralascio discorsi legati alle immersioni e vi parlerò di come ci si comporta con gli squali. Avremo a che fare con tantissimi squali ed in alto mare. Quindi vi chiedo di seguire scrupolosamente le mie indicazioni. Se succede qualcosa, se si verifica un incidente, i primi soccorsi sono a due ore di elicottero da qui. Tutto chiaro? ” Annuiamo tutti e Jim continua: “Le specie che incontreremo saranno per lo più cinque o sei: Nutrici, Lemon Shark, Caribbean Reef Shark, Bull Shark, grande martello e Tigre.”   Ci mostra anche delle foto che aiutano la descrizione e, cosa assai divertente, pupazzi di peluche raffiguranti le varie specie con i quali mima i comportamenti.  “C’è una sostanziale differenza a seconda del tipo di squali presenti in acqua. Con i lemon e gli squali di barriera non si corrono seri pericoli; per cui, potrete dedicarvi alle riprese senza grandi problemi, a patto di non provocarli. Se in acqua ci sono Bull, Hammer o Tiger shark la faccenda cambia radicalmente. Vi parlerò, quindi, di come limitare al minimo i problemi e i rischi con queste specie. Metteremo le ceste della pastura sempre sotto la poppa, di fianco alla cima di discesa; quindi avremo sempre squali vicino la plancia. Per questo motivo, vi chiedo di zavorrarvi molto; questo vi permetterà di scendere rapidamente sul fondo e anche di resistere meglio alla corrente che spesso è forte su questi bassi fondali. La profondità delle nostre immersioni sarà limitata, quindi…nessun problema di sovrappeso. Discesa rapida, non voglio vedere nessuno che galleggia in superficie, nemmeno per pochi secondi. Avrete tutti un’asta di circa un metro per tenere a bada gli squali. Cercate di stare sulla stessa linea sul fondo, di essere un gruppo compatto e piantate l’asta dritta nella sabbia. Creerete così una sorta di gabbia, un ostacolo agli squali che cercassero un varco nel gruppo. Sul fondo state in piedi o in ginocchio, non mettete le gambe all’indietro. Le gambe sono una parte vulnerabile nel malaugurato caso di un attacco. Io vi indicherò l’origine della corrente. Guardate da quella parte perché gli squali risalgono la corrente fino alla pastura. Ci deve essere una zona sgombra tra la direzione della corrente e la pastura; se vi sistemate ai lati di questo ideale “corridoio” potrete vedere molto da vicino tanti squali che si muoveranno lungo questa invisibile linea. Se ci disporremo male in acqua, interromperemo questo flusso, innervosiremo gli squali e ce li vedremo costantemente addosso. Ci immergeremo spesso sotto la barca o nei pressi. Talvolta andremo su dei reef battuti dai tigre, portando con noi le ceste di pastura. In quel caso la barca sarà sotto corrente e nuoteremo all’inizio a sfavore di essa fino al reef. Voglio vedere tutti rientrare dalla cima dell’ancora di prua che sarà nei pressi del reef. Da li scivolerete in corrente verso la plancia di poppa. Se qualcuno interrompe l’immersione, lo comunica ed attende l’ok prima di andare. E ora veniamo agli squali Tigre: qualcuno ha già avuto esperienze simili?” Molti di noi ne hanno avute e annuiscono. “Bene. Qui ce ne sono tanti. Raramente saranno isolati. Potremo vederne due, tre, quattro, ma molto più spesso sette, otto, anche più di dieci contemporaneamente. Di tutte le taglie, da esemplari giovani e timidi a grandi femmine di 4-5 metri.” - “perché le femmine sono più grandi?” chiedo – “Si, circa un terzo più grandi dei maschi. Qui abbiamo