.            LA LEGGENDA DELLE STREGHE DI BENEVENTO           .

FRANCISCO GOYA - Il SABBA (Museo del Prado, MADRID)

Unguento, unguento

Portami al Noce di Benevento

Supra acqua et supra vento

Et supre ad omne malo tempo

E’ la formula magica che la strega recita prima di prendere il volo e recarsi al Sabba, rituale consistente in una danza sfrenata in cui è presente Lucifero in persona sotto sembianze di un caprone ed un nutrito consesso di demoni.

Un fiume, un enorme albero di Noce, misteriosi esseri che volano su scope, notti tempestose, danze sfrenate e riti infernali. Questi sono gli elementi di una leggenda che resiste ancora ai giorni d’oggi, profondamente radicata nella cultura popolare.

Chi erano Matteuccia da Todi, Bellezza Orsini, Mariana da San Sisto? Come è nata l’immagine della “strega”? Perché Benevento?

In tema di streghe, la storia, la leggenda, le credenze religiose, la superstizione ed il folklore si intrecciano in maniera indissolubile e non è possibile distinguere un aspetto senza fare ricorso all'altro.

Benevento è posizionata in una conca tra alte montagne, fitti boschi e profonde gole, circondata da due fiumi: il Calore ed il Sabato. Il Sannio è sempre stato un territorio considerato strategico da tutte le stirpi guerriere che qui hanno vissuto o che da qui sono passate. Qui i Romani, maestri nell'arte della guerra, subirono una delle sconfitte più umilianti e dure della loro storia. Un territorio, dunque, pieno di suggestione, da sempre abitato da gente fiera e bellicosa. 

A Maloenton, originario nome di Benevento, si venerava Bolla, un dio bambino che secondo la leggenda creò il fiume omonimo nella zona corrispondente oggi a Volla/Casalnuovo, le cui acque alimentarono per secoli gli antichi acquedotti napoletani. Sotto il grande albero di Noce, sulle rive del fiume Sabato, sacerdoti e sacerdotesse si contorcevano in frenetiche danze compiendo i loro rituali in onore del dio. Quando i Romani conquistarono Benevento, come loro costume continuarono a rispettare le tradizioni locali. E, dunque, i diversi riti Osco Sanniti del Noce sul fiume Sabato sopravvissero a lungo mescolandosi ai nuovi dei di Roma. Anche in epoca imperiale la libertà di culto fu rispettata, tanto che Augusto permise la costruzione di un tempio dedicato alla Dea Iside, di cui c’è ancora traccia a Benevento. Nei sotterranei di tale tempio fu, poi, costruito un Mitreo in onore del nuovo culto orientale che si era diffuso in quegli anni, soprattutto tra i veterani delle guerre in Asia. Mitra, Iside, Cerere, Demetra, Cibele, Diana, Pan, costituirono nel tempo l’antico pantheon di quelle genti legate ai culti della terra e dei cicli della natura e dell’agricoltura.

BENEVENTO La stele del tempio dedicato a Iside


Con l’arrivo delle orde di “barbari” gli antichi culti si fusero con quelli nuovi portati dai Goti, dagli Ostrogoti e dai Longobardi. In particolare Wotan, il dio dei Longobardi, popolazione che ebbe il sopravvento sulle altre.  Le orde longobarde erano asserragliate per lo più in una zona denominata stretto di “Balba” divenuto poi “Barba”. Si tratta di una vasta zona pianeggiante, ricoperta da lussureggianti boschi ed attraversata da un ricco corso d’acqua che si incunea in una stretta fenditura dominata da una alta rupe rocciosa. E’ noto che questi guerrieri avessero l’usanza di testare le loro abilità equestri e marziali in sfrenati caroselli in cui si addestravano a colpire da cavallo carcasse o velli di animali, solitamente caproni, appesi ad una ramo di un albero con spade e lance, per staccarne pezzi di carne e cibarsene. E’ nota anche la loro venerazione per alcuni alberi ritenuti sacri ed in generale per la sacralità della natura. Questi caroselli assumevano anche una sorta di celebrazione spirituale religiosa.

