La casa dei sette omicidi

E' una gelida notte del 24 gennaio 1922. Nel podere di campagna la famiglia Sornicola è riunita attorno al grande camino della stanza da pranzo. Hanno finito di cenare da un po’, la brace del camino si sta lentamente spegnendo. Sono tutti insieme, Rosario, la moglie Pasqualina, la cognata Caterina Maffeo e i tre loro figlioletti, Giovanni, Giuseppe e Antonia di poco più di un anno di età, per l’ultima volta. È stata una dura giornata di lavoro e Pasqualina porta i bambini a letto di sopra. Mentre Caterina sbarazza le ultime cose dalla tavola e si prepara ad andare a letto, Rosario si gode le ultime boccate del suo sigaro toscano sorseggiando il fondo del bicchierino di grappa con cui prova a scaldarsi le ossa. Poi raggiunge la sua famiglia, ma non fa in tempo a salire che nel silenzio della notte la sua attenzione è attirata da strani rumori provenienti dal piano di sotto. Ridiscende le scale andando in contro letteralmente alla morte. I suoi assassini, nascosti nel buio, lo aggrediscono fulmineamente e gli squarciano la gola con arnesi da lavoro, probabilmente accette o roncole, senza dargli il tempo nemmeno di difendersi. Rosario si accascia a terra con un rantolo e con lo sguardo sbarrato di chi ha compreso che gli rimangono solo pochi istanti di vita. Poi è la volta di Caterina che verrà uccisa con molti colpi che le straziano il corpo e le sfigurano il volto. Pasqualina, che ha sentito i rumori e le urla, prende dalla culla la piccola Antonia e va verso la stanza dove dormono Giovanni e Giuseppe per svegliarli. Chiama disperatamente Rosario e Caterina, ma sente dei passi veloci che si avvicinano per le scale. Improvvisamente, si trova di fronte un uomo sporco di sangue e armato, lo sguardo iniettato di collera. La povera donna rimane impietrita, stringe a sé Antonia ma viene investita di colpi senza pietà. Cade gravemente ferita, cerca di proteggere la sua bambina come può, facendo scudo col suo corpo. Pasqualina ha anche in grembo un nascituro, cui quella notte verrà rubata la speranza di vita. Giuseppe e Giovanni sono appena stati barbaramente trucidati da un complice. L’uomo sferra un ultimo duro colpo a Pasqualina, sicuro di avere finito sia lei che la bambina che ha in braccio, e si dilegua.

È l’alba del mattino seguente, i lavoranti arrivano al podere; vanno nella stalla ma come sempre prima chiamano a gran voce Pasqualina e Rosario per avvisare della loro presenza e non ottengono alcuna risposta. La casa sembra deserta e si accorgono che la porta è aperta. Sempre chiamando i padroni ad alta voce salgono le scale e si trovano di fronte ad una scena raccapricciante: i corpi di Rosario e Caterina orrendamente sfigurati riversi nel loro sangue ormai rappreso. Scappano via urlando inorriditi a chiedere soccorsi. All’arrivo sul posto i regi carabinieri si trovano di fronte ad uno degli episodi delittuosi più efferati di sempre, una intera famiglia brutalmente sterminata, tra cui bambini in tenera età. I corpi senza vita sono due al primo piano, Rosario e Caterina, e quattro al secondo piano, Pasqualina con la sua creatura in grembo, i piccoli Giuseppe e Giovanni. Manca un cadavere all’appello: la piccola Antonia non si vede. Quella sera è accaduto un miracolo, la casa dei sette omicidi, così come è soprannominata la casa, ne conta in realtà solo sei: tre adulti, due bambini e un nascituro. Uno dei carabinieri che perlustra le stanze sente un singhiozzo appena accennato provenire da una sorta di camino: è Antonia, gravemente ferita ma ancora viva. La madre Pasqualina, con un ultimo anelito di vita l’ha spinta dentro questo improvvisato nascondiglio in caso fossero tornati gli assassini. Si legge dagli atti processuali che gli esecutori materiali erano due: uno, conosciuto solo come “il calabrese”, non è mai stato identificato con certezza; l’altro è stato catturato e condannato all'ergastolo. Sono gli esecutori di un disegno orchestrato da altri per ragioni non chiare, chi dice legate alla proprietà del podere, affidato ai Sornicola da contadini emigrati in America chi dice per una somma ingente nascosta in casa e forse cercata dagli assassini. 

