DIS/AVVENTURE DI VIAGGIO

Viaggiare è spesso problematico: ritardi e annullamento voli, bagaglio smarrito, alloggi scadenti nonostante le promesse, malanni improvvisi legati al clima o alla regione etc. E’ importante che il viaggiatore abbia una certa pazienza e adattabilità, e non si faccia scoraggiare dai contrattempi e, per quanto possibile, sappia prevenirli ed essere preparato ad affrontarli. Se molte insidie possono essere evitate, o limitate, con un po’ di accortezza ed esperienza, la “disavventura” è sempre dietro l’angolo e spesso assolutamente imprevedibile. Tuttavia, ritengo che ciò sia parte essenziale del viaggio, come della vita, e che questo non sia la rigida perfezione, ovvero solo ciò per cui abbiamo deciso di recarci in un luogo, remoto o meno, del pianeta. Il viaggio è la programmazione, l’attesa e la tensione prima, le file, i trasferimenti, gli interminabili voli, le difficoltà incontrate in loco poi. Il viaggio non è solo ciò che abbiamo in mente di vistare, ma soprattutto il percorso per arrivarci e il modo in cui superiamo le insidie ed i problemi che si presentano inevitabilmente. Chi ha viaggiato tanto, soprattutto in luoghi remoti e disagiati, sa di cosa parlo. Sono tutte quelle cose strane che ci capitano che renderanno il viaggio unico e andranno a formare la parte più piacevole e vivida dei ricordi. Una volta finita l’ansia e la sensazione di claustrofobia che certe situazioni determinano, rimarrà la piacevole sensazione dell’esperienza fatta e dell’avere capito come superarla; un bagaglio di conoscenza prezioso per se stessi e chi farà lo stesso percorso. A dirla come un vecchio proverbio marinaresco: “A smooth sea never made a skilled salilor”. Potremmo tradurlo alle nostre esigenze con: “i viaggi semplici non fanno il viaggiatore esperto”.  E così, quando ci si ritrova tra amici a parlare di qualche meta di viaggio, si finirà certamente per raccontare con un certo grado di compiacimento e divertimento le proprie disavventure, intendendo per queste non episodi gravi e funesti che tutti ci auguriamo di tenere sempre lontani, ma quelle buffe circostanze legate alla non conoscenza perfetta dei luoghi o al puro caso. Meglio di qualunque astratto discorso sono gli esempi pratici. Qui di seguito, ci diverte raccontarne qualcuna che ci è capitata messe così senza ordine cronologico, come mi venivano in mente.

 

 2008 NORMANDIA - SMARRIMENTO DELL’AUTO NELLA BAIA DI MONT SAINT MICHEL.

 

Quando lasciate l’auto nella baia di Mont Saint Michel per visitare l’abbazia, oltre agli orari della marea (le tavole di marea troverete anche all’ingresso dell’abbazia stessa), fate attenzione a prendete dei riferimenti visivi per tornare all’auto. A fine giornata, quando era ormai quasi scesa la notte, non appena scesi sull'istmo che collega l’isolotto alla terra ferma, ci accorgemmo con grande sorpresa che l’abbazia non resta illuminata tutta la notte, come si sarebbe portati a pensare. Usciti tutti i visitatori, ad un certo punto si spengono le potenti luci che rischiarano dal basso tutto l’isolotto di Mont Saint Michel e la baia piomba nell'oscurità. Chi non avesse, come noi, preso dei riferimenti precisi di dove ha lasciato l’auto vagherà sulla distesa di sabbia nel buio, ogni tanto rischiarato dai fari delle altre auto che vanno via, alla ricerca affannosa della vettura. E se la stessa non è stata parcheggiata sotto l’istmo che porta a Mont Saint Michel, la ricerca sarà veramente difficoltosa. Inoltre, la visuale dell’area di parcheggio è spesso coperta dalle centinaia di camper che giungono numerosissimi nella notte. Dopo una vana ricerca, dovemmo ricorrere all’aiuto dei guardiani. Basandosi sul nostro orario di arrivo e con l’aiuto di potentissime torce che, come lame iridescenti, fendevano l’oscurità in profondità, riuscirono a localizzare la nostra macchina. Ci sentimmo davvero degli idioti ma, a sentire gli stessi guardiani, succede molto spesso e la loro principale attività è aiutare le persone a ritrovare l’auto. 