Giochiamo, adesso, con la fantasia. Cerchiamo di immaginare di essere su un sentiero di notte e scorgere una grande radura nei pressi del fiume, con un accampamento e grandi fuochi accesi che rischiarano le tenebre, sullo sfondo una alta rupe illuminata dalla luna, il silenzio dei boschi rotto dalle urla dei guerrieri e i loro sfrenati rituali, il rumore degli zoccoli dei cavalli, le grida di approvazione del gruppo tribale. E’ possibile che donne provenienti dalle campagne circostanti, desiderose di cibo e protezione, si mescolassero ai guerrieri in occasione di questi riti notturni. Una scena sicuramente impressionante. Ed è più che probabile che questo possa aver colpito la fantasia di viandanti o locali, e che ne siano originate leggende radicate nei racconti popolari tramandati nel tempo. 

Pietro Piperno, nell’opera “Della superstitiosa noce di Benevento” del 1640 narra che circa nell’anno 697 d.C. il Vescovo di Benevento, Barbato (diventato poi San Barbato), con l’appoggio del Duca Romualdo riuscì a proibire i riti pagani notturni sotto il Noce.  Iniziava il lento processo di cristianizzazione dei Longobardi che culminò con la distruzione del Noce. Egli promise che, se Benevento avesse resistito ai Bizantini guidati da Costante, avrebbe sradicato il sacro Noce. E così fece. Ben nota l’iconografia medioevale che rappresenta San Barbato ed il suo imponente corteo mentre sradica la malefica pianta a colpi di scure. La leggenda vuole che, nonostante tutto, il Noce ricrescesse ancora più vigoroso quasi ad assecondare la voglia della gente del luogo di perpetuare gli antichi culti legati ai cicli della terrà propiziatrici di fecondità e prosperità. Questo spinse la chiesa ad insistere nella repressione di queste usanze pagane. 

De nuce maga, PIETRO PIPERNO 1640

San Barbato taglia il Noce, Ignoto


Il passaggio cruciale per comprendere il fenomeno delle streghe ed il collegamento con Benevento si ha, però, nel corso del XV secolo.

La prima traccia storica si ritrova in uno scritto, in cui Bernardino da Siena racconta che nell’anno 1427 si era recato a Roma: “Elli fu a Roma uno famiglio d’uno cardinale, el quale andando a Benivento di notte, vidde in sur una aia ballare molta gente, donne e fanciulli e giovani; e così mirando, elli ebbe grande paura.

Questo documento e la persona di Bernardino da Siena sono estremamente importanti nell'economia di questa indagine. In quegli anni iniziava proprio da Roma, capitale della cristianità, la persecuzione delle streghe che avrebbe insanguinato mezza Europa per secoli. San Bernardino da Siena, predica in tutta l’Italia centrale, in quegli anni è proprio a Roma e conosce bene le leggende beneventane per avere soggiornato in quei luoghi.  Nei suoi sermoni dedica una particolare attenzione alle donne, in particolare quelle che conoscono la medicina naturale, le levatrici, le erboriste, le indovine. Egli le addita pubblicamente come nemiche della chiesa, alleate del demonio e responsabili di terribili misfatti come carestie, pestilenze, morti premature, sventura. Le farneticanti teorie si diffusero ben presto, grazie all’opera dei devoti del famoso predicatore e alla fama di cui questo personaggio godeva. 

Ferdinand Gregorovius, grande storico e medievalista, racconta che il 28 giugno 1424 a Roma, in Campo dei fiori (Campidoglio) fu arsa sul rogo la strega Finnicella. La guaritrice era accusata di avere ucciso trenta neonati, compreso il figlio, per berne il sangue. Fu Bernardino da Siena a sostenere l’accusa di stregoneria contro Finnicella, che fu condannata a morire sul rogo. Alcuni illuminati dottori del tempo tentarono di salvarle la vita, sostenendo che Finnicella fosse una levatrice e non un'infanticida. Fu inutile, Bernardino "aveva parlato".

ORIGINALE SENTENZA DI CONDANNA DI MATTEUCCIA DI FRANCESCO (BIBL. TODI)

Stessa sorte toccò a Matteuccia da Todi, bruciata sul rogo a Todi il 20 marzo del 1428.  Matteuccia di Francesco, questo il suo nome, era di Ripabianca. Il lungo atto di accusa che la condannò al rogo cita per la prima volta l’esistenza dell’unguento malefico che permetteva alle streghe di volare e la formula necessaria: “dopo essersi unta di grasso di avvoltoio, sangue di nottola e sangue di bambini lattanti, Matteuccia invocava il demonio Lucibello, che le appariva in forma di caprone, la prendeva in groppa e la portava al noce di Benevento, dove erano radunate moltissime streghe e demoni capitanati da Lucifero maggiore." La povera Matteuccia riferì anche la formula che faceva volare. 