tre tipi diversi di squali tigre: quelli che io chiamo WILD o OUTSIDER, i selvaggi che non amano farsi fotografare e girano circospetti e nervosi; le MODELS, quelli che amano il contatto con i sub e si avvicinano; le TOPMODELS, squali grandi, curiosi e intraprendenti. Da queste parti ci sono una settantina tra models e supermodels. Emma (mitico ed enorme squalo tigre che incrocia le acque di Tiger beach) è una super super top model, ma non la si incontra spesso. Per un fotografo le topmodels sono l’ideale, ma bisogna stare anche molto attenti: non è un fatto positivo avere più di una Topmodel in acqua. Dovete immaginare lo Squalo tigre come un cane, un enorme cane acquatico. E’ molto curioso ma, contrariamente a quanto si dice, ha un certo timore dell’uomo. Per cui inizialmente è molto diffidente. Però, se stimolato, può diventare molto curioso, proprio come un cane. Cercherà di giocare con voi, di mordervi le pinne e, vi assicuro, non è una esperienza rilassante. Cercate di non attirare la sua attenzione. A volte è molto insistente, sembra che se ne sia andato ma torna più e più volte fino a cercare un contatto diretto. A proposito di ciò: non barattate la vostra macchina fotografica o da ripresa (- "don’t negoziate your camera with the Tiger" - sic), lasciategliela prendere ... se la vuole se la prenderà comunque e non potrete opporvi. Dopo un po’ la risputerà e potrete valutare gli eventuali danni. Non succede tanto spesso ma succede.” Si leva un comprensibile brusio e vola qualche “e sticazzi” che evito di tradurre a Jim.  “Quindi seguitelo con lo sguardo e non attirate la sua attenzione. Con gli squali tigre in acqua voglio che vi concentriate, che non vi distraiate con le regolazioni delle macchine fotografiche. Sembrano lenti, ma ve li ritroverete all’improvviso davanti. Guardatevi anche le spalle. Dobbiamo lavorare come un team: chi avvista un tigre deve puntare il dito nella sua direzione in modo che tutti possano accorgersene e toccare i compagni vicini, che a loro volta toccheranno gli altri. Se uno squalo vi arriva addosso respingetelo con la macchina o con l’asta, cercate - in ogni caso - di farlo passare sopra e mai sotto di voi o tra le gambe. Se succede potrebbe essere l’ultima cosa che fate! Non vi avvicinate troppo alle ceste e soprattutto non toccatele.” Ascolto con attenzione e mi accorgo che è salita una certa tensione nel gruppo; vedo sguardi perplessi e le ragazze visibilmente spaventate. Penso dentro di me che probabilmente Jim sta esagerando per essere certo che seguiremo le sue indicazioni. Del resto, in tanti anni ed in migliaia di immersioni gli incidenti si contano sulle dita di una mano. Così lancio un sorriso rassicurante ad Anna. Poi Jim aggiunge qualcosa di confortante: “Se qualcuno ha qualche problema o non si sente a suo agio, lo segnala mettendo le braccia incrociate sopra la testa. Io e i miei ragazzi penseremo ad allontanare da voi gli squali. Non c’è problema alcuno. Allora, io spero di avervi detto tutto. Conto di farvi divertire, farvi vedere tanti squali e avere incontri i più ravvicinati possibili. Vi aiuterò ad ottenere immagini sensazionali. Ogni sera ce le guarderemo insieme e risolveremo ogni problema tecnico. Naturalmente ho intenzione di battere il record di permanenza sott’acqua che su questa barca è molto elevato. Ho già chiamato il Guinness”. Così si conclude ridendo il suo briefing che non credo dimenticherò mai.