 

2010 ISOLA DI HIUMAA MAR BALTICO – AFFANNOSA CORSA IN BICICLETTA PER NON PERDERE L’ULTIMO TRAGHETTO.

 

 Arrivammo a Hiumaa, isola nel mar baltico di fronte all’Estonia, in traghetto da Hupsaala. C’è solo una corsa ad andare ed una a tornare al giorno. Eravamo molto lontani da Tallinn, dove avevamo la base. Il volo di rientro in Italia era il giorno dopo. Appena sbarcati, c’era la possibilità di noleggiare solo biciclette e così ne prendemmo due e ci incamminammo verso la penisola di Kardla per vedere un bel faro ed il monumento ai naufraghi dell’ESTONIA. Calcolammo malissimo le distanze, grazie ad una mappa alquanto tarocca che ci avevano dato, ed il ritorno attraverso foreste e sterrati assomigliò molto ad una tappa del giro d’italia. Se fossimo arrivati tardi avremmo perso l’Autobus per il ritorno e di conseguenza anche il traghetto e, con esso, l’aereo per tornare a casa. Ce la facemmo per un pelo. 

 

2010 INGHILTERRA, WINDSOR - ABBANDONATI DAL NOSTRO GRUPPO

 

 Durante un tour in pullman comprato a Londra che toccava Windsor, Stonehenge e Bath, venimmo “abbandonati” a Windsor per un ritardo al piazzale dei Bus di solo tre minuti. Riuscimmo ad arrivare a Stonehenge, dove era diretto il nostro gruppo, grazie all’aiuto di un irlandese di nome Sean, anch’egli guida turistica, che ci dette un passaggio sul suo Pullman. Dopo averci presentato a tutti, iniziò ad inveire contro la concorrenza. Fu imbarazzante ma, al tempo stesso, divertente essere diventati attrazione di un altro gruppo e inconsapevoli sponsor di una agenzia concorrente.

 

2011 MICRONESIA, ARCIPELAGO DI PALAU: PERSI NELLA CORRENTE OCEANICA  

 

 Dopo l’immersione sul muro di corallo,  invece che affrontare le forti correnti del promontorio si usa “tagliare” per una sella di corallo che forma un canalone in collegamento con la baia dove attendono le barche: Ulong channel. La corrente è talmente forte che non si fa alcuna fatica pinneggiare, basta lasciarsi andare nel flusso. E’ come volare. Ma quel giorno era davvero impetuosa, e perdemmo nel tragitto la guida e il gruppo. Dopo alcuni minuti di “rodeo”, il canalone di corallo si allargò, il fiume in piena si arrestò e approdammo su un pianoro sabbioso. Davanti a noi una grande  baia con decine di barche in lontananza. Erano tutte simili, “quale sarà la nostra” ci chiedemmo perplessi? Ne avviciniamo una che ci aiutò a cercare la nostra dove il resto del gruppo stava appena salendo a bordo. 

 

2007 PRAGA - FINTO POLIZIOTTO.

 

 Venimmo fermati e multati da quello che probabilmente era un finto poliziotto. Il suo comportamento era molto guardingo, quasi losco, ma vista l’irrisorietà della somma (circa 5 € di adesso in moneta locale) preferimmo pagare che iniziare una discussione. Poco dopo, fummo fermati di nuovo da una pattuglia di polizia, questa volta autentica, e raccontammo l’accaduto, facendo vedere la ricevuta della multa. Loro confermarono la nostra impressione e cioè che si trattasse di un finto agente. Tuttavia, non stesero un verbale con la nostra dichiarazione ed una descrizione dell’individuo; ignorarono del tutto la cosa. E questo è uno dei limiti della repubblica Ceka: la scarsa attenzione agli stranieri e alle insidie di cui spesso rimangono vittime. 

