NOME IN CODICE "PROTO": il fantasma nelle viscere della montagna

TIPOLOGIA: ex base militare NATO 

STATO DEI LUOGHI: molto fatiscente/pericoloso

ACCESSO: molto difficile

MOTIVO ABBANDONO: mancanza interesse strategico/passaggio al demanio 

INTERESSE: fotografico, storico, emotivo

Dichiarata ufficialmente stazione del sistema di comunicazioni ACE HIGH, la Base Proto era in realtà un prototipo di base segreta che, in caso di attacco nucleare, chimico o batteriologico, avrebbe dovuto fungere da bunker e centrale operativa indipendente di controllo per gli ufficiali del comando NATO di stanza nelle basi di Bagnoli (Napoli).

STORIA

La NATO (North Atlantic Treaty Organization) nacque alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, come difesa dei paesi “occidentali” dal regime sovietico e le sue mire espansioniste per l'affermazione globale dell'ideologia comunista. Dunque la Nato nasce con e per la cd “guerra fredda”. La risposta del blocco sovietico si ebbe nel 1955 con la nascita del Patto di Varsavia. Fu verso la fine degli anni cinquanta che la guerra fredda cominciò ad assumere contorni più acuti e avrà culmine di espressione nella costruzione del famigerato “muro” di Berlino nel 1961 e nella crisi dei missili sovietici a Cuba nell'ottobre del 1962. Ed è proprio in quegli anni che nasce il progetto della Base Proto, una base che avrebbe dovuto far fronte ad una eventuale apocalisse mondiale e che, quindi, doveva essere pronta a tutto e dotata di tutto. La base si sviluppa interamente sotto terra, se si eccettuano una serie di casematte e torrette di avvistamento oggi perse in una boscaglia lussureggiante. Quasi due chilometri di gallerie che penetrano nel massiccio calcareo del Massico da una parte all’altra, con due ingressi principali (un ingresso Est, un ingresso Ovest) ed uno di emergenza che sbucava sulle alture in un posto non ben precisato. Il tunnel si percorreva in macchina (c’era un addetto che portava i militari all'interno della base), ma dagli anni settanta fu sostituito da un trenino elettrico. La vera base si sviluppava al centro della galleria con vari accesso blindati sul fianco sinistro (se si proviene dall’ingresso Est) ed era divisa in cinque blocchi, su due livelli, collegati tra loro da un tunnel parallelo a quello di accesso. La base era dotata di protezioni elettromagnetiche (EMP), impianti di aria pressurizzata, varchi anti radiazioni e generatori di corrente, in modo da poter assolvere alle sue funzioni in maniera completamente autonoma, ma per un massimo di 2 mesi. Aveva palestre, cinema, mensa, ritrovi per i soldati con bar e sala biliardo, alloggi per ufficiali, soldati e tecnici. La sala controllo Raoc (Region Air Operations Center) era l’anima della base ed era accessibile sola a pochi con chiavi a codice. Dalla Raoc si poteva intercettare qualsiasi cosa volasse o navigasse da Gibilterra fino alla Turchia. Inoltre, Proto, come la base di Montevergine, era un terminale del sistema di ascolto e trasmissione Ace High. Ci vivevano mediamente 300 persone, ma durante le esercitazioni si poteva arrivare anche a mille.

Questa base era talmente segreta che era vietato fotografare al suo interno e persino parlarne. Non ci sono immagini, almeno di pubblico dominio, di quando era in funzione. Un cartello, di cui si sono perse le tracce, recitava: “Whatever you hear, see and do at Proto, leave it here” (qualunque cosa che sentite, vedete oppure fate nel proto lasciatela qui). 

Con il crollo dell’URSS, simbolicamente anticipato dall'abbattimento del muro di Berlino, e la fine della guerra fredda la base perse gradualmente la sua funzione strategica e fu chiusa; poi, ufficialmente abbandonata nel 1996. Passata nel tempo sotto la responsabilità della Marina Militare, è infine entrata nella disponibilità dell'Agenzia del Demanio. Da allora è rimasta così, muta testimone di un epoca ormai lontana, ma di cui si sentono ancora oggi gli echi profondi, come quelli che rimanda il tunnel della base. 