Voglio dire ora a tutti quelli che hanno avuta la pazienza di leggere fin qui che mi sono dilungato molto a descrivere il "briefing squali" per due ragioni:

la prima è che il briefing di Jim Abernethy è qualcosa di indimenticabile e permette di acquisire in poco tempo informazioni basilari sugli squali maturate in decenni di immersioni, anche drammatiche, come quella del 2008. Ascoltare uno dei maggiori esperti di squali al mondo, sulla sua barca, nel bel mezzo dell’oceano, con una dozzina di squali che in tempo reale nuotano sotto la plancia di poppa e, soprattutto, poco prima di un’immersione non ha decisamente prezzo; la seconda, non meno importante, è che ho sperimentato sott’acqua che tutto quello che ci è stato detto è tremendamente vero e molte di quelle cose sono anche riuscito a documentarle. 

Non vi annoierò descrivendo le tante immersioni fatte in quei giorni, anche perché erano situazioni più o meno simili, quasi sovrapponibili, paradossalmente diventate “noiose”; e ci metto le virgolette poiché lo erano solo perché un po’ ripetitive, ma assolutamente entusiasmanti per ciò che si vedeva sott’acqua. Vi dirò solo che facevamo circa tre immersioni al giorno, due di giorno ed una di notte; le immersioni erano su fondali che variavano dai 25 ai 7-8 mt.; abbiamo visto solo due barche in tutta la settimana; ogni giorno il numero dei tigre presenti ad ogni immersione aumentava sempre di più, forse per la continua pasturazione; abbiamo cominciato a riconoscere da alcuni particolari molti squali già visti: un amo conficcato in bocca, uno sfregio sulla pinna, una cicatrice sulla bocca, e a questi se ne aggiungevano sempre di nuovi. La costante era che di tutti gli esseri viventi sui fondali (ricciole, snapers, cernie, balestra, tonnetti, pesci ago etc.) la preponderanza assoluta era costituita da squali. E’ questa la caratteristica che rende uniche le Bahamas: la enorme quantità di squali che si possono vedere in una singola immersione, ragione per cui sono da sempre molto popolari tra chi li ama. 

Voglio, tuttavia, raccontare brevemente solo tre tuffi: il primo in cui abbiamo incontrato i tigre, forse il momento più emozionante; l’ultimo della spedizione in cui c’era in acqua un numero davvero eccezionale di esemplari di questa specie, a detta anche di Jim; ed uno notturno, che regala sensazioni ancora più intense.

 