 

2014 MADRID– VIAGGIO CON ALTRA IDENTITA'

 

 Dopo aver emesso le carte di imbarco dei voli per Roma e per Napoli, l’hostess del banco Alitalia dell'aeroporto di Madrid mise i biglietti dentro al mio passaporto. Di solito controllo, ma quel giorno non lo feci. Consegnato al Gate di imbarco passaporto e biglietto, mi imbarcai sul volo per Roma. Arrivati a Roma tardava ad arrivare la scala per scendere dall’aereo. Così, scesi con grande ritardo e, con la coincidenza molto ravvicinata, mi toccò fare una corsa per non perdere il volo per Napoli. Ma, quando arrivai al Gate di imbarco del volo per Napoli, mi dissero che l’imbarco era chiuso e che tutti erano saliti a bordo. Feci presente il disagio subito a bordo del volo di Madrid, ragione del mio, ritardo ed il fatto che il volo non era affatto completo mancando un passeggero, cioè me. La Hostess controllò la lista e precisò che risultavo non partito da Madrid, così che il volo per Napoli risultasse completo e chiuso l’imbarco. Mentre mi accingo a mostrargli il biglietto, mi accorgo con raccapriccio che su quello Madrid - Roma non c’era scritto il mio nome ma altro e persino femminile. Ho dovuto così aspettare il volo successivo, che era ben 7 ore dopo. A niente sono servite le mie urla che hanno scomodato diversi funzionari. L’unica cosa che ho ottenuto sono le scuse dell’addetto dell’Alitalia a Fiumicino, una cena pagata e un nuovo biglietto di imbarco.  Si discute tanto di misure di sicurezza e poi si lascia salire a bordo qualcuno con nominativi diversi su passaporto e biglietto.

 

2006 PARIGI - DUE ORE DI MARCIA FORZATA NEL CUORE DELLA NOTTE.

 

 Eravamo per un soggiorno di alcuni giorni a Parigi e capitò una "notte bianca" nel giorno prima della partenza. Decidiamo di parteciparvi anche se la mattino seguente avevamo il volo di rientro per l’Italia. Prendiamo la metro da Gare du nord fino ad Arc de Trionfe. Il vialone dei Champs Elysee era addobbato con luci scintillanti e tantissime statue di animali di ghiaccio e stavano cominciando lentamente a sciogliersi, riempiendo di acqua la strada.  Non essendoci nulla altro che bar affollatissimi, feste private, decidemmo di tornare in albergo, ma la metro che doveva rimanere aperta fino a tardi era chiusa. Inspiegabilmente, tutti i mezzi pubblici sembravano spariti. Pochi pullman pieni come un uovo e poi più nulla. Persino i taxi non si fermavano alla richiesta di corsa. Non abbiamo mai capito perché! Abbiamo incontrato nel lunghissimo tragitto fino all’albergo altri italiani esterrefatti e confusi. La disavventura mi è costata una fastidiosa “fascite plantare” durata alcuni mesi, per la lunga camminata con scarpe non troppo comode. A nulla è servito al ritorno   immergere i piedi nella vasca con acqua calda per un’ora.

 

1989 LAS VEGAS:  STRANO INDIVIDUO MI SEGUE DI NOTTE.

 

Nel tardo pomeriggio, appena calato il sole abbacinante, decido di andare in un enorme store di musica della tower record in una strada un po’ fuori mano di Las Vegas. Mi accorgo tardi che le distanze sono enormi e la strada sembra non avere fine. Non arriverò mai al negozio. Fattosi buio e con una sete tremenda, decido di entrare e sulla strada entro in quello che se sembrava un bar, l’unico incontrato aperto. All’ingresso mi chiedono i documenti e non capisco perché, o meglio lo capisco solo quando entro. E’ un lap-dance bar. Un po’ sorpreso, penso di uscire, ma ho troppa sete e ordino prima qualcosa bere, quando si avvicina una bruna alta e in costume da bagno, non giovanissima ma devo dire molto bella, che cerca in tutti modi di abbordarmi, specie appena capito che ero un povero straniero da spennare. All’epoca avevo appena 22 anni, ero in viaggio con mio fratello ed un gruppo di canoisti, non conoscevo ancora nemmeno mia moglie Anna. Cercai con molto tatto di declinare l’invito. La tipa si fa sempre più insistente e alla fine anche aggressiva. Il barista, un enorme nero tutto tatuato, visto il mio imbarazzo anche linguistico, pensò lui ad allontanarla. Terminata la mia bevanda, placata l’arsura, uscii dal locale. Ormai era buio pesto e non c’era anima viva per strada. Dopo qualche minuto mi accorgo di essere seguito a distanza da un ragazzo nero molto alto e magro. Preoccupato, vista l’ora e la strada deserta, accelero il passo, ma il tipo camminava più veloce di me e in poco tempo mi era dietro di pochi passi. Cominciai ad essere seriamente spaventato, pensai ad un rapinatore. Ad un certo punto, mi sentii chiamare e decisi di affrontarlo; gli chiedo secco perché mi stesse seguendo. La risposta però non fu aggressiva, anzi aveva un tono di scuse. Biascicò qualcosa tipo “have seen you in the gloom before, what’s wrong?”. Così gli disi che ero italiano e di spiegarsi meglio. A farla breve, era un certo Andrew Peterson presente nel bar e si era divertito a vedere la scenetta di me e della “lap dancer”; voleva sapere cosa fosse successo. Insomma, stava anche lui tornando a casa e voleva solo farsi una chiacchierata con qualcuno. A me quella volta è venuto quasi un infarto.