PREPARATIVI

La base è stata sigillata da entrambi gli accessi con un muro di cemento armato spesso un metro a causa dei numerosi furti di materiali, tra cui i cavi il rame, da parte di sconosciuti. Anche se è ormai noto ed anche evidente il modo di ingresso, eviteremo di scriverne per non incoraggiare l’esplorazione a quello che è un luogo inquietante ed estremamente pericoloso. Se l’accesso mette già a dura prova chi entra, una volta dentro il tunnel bisogna camminare per più di un chilometro, nella più totale oscurità, in una galleria piena di insidiose voragini, per arrivare alla base vera e propria. Più ci addentra e più l’aria si fa pesante, sale l’umidità e l’inquietudine di sapersi soli nelle viscere profonde di una montagna. Tutto diventa greve, ovattato. 

E’ necessario tornare indietro, riavvolgere il nastro di una settimana, quando abbiamo fatto un sopralluogo esplorativo (l’ennesimo) in entrambi i vecchi punti di accesso per saggiare la fattibilità di questa via di penetrazione. A patto di essere abbastanza agili e non soffrire di claustrofobia, l’accesso - anche se non facile - è possibile. Oltre c'è l’ignoto. Della base non ci sono planimetrie, fotografie di quando era in funzione …nulla. Inoltre, non sappiamo dello stato attuale dei luoghi, ma è troppa la voglia di vederla. Così ci diamo appuntamento ad una settimana; il tempo necessario per procurare corde, sacche adatte per il materiale da proteggere, tute e guanti protettivi, maschere etc. E’ necessario anche una fonte principale di illuminazione abbastanza forte da penetrare l’oscurità assoluta per ottenere immagini decenti. Contiamo di stare dentro dalle tre alle cinque ore e quindi serve luce per almeno il doppio del tempo. Ognuno di noi avrà, oltre la torcia principale, anche due fonti luminose di emergenza. La lampada principale, con il suo grande pacco batterie, avrà un suo zaino affidato ad uno del gruppo e servirà per le riprese negli ambienti più grandi e significativi, come la sala Raoc, che speriamo di trovare. L’idea è di camminare il più possibile verso la base, verificarne l’ingresso e lo stato e, in caso di problemi, tornare indietro.

Arriviamo al giorno del tentativo di esplorazione e sottolineo tentativo, perché per questo genere di luoghi il condizionale è d’obbligo. Bisogna sapere aspettare, eventualmente rinunciare se le cose non sono tutte al giusto posto.

ESPLORARE PROTO

Saliamo per un viottolo non asfaltato di campagna. All'imbocco, ci accoglie un vecchissimo cartello arrugginito e sbiadito, certamente coevo all'epoca di inaugurazione della base, su ci a mala pena si legge: “ZONA MILITARE divieto da parte di persone estranee di eseguire fotografie, cinematografie e rilievi di qualsiasi genere.” La strada è aperta e non ci sono altri cartelli o avvisi. La macchina passa a misura in mezzo a rovi e piante cresciuti a dismisura. Arriviamo dopo alcuni minuti ad un grande spiazzo deserto da cui si scorge in alto nella fitta boscaglia una vecchia murazione in cemento armato ed una serie di torrette. Scaricato il materiale ci prepariamo, scherzando tra noi per allontanare l’inevitabile tensione associata alla altrettanto forte emozione. Uno di noi entrerà per primo con la cima e recupererà da dentro le sacche e gli zaini cordati che legheremo all'estremità. Poi entreranno gli altri. Dopo una decina di minuti siamo tutti dentro. C’è molta umidità, l’oscurità è assoluta e c’è un inquietante eco che rimanda con notevole ritardo e deformati tutti i rumori, dandoci la sgradevole impressione che ci sia una base fantasma attiva in fondo, nel buio davanti a noi. Concordiamo alcune regole di sicurezza da rispettare, prima delle quali: tutti uniti, nessuno deve staccarsi dal gruppo per nessun motivo. All’esterno tre persone sono allertate in caso di nostra prolungata assenza: se, a partire dalle 16, non risponderemo per più di un’ora al cellulare avranno il compito di avvisare i soccorsi, rivelando la nostra posizione. Dobbiamo, quindi, sbrigarci per evitare di dover uscire prima del tempo, perché qui dentro non arriva alcun segnale, di alcun genere. Si è completamente soli, con i propri problemi e le proprie paure.