Su di lei gravavano decine di capi di imputazione, tutti riconducibili ad un’unica ragione d’accusa: la stregoneria. 


Il processo di Todi costituisce una "pietra angolare" nella costruzione del mito della strega e la sua collocazione nell’immaginario collettivo del tempo. Per la prima volta in un processo veniva usato il termine “strega” e Matteuccia finì per diventarne l’archetipo. Arrestata perché ritenuta “donna di cattiva condotta e reputazione, pubblica incantatrice, fattucchiera, strega e maliarda”. E’ una “domina herbarum” e una “taumaturga”, cioè conosce il potere delle erbe curative e sa curare le malattie con rimedi naturali. A lei si rivolgono anche le donne che vogliono interrompere una gravidanza scomoda. All’epoca del suo processo Matteuccia era, dunque, famosa e temuta. I suoi clienti non erano solo contadini e persone provenienti dai ceti umili, ma anche personaggi di elevato rango. Sottoposta a tortura Matteuccia confesserà di aver volato, trasformata in gatta, a cavallo di un demonio nelle sembianze di caprone, al noce di Benevento. Ad ispirare queste affermazioni, apparse per la prima volta in atti processuali per stregoneria, fu proprio San Bernardino da Siena (espressamente citato nella carte processuali), il quale aveva predicato proprio in quelle terre di Todi, Montefalco e Spoleto. Fu Bernardino ad introdurre il termine "strega" e sempre Bernardino ad aver parlato per la prima volta di Benevento come città di riunioni notturne delle streghe. Un suggerimento per l’inquisitore sulle domande da rivolgere alla presunta strega? Probabile. La confessione veniva sempre estorta con la tortura. Le fiamme purificatrici sarebbero servite a salvare l’anima della sventurata.

Il nome di Benevento venne fatto anche nel processo del 1456, a carico di Mariana di San Sisto, conclusosi con la condanna alla morte sul rogo. Ella viene accusata di andare con una sua compagna “ad surchiandum pueros et una nocte dicti mensi Iulii dicta Mariana et eius sotia in facie et corpore ipsarum se unserunt cum certis unguentis diabolicis et incantatis per dictam mulierem sotiam dicte Mariane, inter alia dicendo: “Unguento, menace a la noce de Menavento, sopra l’acqua e sopra al vento” et de nocte accesserunt ad nuces et arbores nucum ubi sole et sine lumine tripudiabant”. Anche in questo processo si citano l’unguento, il noce, i sabba. 

Benevento e la leggenda del Noce sono presenti anche in altri due processi tenutisi innanzi al Santo Uffizio di Roma, nel corso del XVI secolo, che ebbero grande eco.

Il primo processo era a carico di Bellezza Orsini, accusata di malefici e venefici. Ella era esperta di erbe con le quali fabbricava medicine. Un giovane da lei curato non riuscì a salvarsi ed i parenti accusarono Bellezza d'averlo deliberatamente stregato e ucciso. Si aggiunsero alla denuncia della famiglia molte testimonianze contro la Orsini. Bellezza fu condotta nel carcere di Fiano e sottoposta a interrogatori con tortura, durante i quali finì per  confessare ogni cosa che gli veniva detta,  fra cui: “Andamo alla noce de Benevento e illi facemo tucto quello che volemo col peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro” – “E andamo alla noce  de Benevento dove ce reducemo tucte insieme e illi facemo gran festa e gioco e pigliamo piacere grande e poi il diavolo piglia quattro frondi de quella noce e cusì ne ritornamo a casa e dove volemo ad stregare e far male ad qualcheduno…”. Anch’ella riporta la formula per volare. Bellezza Orsini disperata e sfinita dalla tortura, si suiciderà in carcere, tagliandosi la gola con un chiodo, sfuggendo al rogo. 