Nessuno è sopravvissuto alla strage per raccontare di quella notte, si sa solo ciò che risulta dagli atti del processo e dai rilievi degli inquirenti nella casa. Nei tanti racconti che in un secolo si sono susseguiti ognuno ha dato la propria libera interpretazione allo svolgimento dei fatti e quella appena svolta è solo la mia ricostruzione immaginaria di come si fossero presumibilmente svolti gli eventi di quella tragica notte. Tutti concordano, anche osservando la scena del crimine, che si sia trattato di un blitz notturno spietato ed improvviso che non ha dato alcuna possibilità di difesa o fuga alla famiglia. Quello che rimane è la cruda realtà e lo choc di una comunità nell’apprendere l’accaduto all’indomani. La casa è ancora lì e su di essa cui circolano tante sinistre leggende. Un celebre articolo sulla vicenda fu scritto da Giacomo Matteotti, quel celebre Giacomo Matteotti divenuto deputato socialista assassinato da squadristi fascisti due anni dopo, nel 1924: che strano incrocio di destini!  Quanto ad Antonia Sornicola è vissuta fino a quasi 98 anni, scomparendo serenamente nel 2018. Si dice che abbia sempre difeso i parenti dei carnefici, ritenendoli incolpevoli e forse anche loro vittime di ciò che era accaduto.

Anche se è trascorso ormai più di un secolo, ci siamo chiesti se fosse giusto visitare un luogo di morte e sofferenza, così carico di orribili testimonianze. Perché andare in posti dove sono accadute tragedie. Non sappiamo dare una risposta oggettiva, ma per quanto ci riguarda  riteniamo sia utile mantenere viva la memoria e raccontare anche queste storie dal risvolto drammatico. Non è dovere di cronaca, perché ormai è un fatto vecchissimo e arcinoto, di cui hanno parlato persone più qualificate e informate di noi. Non è certo la ricerca del macabro, piuttosto disponibilità a sporcarsi l’anima e sperimentare quanto il confine tra follia e realtà, tra luce e tenebre sia sottile e come l’essere umano, per sua natura, sia destinato a camminarci sopra, in bilico tra le due parti. Questa è una sorta di esplorazione dell’abisso umano più che di un luogo fisico. E a ben vedere questa non è solo una vicenda di morte ma anche di speranza, di voglia di vivere a tutti i costi: un trionfo della vita. 

Così, in una bella giornata di settembre abbiamo deciso di andare sul posto. Ci siamo prima recati al cimitero a portare dei fiori sulla tomba comune della famiglia Sornicola e ad Antonia, seppellita in una cappella privata nel piccolo cimitero non distante dai suoi genitori, sua zia e i suoi fratelli. Sulla tomba della famiglia c’è una lapide con una scritta: “Qui impresse nel marmo come nei cuori le care memorie di Sarnicola (un errore il cognome errato?) Rosario, moglie e figli, cognata Maffeo Caterina da mano feroce e assassina tratti barbaramente a morte la sera del 24 gennaio 1922 il Comune volle ricordate. IV febbraio MCMXXII”.  

Già, sono persone che non devono essere dimenticate.