Un ultimo cenno che tutto va bene e ci incamminiamo, camminando in fila indiana al centro per evitare le tante buche che si incontrano lungo il percorso ai lati del corridoio. Dopo qualche centinaio di metri, compaiono sedie dall'aspetto antiquato, pezzi di motore, alcune brande e cataste di proteggi cavi di ferro ormai arrugginito. 

Camminiamo ormai da quasi un quarto d’ora, con il pavimento che è diventato viscido e scuro, quando finalmente ci imbattiamo nella grande porta anti atomica biancastra in una rientranza del tunnel. La porta è massiccia, quadrata e si muove ancora dolcemente sui cardini. 


Il primo istintivo pensiero di tutti è verificare se la porta si possa accidentalmente chiudere e rimanere bloccata: sarebbe la fine per tutti noi. Ma è pesante da spostare, aperta per metà e l’aria è decisamente immobile qui dentro. Decidiamo che è sicura ed entriamo. Di qui comincia la vera e propria base e la consapevolezza che tutto quello che finora ci è sembrato strano e complicato in confronto è stata una passeggiata. Se possibile, la sensazione di oscurità qui è ancora più acuta; il pavimento è viscido, ingombro degli oggetti più strani. Tutto è incredibilmente logorato, decadente, come se fossero passati secoli e non ventiquattro anni. Tutte le strutture sono fatiscenti, cadute o parzialmente cadute, in un groviglio che in alcuni ambienti ricorda una foresta tropicale di metallo che rende sconsigliabile avventurarsi. Qui dentro c’è anche il problema di orientarsi, perché non si tratta più di procedere in un tunnel quasi rettilineo, ma di orientarsi in un dedalo di corridoi da cui si dipartono altri corridoi in una teoria apparentemente caotica; il tutto su due livelli. Tocca fare ipotesi sulla collocazione degli ambienti e orientarsi a braccio.


Decidiamo di esplorare un settore per volta. Siamo anche fortunati perché troviamo già steso il “filo di Arianna” di sicurezza di una delle tante spedizioni che si sono avventurate qui in tutti questi anni. Cominciando dal primo, troviamo la bellissima centrale elettrica, cuore pulsante di questa avveniristica base. 


LA CENTRALE ELETTRICA

Man mano che entriamo negli altri blocchi ci rendiamo conto che la base è molto più grande e articolata di come ci immaginavamo. Molti degli angusti corridoi, che ricordano quelli di una nave da guerra, ospitano gli alloggi dei militari ed è la parte in condizione di estremo degrado. Muffa e ruggine ricoprono tutto, il pavimento è a tratti assai scivoloso. Siamo stati facilitati, come detto, dall'aver trovato i fili di sicurezza già stesi da precedenti spedizioni ed abbandonati li.

Dopo aver percorso un’infinità di corridoi, ambienti irriconoscibili e scale fino quasi a perdere il senso dell’orientamento, finalmente sbuchiamo nella zona dedicata al relax del personale dove c’è quello che era il ritrovo bar, una grande sala da biliardo, un cinema. Poi sale docce, ancora uffici, alloggi, ma della sala di controllo Raoc ancora nessuna traccia. 


LA SALA DA BILIARDO

IL BAR

IL CINEMA

STEMMA DI UNO SQUADRONE NEL BAR                                        ACCESSI PER L'OSSIGENO DI EMERGENZA

 

Ritenendo che potesse esserci qualcosa nel tratto di tunnel principale, vi torniamo e lo percorriamo, ma senza trovare nulla fino al muro di chiusura dell’ingresso Ovest. Il tempo stringe, bisogna tornare indietro alla base e cercare meglio.

LA SCRITTA PEDONI A SINISTRA TESTIMONIA L'USO DI VEICOLI DENTRO IL TUNNEL

Deduciamo che la sala controllo debba essere al livello superiore in una zona che ancora non abbiamo raggiunto. Così ci avventuriamo in un corridoio non esplorato e, appena trovato un accesso al livello superiore, vi saliamo. Compare un vano ascensore con la cabina ferma al pian terreno e nulla più sopra a conferma che il terzo livello di cui si fantastica non dovrebbe esistere. Una sala ingombra di ferraglie diversa dagli ambienti incontrati finora, più pulita ci dice che forse siamo vicini. 