Il secondo processo, del 1552, fu a carico di Faustina Orsi. Come da canovaccio, anche lei fu accusata di uccisioni di bambini, crimini che confesserà sotto tortura. All'epoca del processo Faustina ha ottanta anni e venne arsa viva sul rogo come strega.

E’ necessario evidenziare il salto “culturale” che intervenne nel corso del 1400, per comprendere come sia nato quel fenomeno oscurantista e misogino che si nascondeva dietro la cd. “Caccia alle Streghe”. Fu proprio nel corso del XV secolo che si sviluppò una vera e propria codificazione di quell'insieme di credenze, superstizioni e comportamenti tipici che erano indice di stregoneria e che colpiva le donne. Per tutto il medioevo la chiesa non aveva avuto un atteggiamento di particolare rigore o attenzione verso questi comportamenti, assimilati all'eresia e considerati meno gravi. Persino il dottore della chiesa Agostino, Sant'Agostino, affermava che la stregoneria era solo superstizione.

Questo atteggiamento moderato cambiò già a partire dal XIV secolo con la bolla di Papa Giovanni XXII Super illius specula la Chiesa smise di considerare la stregoneria una superstizione, ritenendola una minaccia reale, non distinguendo più eresia e magia. Anzi, la stregoneria è considerata l’eresia per eccellenza, la manifestazione del maligno da combattere ad ogni costo ed a qualsiasi prezzo. Si stanno delineando anche le basi culturali per la nascita della forma più dura e radicale della lotta all'eresia: l’Inquisizione Spagnola.

Il XV secolo, come detto, apre le porte alla persecuzione delle streghe in tutta Europa, specialmente in Francia, Svizzera, Germania e Olanda.

Una delle prime vittime eccellenti, che seguì Finnicella e Matteuccia, fu Jeanne d'Arc, Giovanna d’Arco, processata e bruciata sul rogo a Rouen, in Place du Vieux Marché, il 30 maggio 1431.

Giovanna d’Arco, poi, sarà addirittura riabilitata e dichiarata santa e patrona di tutta la Francia

ROUEN, Place du vieux Marché

il luogo della piazza dove fu collocato il rogo.

Un cartello lo ricorda


 

Nel 1486 d.c. i monaci domenicani Jacob Sprenger e Heinirich Kramer scrissero il Malleus maleficarum, il martello delle streghe, una sorta di manuale dell’inquisizione interamente dedicato alla repressione della stregoneria. Un testo pieno di affermazioni assurde, insensate, intriso di superstizione, misoginia e violenza. La tortura per estorcere confessioni è ammessa e largamente praticata. Possiamo dire che fu il laboratorio mondiale dei metodi di tortura e dei sistemi per estorcere confessioni.

Si calcola che nel corso dei secoli  la Santa Inquisizione abbia mandato al rogo più di otto milioni donne, dopo averle torturate e seviziate nei modi più atroci, in nome di Dio e della salvezza delle anime.

Si usò strumentalmente la superstizione e la paura per uccidere delle povere sventurate, che solo in rarissimi casi avevano commesso crimini, e la cui unica colpa era, invece, di possedere conoscenze in tema di medicina, erboristeria, astrologia o, forse, di essere solo colte, libere, intelligenti. Si additavano come streghe le levatrici, le erboriste, le indovine, cioè qualunque tipo di donna che sfuggisse ai canoni biblici della donna incolta, inferiore e sottomessa all'uomo.

In definitiva, la caccia alle streghe è stata una caccia alla donne, una repressione della loro libertà, che ha prodotto secoli di morte e indicibile sofferenza per cui la Chiesa cattolica non ha mai chiesto, e non chiede, perdono. La donna associata al peccato, alla lussuria, la donna tentatrice delle virtù del monaco che per questo la bandisce come demonio.  


 

Del resto il termine “Strega” deriva da STRIX, un mitologico uccello notturno con un seno simile a quello delle donne colmo di veleno, che serviva ad uccidere i bambini e succhiarne il sangue. Una figura mitologica metà animale metà donna, tra l’arpia ed il vampiro. Strix oggi è il nome scientifico della famiglia degli allocchi, grandi e voraci rapaci notturni.  