 

2010 BERLINO: SPETTACOLINO FETISH DAVANTI AL PARLAMENTO TEDESCO

 

 

In fila per entrare al Bundenstag, notai una bella ragazza bruna, tratti vagamente orientali, a seno nudo ad una ventina di metri di distanza. Indossava solo una gonna corta e scarpe con tacco alto. Ma cosa più assurda, aveva le mani legate dietro la schiena con una robusta cima e una pallina rossa in bocca tenuta da una cinghia legata dietro la testa. Con le mani pur legate, si sfila la gonna rimanendo solo con un minuscolo perizoma. Poi si sfila anche quello e rimane completamente nuda. Un bambino accanto a me nella fila diventò rosso pompeiano, diverse persone ridevano divertite. Io avevo con me uno zoom con escursione focale spinta (400 mm); lo montai e iniziai a fargli foto a raffica, un servizio fotografico, che conservo gelosamente, degno di GLAMOUR. Arrivò, poi, un tipo che le mise una specie di collare da cani borchiato ed un guinzaglio e comincia ad esibirla in giro, il tutto ripreso da un video operatore e da un fotografo. Insomma, sembra che fosse il set di una ripresa genere sado-maso fetish. La cosa che più ci stupì è il luogo dove avvenne, davanti alla massima istituzione tedesca, il Bundenstag, senza che arrivasse polizia. 

 

1994 CUBA, HAVANA: INCONSAPEVOLE TESTIMONE DELLA CRISI CUBANA CD “DEI BALSEROS”.

 

Era l’agosto del 1994. Stimolati da trasmissioni radio dalla Florida e da dichiarazioni di funzionari del Governo nordamericano, dalla metà di luglio e fino all’inizio di agosto 1994, si verificarono a Cuba numerosi sequestri di imbarcazioni marittime statali, al fine di viaggiare verso gli Stati Uniti. Ci furono molti disordini e alcuni morti. Il 5 agosto scoppiarono tumulti sul Malecón, il lungomare dell’Havana, e in altre zone centrali della capitale cubana. Io ne ho assistito ad uno violento sotto il mio albergo, l’Habana Libre. Quello stesso giorno, nelle ore serali, Fidel Castro comparve alla televisione nazionale per un discorso contro Washington, colpevole di promuovere questo esodo illegale; chiarì, anche, che sarebbero state adottate misure per impedire atti di pirateria. I balseros erano appunto quelli che si gettavano in mare su enormi camere d’aria di camion e cercavano di attraversare il mare verso la florida. Il 19 agosto 1994 il Presidente americano Bill Clinton ordinò al servizio di guardacoste nordamericano di non permettere l’entrata dei "rifugiati illegali" da Cuba. Il 9 settembre di quell’anno venne messa fine alla crisi dei balseros, dopo l’accordo sottoscritto da Cuba e Stati Uniti tendente a normalizzare le procedure migratorie bilaterali e entrambi i Governi approvavano il fatto che venissero prese misure per garantire che l’esodo tra le due nazioni avvenisse in modo sicuro, legale e ordinato. Assistemmo senza capire cosa stesse succedendo ad alcune rivolte e dovemmo cambiare albergo. Dopo alcuni giorni andammo via dall’Havana per trasferirci in una più tranquilla località di mare un centinaio di km ad est.

 

 

2011 U.S.A. : TRAVERSATA DALLA FLORIDA ALLE BAHAMAS CON MARE IN BURRASCA

 

Era una sera di novembre, ma a Lake Port faceva caldo e c’era molto vento. Ci imbarcammo su una bel Hatteras di circa una sessantina di piedi, per una spedizione squali tigre alle Bahamas. La partenza avvenne alle due di notte, per minimizzare il disagio legato alle condizioni del mare. Viaggiamo tutta la notte in mezzo ad onde altissime. Dalle pareti e dai mobili del motoscafo cadeva di tutto e qualcuno ha passato la notte in bagno a vomitare. Sentivo dalla mia minuscola cabina continuamente passi nel corridoio diretti in bagno. Era da pochi giorni passato dalla Florida il terribile uragano “Sandy”.