Veniamo al luogo dove si svolsero i fatti. La "casa dei sette omicidi", come è stata soprannominata, è un grande casa di forma cubica articolata su tre livelli, sormontata da una torretta piccionaia, con accanto un grande edificio quasi in rovina, probabilmente una stalla. È rimasta così come era e, per quello che abbiamo potuto sapere chiedendo in giro, mai più abitata. È ubicata fuori del centro abitato, in campagna circondata da terreni e aziende agricole. L’ingresso è quasi oscurato da una fitta vegetazione selvatica che copre anche una delle due parti rimaste di un vecchio e sgangherato cancello rossastro. La terra è delimitata solo da bassi muretti a secco senza alcuna recinzione e non è coltivata. Il vialetto che dal tratturo conduce alla casa è ormai una intricata selva, in cui si avanza davvero a fatica e la casa è distante una settantina di metri. Arrivati nei pressi, notiamo che si presenta ormai sotto forma di rustico, senza più intonaco, senza più infissi alle finestre. È diventata il rifugio di tantissimi piccioni: il che vuole dire che dentro sarà sommersa di guano. Nel piano basso si accede attraverso una porticina di ferro un tempo rosso, diventato ormai rosa scuro sotto l’azione del sole. C’è una rimessa di attrezzi agricoli ed altri ambienti dedicati al lavoro. La facciata che guarda la stalla (o quello che era) è anche l’ingresso per la casa che si sviluppa sui due piani superiori: al primo piano una zona oggi diremmo “living” con una grande cucina e un ambiente che era probabilmente sala da pranzo ed al secondo piano un’altra, la zona notte, con e stanze da letto. Poi, in cima la piccionaia. Nella facciata scarna si nota subito un anello infisso in un cubo di marmo inserito nel muro dove si attaccavano gli animali, forse asini o cavalli.

Il portoncino di ingresso è spalancato; si nota lo spezzone di una vecchia catenella arrugginita che un tempo forse serviva a chiuderlo. E così decidiamo di entrare a dare un’occhiata, non senza una certa ansia, alimentata anche dai battiti di ali dei piccioni presenti nell’edificio simili a bisbigli che ci fanno sobbalzare. Le scale, strette e illuminate solo da finestrini sugli ammezzati, conducono al primo piano. Riusciamo ad immaginare i due assassini che salgono con circospezione i gradini al buio per colpire appena fosse stato il momento. Al primo piano ci sono una stanza di disimpegno e due grandi ambienti attigui: una grande cucina con una sorta di forno a legna ed un grande camino e quella che forse era una sala da pranzo. È qui che la famiglia ha trascorso la sua ultima sera, ignara del suo tragico destino. È in queste stanze che hanno trovato la morte Rosario e Caterina. Salendo ancora sull’ammezzato si trova un microscopico bagno, praticamente solo un piccolo wc. L’ultimo piano è occupato da quelle che erano le stanze da letto, ora completamente vuote eccetto qualche scritta e i soliti resti di candele bruciate per riti pseudo satanisti. Una stanza molto grande presenta una sorta di strano camino che ci provoca un tuffo al cuore; crediamo sia il posto dove si dice che Pasqualina nascose Antonia per proteggerla da un eventuale ritorno dei suoi assassini. L’edificio, ormai scarnificato, presenta segni di un qualche incendio divampato al suo interno come da porte e muri anneriti in più parti. Come pensavamo è pieno di guano di piccione ed alcuni solai presentano segni di possibili cedimenti per cui è più salutare camminare sul perimetro. Corrono voci di una trasformazione del podere in una struttura ricettiva turistica, ma almeno per il momento sembra solo una diceria. Infatti, non c’è alcun segno di vita o attività umana in tutto il perimetro e la casa solitaria attende malinconicamente il suo destino.

Lasciamo la casa in rispettoso silenzio, consapevoli che questo è una specie di tempio della follia umana ma anche dei miracoli: un miracolo chiamato Antonia.

Abbiamo evitato di pubblicare immagini dell’interno nonostante sia ormai solo una vecchia casa vuota ed abbandonata e nonostante sia passato più di un secolo dalle vicende. Desideriamo rispettare la tragedia di cui questo luogo è stato testimone. Come si dice, il dolore come la pietà non hanno età. 

30.9.2022

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