E’ l'11 novembre, prima mattina. Abbiamo calato l’ancora su un fondale di una ventina di metri. Il gruppo è già sceso con Jim da qualche minuto. Io ed Anna ci siamo un po' attardati e ora siamo pronti vicino la plancia. Chiedo perplesso a Matt cosa dovessimo fare e lui: “this way”, mi indica con il dito la direzione del reef, un punto distante un centinaio di metri dove le bolle rivelano la presenza del gruppo in acqua. “E ci dobbiamo andare da soli laggiù?” mi chiede Anna. Non so cosa rispondere, cosi gli dico di tuffarsi e aspettarmi al termine della catena di discesa. In breve, ci troviamo insieme sul disco piombato della catena e sotto di noi ci sono ancora una ventina di metri al termine del quale un fondale di sabbia bianchissima. La visibilità è eccezionale e vediamo perfettamente il reef distante verso cui dirigerci. Ci sono molti squali sotto la barca, per lo più squali Reef shark, piccoli ma molto belli, ed alcuni limoni, molto più grossi e inquietanti nell’aspetto. Uno squalo che nuotava lontano in basso risale veloce e viene verso di noi, ci osserva per un attimo e si allontana. Posso vedere la profonda cicatrice sulla bocca, dovuta forse a qualche amo. Lo incontreremo molto spesso nei giorni avvenire. Sembra che non ci siano squali tigre nelle vicinanze, così ci lasciamo andare verso il fondo e iniziamo a nuotare contro una fastidiosa corrente in direzione del reef corallino. Arrivati alla collina di corallo, inizio a riprendere un po’ di pesci tropicali, tra cui una bellissima cernia maculata che inseguo fin dentro un anfratto dove va a ripararsi. Dalla sommità del reef si vede la lontana colonna di bolle del gruppo, così risaliamo e vediamo Jim e gli altri circondati da un carosello di squali. Ci stiamo avvicinando quando vedo un grande squalo tigre incombere alle spalle di un membro del gruppo che evidentemente non se ne è avveduto; istintivamente mi viene di gridare nel boccaglio dell’erogatore anche sapendo che non potrà sentirmi. Il sistema di puntamento funziona perché Antonio vede le braccia puntate nella sua direzione, si volta e arretra verso il gruppo. Ora siamo tutti vicini, disposti a semicerchio nel reef, ognuno sistemato alla meglio per le riprese. Jim ha con se un paio di ceste di pesce, che ha portato fin qui con lo scooter, ed ha piazzato la sua macchina fotografica sul treppiedi per avere le mani libere. Gli squali sono tantissimi: Nutrice, Caribbean, Lemon, ma l’attenzione è inevitabilmente concentrata su una coppia di grandi squali tigre che ci gira intorno. Li vedo più volte arrivare all’improvviso dal blu, vicini al fondo di corallo, e avvicinarsi a pochi metri prima di deviare verso le ceste. Noto distintamente la membrana nittitante che si apre e chiude a protezione del bulbo oculare, come un sinistro “occhiolino”. Incredibile la confidenza che ha Jim con questi bestioni, li sposta dalle ceste con vigorosi spintoni, gli carezza il muso come a dei cagnolini. Intanto, gli squali più piccoli, quasi come fossero gelosi e cercassero di rubare la scena ai grandi tigre, si spintonano e si lanciano in traiettorie azzardate. Ce li vediamo arrivare letteralmente addosso e ne possiamo ammirare ogni particolare. Spesso ci urtano o urtano la mia videocamera montata sull’asta, costringendomi a riposizionarla. In acqua c’è una discreta eccitazione, lo spettacolo è grandioso, nessuno immaginava di poter avere contatti così stretti con i Tigre. Un attimo dopo, sperimento il mio primo incontro ravvicinatissimo. Vedo un Tigre che nuota apparentemente lento verso di me ma stavolta non sembra intenzionato a deviare; infatti, lo vedo puntare dritto sempre più vicino. Mi appiattisco verso il fondo, allungo l’asta e mi preparo all’impatto che però non è violento. Lo squalo urta contro la video camera, si ferma, sembra voler andare via ma sorprendentemente si rigira, un paio di volte, fino a che non desiste e lo vedo sfilare sopra la mia testa.  Non dimenticherò mai il ventre bianchissimo e largo e l’enorme coda che passa sulla mia testa confermandomi che lo squalo, che sembrava non terminare mai, ha una fine. Il risultato sono delle spettacolari immagini ravvicinatissime del muso e del suo occhio. Rientriamo come da protocollo dalla cima dell’ancora tesa verso il reef. A bordo l’eccitazione è palpabile: si ride, si scherza, si guardano subito le immagini raccolte, in attesa del pranzo e di un’altra immersione.

La prima immersione notturna con gli squali me la ricordo benissimo. Non tutti decidono di immergersi, forse impigriti dalla cena sempre abbondante e dalla stanchezza.  Siamo in cinque più Jim. Non possiamo portare torce, la luce attira i tigre. Così l’illuminazione è garantita dai 4 potenti fari di cui dispone la barca sotto la carena. C’è quindi un tratto di fondale illuminato pari alla dimensione della barca e tutto intorno buio pesto. Ci sono già una dozzina di squali sotto la barca, per lo più lemon. Noto che di notte sono molto attivi, nuotano freneticamente e sono ancora più desiderosi di contatto. Non resisto alla tentazione di accarezzarne uno molto grosso su tutta la schiena e questo gesto gentile lo ha immortalato Jim regalandomi una fantastica foto. Le sensazioni sono amplificate dal contrasto tra il buio, che può nascondere qualsiasi insidia, e la luce artificiale, nostro rifugio sensoriale. Rimaniamo quasi un’ora dal fondo e solo il freddo ci convince a salire.