 

2017 ISOLE DI TONGA: PERSI PER DIVERSE ORE NELL’INTERNO DELL’ISOLA DI FOFO’A

 

 

Gli ultimi 5 giorni del nostro lungo viaggio nelle isole Polinesiane del Regno di Tonga, ci trovavamo su un isolotto del complesso insulare di Vava’u chiamato Fofo’a. Si tratta dell’isola più esterna di Vava’u affacciata sul oceano aperto ed abitata da 9 persone: una leggendaria coppia di forestieri, Boris Von Engelbrechten (tedesco) e sua moglie Karyn (inglese) e occasionalmente dai loro tre figli che studiano ad Auckland, in Nuova Zelanda; Matt, un australiano; una coppia neozelandese che trascorre parte dell’anno in una casetta vicina ai Von Engelbrechten

I nostri padroni di casa, Boris e Karyn, si erano molti anni fa trasferiti qui alle Tonga per iniziare una nuova vita ed hanno realizzato su questo isolotto qualcosa di fiabesco.

Hanno progettato e realizzato una fantastica casa a palafitta su una piccola spiaggia ribattezzata la Beach house. La Beach house è interamente costruita con materiale dell’isola: legno della foresta, pietre e blocchi di corallo. E’ energeticamente autosufficiente, alimentata da pannelli fotovoltaici per la corrente ed ha enormi serbatoi per raccogliere l’acqua piovana (alle Tonga le precipitazioni sono abbondanti ed è sufficiente non sprecare l’acqua raccolta). Per molti anni hanno abitato lì ed i loro tre figli piccoli sono cresciuti liberi, con la foresta e l’oceano come palestra di vita, cormorani, sule, delfini, squali, tartarughe e grandi balene come amici. 


LA BEACH HOUSE

 

Nel tempo Boris e Karyn hanno realizzato un lodge più grande, l’Happy Api, dove vivere ed affittare ai viaggiatori la casa sulla spiaggia.

L’happy Api ha una spiaggia approdo, un grande orto dove la coppia coltiva ogni genere di verdura e ortaggio, sperimentando anche.

Per concime utilizzano il guano dei pipistrelli giganti che vanno a raccogliere in una enorme e profonda caverna accessibile solo dal mare battezzata appunto la BAT CAVE; e pare che funzioni benissimo a giudicare dai raccolti.

Insomma, una coppia leggendaria che sembra uscita da un libro di Stevenson o di Defoe. Noi abbiamo avuto la fortuna di abitare per 5 giorni in questo paradiso ed uscire ad immergerci con le balene che incrociano numerose in inverno in queste isole, a volte le abbiamo viste passare davanti alla beach house nella parte profonda della laguna. 

 

HAPPY APY


 

Ebbene, l’isola è praticamente disabitata e non ha strade; è solo percorsa da diversi sentieri nel tempo creati dai pochi abitanti. Le affioranti radici onnipresenti degli alberi un po’ più spianate, qualche cartello di legno con scritta verniciata appeso ai tronchi qua e là indicano in maniera labile la via.

Nei primi giorni di pomeriggio dopo l’escursione in barca abbiamo percorso alcuni di questi sentieri che si inerpicavano la tra la nostra casa e l’happy Api addentrandoci nella fitta boscaglia in cerca di qualche bell’uccello tropicale da fotografare.