Percorsa un'altra scala in muratura arriviamo ad altri ambienti e poi una misteriosa scaletta di ferro. E' piuttosto malridotta e decidiamo che è più prudente salire uno alla volta. Il primo che sale urla trionfale: "ragazzi ce l'abbiamo fatta ... è qui!!!" Entriamo tutti nella sala delle operazioni; ci appare un’enorme mappa del Mediterraneo con a fianco un tabellone, tipo quelli degli aeroporti, con tutte le basi aeree d’Italia, Grecia e Turchia e i relativi codici Nato. Ci sono nomi noti: Aviano, Sigonella, Comiso, Falconara. Il sogno si è concretizzato, quello che avevamo visto solo nelle foto e nei filmati di quelli che ci hanno preceduto qui è ora davanti ai nostri occhi. Sembra di essere sul set di un film di 007 tanto che appare irreale. La sala operativa è visibile da vari livelli, ma noi siamo voluti scendere anche nel più basso che permette l’accesso all'interno, per poter ammirare da sotto e più vicino i tabelloni. Forse è stato un errore. Siamo sopra una passerella rialzata che termina con una ringhiera di ferro. L’entusiasmo ci ha fatto abbandonare per un attimo la prudenza e l’attenzione; non ci accorgiamo che il pavimento è di legno ed è completamente marcio, con segni di cedimento in più punti. Ad un certo punto sentiamo delle grida e vediamo Anna precipitare verso il basso, per fortuna solo per una settantina di centimetri. Il pavimento ha ceduto sotto il suo piede destro e lei si è incastrata letteralmente con la gamba penzoloni nel vuoto. Se la caverà con un grosso spavento e una vasta escoriazione alla coscia. E’ andata di lusso, poteva finire davvero male e questo è il segnale che è tempo di lasciare la base e tornare nel mondo di oggi, al sole e all’aria aperta. Non bisogna mai sfidare la sorte più del dovuto. E così torniamo ordinatamente all'ingresso e poi nel tunnel, che dopo un quarto d’ora di cammino ci riporta all’uscita. 


La sala controllo Raoc (Region Air Operations Center) era l’anima della base ed era accessibile sola a pochi con chiavi a codice. 

Ci sarà altro? Molti vociferano di un terzo livello più segreto della stessa base segreta. Abbiamo trovato una lunga scala di ferro che si perdeva nel buio di un pozzo verticale, ma non l'abbiamo percorsa perché era completamente arrugginita ed aveva un aspetto poco rassicurante. E' una uscita di emergenza che si ricollega con i pozzi di ventilazione e di espulsione dell'aria viziata. Altri gruppi esperti di discese in cordata ha avuto accesso anche da qui.

Siamo comunque molto grati di aver potuto fare questo viaggio nel passato recente e nella storia più intima della guerra fredda. In definitiva questa è stata l’esplorazione più impegnativa che ci sia capitata di fare e ce ne porteremo per sempre il ricordo. 

IL VIDEO


ESCLUSIVA: recentemente siamo riusciti a rintracciare una persona che ha lavorato e vissuto nella Base Proto ed ottenere una breve intervista:

PARLACI UN POCO DI TE: CHI SEI, COME SEI ENTRATO ALLA BASE PROTO E CHE COMPITI SVOLGEVI

Mi chiamo Davide Infascelli, sono nato a Napoli. Nel 1985 facevo il servizio militare alla base NATO di Bagnoli e, siccome parlavo bene in inglese, fui scelto dal mio comandante tra i soldati da assegnare alla base Proto. In particolare, bisognava creare un Bar Ritrovo, adiacente alla sala biliardo e alla sala cinema, per completare l’aerea ricreativa per le truppe della base. Alla fine fui scelto ed ho contribuito a creare quel nuovo spazio e ci ho lavorato per alcuni mesi. Poi, terminato il militare, ho lavorato nel 1988 per circa 7-8 mesi come manutentore.