L’ultima immersione è di quelle indelebili nella carriera e nei ricordi di qualunque subacqueo, un degno saluto a Tiger Beach: 12 squali tigre, Jim dice di più, contemporaneamente in acqua. Il vento è calato da alcuni giorni, il mare piatto, l’acqua trasparentissima, poca corrente. La grande pila di ceste di pesce fa il suo solito lavoro, quasi oscurata da un fitto branco di Snapers che reclamano il pasto quotidiano. Il tempo di scendere sul fondo che vedo e riesco a riprendere un enorme tigre che, dondolando con una inclinazione verso il basso, cerca di mordere le pinne di Jim che arretra senza minimamente scomporsi. Lo stesso tornerà ancora su di lui e poi su di me. Tutta l’immersione sarà un grandioso spettacolo, un carosello continuo di squali in cui per la prima volta i tigre sembrano quasi essere in pari numero con i Lemon e i Caribbean. Ne arrivano a tre, anche quattro alla volta verso le ceste, ed è sorprendente la capacità e la freddezza di Jim nel gestire il tutto. Deve fare riprese, badare alle ceste (i tigre cercano costantemente di rubarle) ed al gruppo.

Ed a conclusione di questo mio racconto, voglio proprio spendere qualche riga per lui: ci ha fatto vivere un’esperienza unica, dimostrandosi al tempo stesso una persona umile. Non ha mai cercato di stupire, ha sopportato tutta le nostre mancanze e indisciplinatezze con leggerezza. Ha condiviso con noi, come fosse un principiante, tutto il nostro entusiasmo. Un grande subacqueo, un grande fotografo, che però ci è sembrato essere uno di noi. E non ci ha mai finito di stupire! L’ultima sera, prima della traversata di ritorno, girando con una grande conchiglia tra le mani, ha chiesto a ognuno di noi di metterci dentro una scheda di memoria con almeno 5-6 giga di spazio. Il giorno dopo, nelle schede c'era il suo Video della spedizione (più in basso il link), montato nei ritagli di tempo, e molte foto. Ad ognuno di noi ha voluto regalare una copia di un suo libro di fotografie sugli squali con i ringraziamenti ed una personale dedica. Questo è Jim Abernethy, al quale va il mio sentito ringraziamento e a cui dedico questo racconto.

VIDEO

Il nostro video completo della spedizione HD

versione breve del video (ultimi 13 minuti - bassa risoluzione)

Questo breve filmato (2 min.13 sec.) documenta l'unico momento complicato di tutta la spedizione, quando una grande femmina di squalo tigre si è fatta troppo intraprendente.  Nel video si vede Jim frapporsi tra me e lo squalo e successivamente invitare tutti ad arretrare. Lo squalo, farà poi un giro a semicerchio tornando di nuovo su di me andando a cozzare contro la mia telecamera prima di allontanarsi. Nonostante la concitazione, non ritengo che si sia trattato di un vero attacco o di un atteggiamento propriamente aggressivo. E' utile però a ricordare a tutti noi di non sottovalutare mai questo genere di situazioni. Trovarsi in alto mare, con predatori di questa mole e dal potenziale sicuramente letale, senza alcuna protezione impone una grande attenzione: "mai distrarsi",  il monito di Jim e mi vengono in mente tutti gli insegnamenti avuti durante il briefing.

IL VIDEO DI JIM ABERNETHY

 

STOP SHARK FINNING

Lo spinnamento dello squalo (in inglese shark finning) è una pratica che consiste alla rimozione delle pinne dagli squali, spesso mentre l'animale è ancora vivo. Dopo essere stati pescati e spinnati, gli squali vengono rigettati in mare ancora vivi. Privi di pinne e incapaci di nuotare gli squali sprofondano e muoiono per soffocamento. Lo squalo per respirare ha bisogno di nuotare incessantemente.

 

Shark finning is a practice that consists of the removal of fins from sharks, often while the animal is still alive. After being caught and finned, sharks are thrown back into the sea still alive. Lacking fins and unable to swim, sharks sink and die from suffocation. The shark needs to swim incessantly to breathe.