Un giorno ne imbocchiamo uno che ci porta ad una casa di legno e muratura circondata da grandi serbatoi per l’acqua, che scopriamo essere un comune rifugio per gli Uragani. Infatti, la nostra guida australiana Tom, venuto ad aiutare Boris per la stagione delle balene, era lì per leggere un libro e schiacciare un pisolino sull’amaca. Tom ci indica un sentiero che avrebbe dovuto portarci ad una piccola altura da cui si poteva fotografare bene la laguna

    HURRICANE SHELTER


Camminiamo per diversi minuti su tappeti intricatissimi di radici e fogliame morto, trovando di tanto intanto qualche segnale. Passiamo anche un capanno di legno che sembrava abbandonato. Dopo circa una mezz’ora realizziamo che forse abbiamo sbagliato qualcosa perché vaghiamo nella boscaglia senza arrivare da nessuna parte. Decidiamo allora di tornare indietro e lentamente sale la preoccupazione per il fatto che sembra tutto uguale e non troviamo il sentiero che ci ha condotto fino a li. L’isola che sembrava piccola, non lo era poi così tanto. Nella fitta boscaglia basta girarsi anche di pochi gradi per prendere direzioni che man mano ti portano sempre più lontano. Ci malediciamo per esserci addentrati così tanto. I cellulari non prendono in tutta l’isola e quindi non possiamo avvisare i nostri amici o Boris. Siamo “isolati” nel senso più letterale del termine! Possiamo solo sperare che vengano a cercarci, dal momento che Tom ci ha visto prendere quel sentiero. La vegetazione è così fitta e alta che non ci permette di scorgere l’orizzonte e la costa per capire dove siamo. Mentre stanchi e sudati cerchiamo di riflettere, scorgiamo una sagoma familiare: il capanno abbandonato che avevamo incontrato. Scorgiamo una serie di indigeni con il machete intenti a lavorare alla terra (ma non capiamo cosa, poiché non ci sono coltivazioni). Cerchiamo di farci capire a gesti poiché parlano solo il loro dialetto polinesiano e nemmeno il nome di Boris sembra dirgli molto. Poi sembra che capiscano “Happy Api” e annuendo ci indicano una direzione. 

 

Percorriamo finalmente qualcosa che abbia più somiglianza con un sentiero, un viottolo sterrato in lieve declivio che percorriamo fiduciosi pur non avendolo mai visto.

Dopo due ore è la cosa più simile alla civiltà che vediamo. Purtroppo, ci conduce ad una spiaggia che si affaccia su una laguna con un isolotto che non abbiamo mai visto. Sulla spiaggia ci sono diverse piroghe a bilanciere, di quelle ricavate dai tronchi scavati di certi alberi. Forse è con queste che sono arrivati quegli uomini incontrati nella boscaglia. 


Non sapendo più che fare, pensiamo che forse a nuoto facendo il giorno prima o poi saremmo arrivati a casa. Tuttavia, non conoscendo bene l’isola riflettiamo sul fatto che così magari è ancora più pericoloso (correnti, squali etc.). All’improvviso, arrivano un gruppo di uomini armati di machete ed una vecchia carriola sgangherata piena di bulbi di radici (forse li mangiano). C’è pure quello che ci ha dato l’informazione e, per fortuna, anche un bambino e la cosa ci rende un poco più tranquilli. Mi metto a parlare con quello più anziano, che sembra anche il capo del gruppo e mastica qualche parola di inglese. Gli chiedo se qualcuno di loro può accompagnarci e farci vedere la strada; lui annuisce, chiede sigarette e fa domande del tipo “da dove venite, chi siete etc. Siccome nessuno si muove, ripeto la domanda; il tipo mi dice che appena finito il carico sulle piroghe ci farà accompagnare e mi indica uno che non ha l’aria molto sveglia. Siccome il tempo passa e il gruppo fa tutto tranne che lavorare, non essendo nemmeno sicuro che abbiano capito dove è che dobbiamo andare, faccio cenno ad Anna di tornare indietro al capanno. Magari ci stanno già cercando. Arrivati di nuovo la capanno, cerco di ricordarmi da che parte l’abbiamo incrociato e ripercorrere la stessa direzione. 

Ci stacchiamo dalla casa verso la boscaglia e vediamo un tappeto di radici fitto e levigato che assomiglia tanto a quello che ci ha portato li. Lo seguiamo speranzosi e dopo alcuni minuti incontriamo un grosso tronco caduto pieno di funghi che speriamo essere lo stesso visto nel percorso di andata. Poi, vediamo su u tronco un cartello con una scritta che ci dice che siamo sul sentiero. Percorriamo il resto del percorso quasi correndo e la vista del Rifugio uragani ci scalda il cuore. In pochi minuti siamo alla beach house. I nostri amici ci hanno lasciato un piatto di pasta coperto sul patio e li vediamo giù in spiaggia. Dopo poco scendiamo anche noi per la ripida scala di legno a raccontargli la nostra dis-avventura.


 

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