CHE RICORDI HAI DELLA VITA TRASCORSA DENTRO LA BASE

Ho tanti ricordi personali, quali possono essere di un giovane di 18 anni che nell'epoca della guerra fredda e del HIV si trovava a lavorare e vivere in un posto leggendario come quello. Molti belli, alcuni brutti, ma una esperienza sicuramente importante.

COME ERA ORGANIZZATA LA BASE

Era una base logistica di comando e trasmissioni per tutte le forze armate presenti nel sud Europa, in effetti il cuore delle trasmissioni e logistica delle stesse. Coordinava tutte le operazioni nel mediterraneo della NATO ed era quindi il terminale di quel allora sofisticato sistema di “ascolto” chiamato ACE HIGH che si articolava in molte basi.

CHI POTEVA ENTRARE NELLA SALA OPERATIVA

Esclusivamente il personale militare addetto. Alla sala ed altri accessi che necessitavano un’autorizzazione, potevano accedere militari e civili non addetti, ma solo con un apposito pass. Io ne avevo uno e quindi conoscevo bene la sala controllo e quello che si faceva.

CHE COSA SI FACEVA NELLA SALA RAOC 

Essenzialmente, si monitoravano tutti gli spostamenti per mare e per aria nel mediterraneo e si mantenevano i contatti con i comandi delle forze alleate presenti nel territorio. Si facevano sette giorni di esercitazioni ogni sessanta giorni e in quei giorni la base si riempiva. Dopo l'esercitazione restavano solo i manutentori e gli ufficiali di turno per l'emergenza. C’era una grande mappa dell’Europa del sud sul quale i posizionavano fisicamente dei modellini di aerei e navi con nomi  in codice Nato,  per dare un’impressione  visiva  ed  immediata  


della situazione a chi era al comando. Accanto alla mappa, si vede una apposita struttura movibile di ferro con un sediolino che serviva proprio a questo. Oggi questo farebbe sorridere, ma consideriamo che questa è una base degli anni cinquanta.

SI VOCIFERA DI UN TERZO LIVELLO NASCOSTO, ESISTE?

Per quello che ne so io, ed ho vissuto lì per 11 mesi girando tutta la base, assolutamente no

LA LUNGA SCALA DI FERRO CHE SALIVA ATTRAVERSO UN POZZO A COSA SERVIVA E DOVE PORTAVA

All'esterno, se ti riferisci a quella centrale del tunnel di accesso. Si trattava di una uscita di emergenza.

OLTRE I DUE INGRESSI NEL TUNNEL C’ERA ALTRO MODO PER ACCEDERE ALLA BASE

A parte la scaletta di emergenza, no.

SI FABBRICAVANO ARMI ALL’INTERNO E C’ERA MATERIALE RADIOATTIVO

 Assolutamente no, tantomeno non c'erano armamenti pesanti o tattici. La Proto era essenzialmente un Bunker sicuro, perché nel cuore di un’alta montagna e dotato di tutti i più avanzati sistemi di sicurezza per l’epoca, in caso di guerra nucleare, destinato a postazione di comando delle operazioni e terminale delle trasmissioni del complesso sistema denominato ACE HIGH. Proprio per questo era segreto e non era dotato di strutture offensive.

GRAZIE MILLE DAVIDE

Grazie a voi


L'esplorazione è stata fatta nel rispetto dei luoghi e degli eventuali cartelli di divieto presenti. Nessuna intrusione in luoghi protetti da chiusure, barriere, cancelli o in presenza di divieti è stata fatta. Nulla è stato toccato e/o prelevato. Inoltre, non aveva alcun intento commerciale, ma solo di conoscenza e documentazione.

 

IL PRESENTE ARTICOLO NON COSTITUISCE IN NESSUN MODO UN INVITO O UN INCORAGGIAMENTO ALL'ESPLORAZIONE. I LUOGHI SONO FATISCENTI E PERICOLOSI. CHI LO FACESSE, SE NE ASSUME OGNI CONSAPEVOLE RISCHIO. AD OGNI BUON CONTO RICORDATE SEMPRE LA REGOLA "LEAVE ONLY FOOTPRINTS AND TAKE ONLY PHOTOS", LASCIATE SOLO IMPRONTE E NON PRENDETE NULLA SE NON IMMAGINI.