 

 

 

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Menarda, Rosa, Alcina, Boiarda, Lilith, Violante non erano altro che le allucinazioni di monaci e predicatori ossessionati dalle donne e dal peccato. Bernardino da Siena può bene essere considerato colui che ha fatto assurgere Benevento ed il Sannio a patria di tutte le streghe, utilizzando il suo antico ed indissolubile legame con rituali antichissimi, ben più antichi della cristianità stessa.

 La lotta tra il “presunto bene” ed il “presunto male” è continuata fino ai giorni nostri e prosegue ancora, ma sotto altre forme più subdole.

 Ad onta di tutto ciò, Benevento è stata sempre avvolta in un alone di mistero e di leggenda.  Nell'immaginario collettivo era, ed è, il covo delle streghe, il luogo ove cresceva, maestoso e terrificante, un grande noce …IL NOCE, quello intorno al quale si riunivano le più grandi e  potenti streghe provenienti da tutta Europa.  

Perché proprio un noce? A questo albero si attribuivano virtù e poteri magici, anche letali; è noto, infatti, che si ritenesse pericoloso sostare all’ombra sotto un noce (Historia Naturalis - Plinio). Inoltre, il noce era sacro a Diana, la dea signora delle selve, protettrice degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti, protettrice delle donne e del parto. Ormai tutti concordano che il termine con cui si chiama la strega a Benevento, Janara, derivi proprio da “Dianara”, cioè sacerdotessa di Diana. “La dea Diana, identificata nella sua manifestazione lunare, è stata oggetto di culto nella “stregheria” della tradizione italiana, e adorata come dea dei poveri, degli oppressi e dei perseguitati dalla chiesa cattolica.” (Charles Leland, Il vangelo delle streghe). 

E l’unguento magico è mai esistito? Nel De humana physiognomonia, di Giovanbattista Della Porta, opera che uscirà solo nel 1598 a Napoli sotto il falso nome di Giovanni de Rosa, il noto accademico racconta di aver assistito alla cerimonia di preparazione di una strega diretta al Sabba ed, in particolare, della preparazione della ricetta usata dalla strega. Spiega scopo e preparazione della ricetta: agiva da vasodilatatore e serviva ad attenuare l’azione irritante sulla pelle di alcune sostanze, come il sangue di pipistrello. Lo studioso napoletano intendeva, con ciò, asserire che il volo delle streghe non è reale, ma si tratta solo di allucinazioni provocate dalle sostanze psicotrope naturali assorbite con gli unguenti e quindi il diavolo non c’entra nulla: “…solo allora esse credono di volare, di banchettare, di incontrarsi con bellissimi giovani, dei quali desiderano ardentemente gli abbracci”. 


Tuttavia, lo scritto scatenò una feroce attenzione del Santo Uffizio, in particolare il riferimento alla preparazione dell’unguento e ad uno degli ingredienti della pomata usata dalle streghe: la “pinguedo puerorum”, cioè il grasso di neonato.

(VEDI LINK SOTTO)

I culti della madre terra sotto la luna, l’ancestrale richiamo delle radici: è questo che sopravvive nei secoli. Sfrondato dalla coltre di falsità e di superstizione, rimane solo potente il richiamo vitale della parte più profonda della natura che dimora nell’inconscio di tutti noi. L’atto propiziatorio e liberatorio di ballare sotto la luna, attorno ad un sacro albero è un atto di profonda unione con la natura e gli spiriti invisibili che circondano e permeano anche tutti noi. La cultura, le usanze ed il folklore, tutto sembra rimandare a questa atavica lotta tra il bene ed il male. 

Siamo recentemente scesi per voi sulle rive del "fiume delle streghe", il Sabato, con un team di esperti della materia che ci ha guidato alla ricerca dei luoghi della leggenda. In prossimità dello stretto di Barba, lì dove il fiume forma una serie di anse, lungo le rive ci sono grandi radure circondate da alberi, anche di noce, che in accordo con le fonti narrative e i documenti (alcuni citati) sono i luoghi dove erano accampate le soldataglie longobarde e dove i guerrieri compivano i loro riti notturni. Il luogo ha un indubbio fascino sinistro, con la alta rupe che si scorge tra gli alberi in riva al fiume, che ci dice che siamo in prossimità dello stretto, dove il fiume va ad incunearsi. E’ proprio lì che, secondo la tradizione, si svolgevano i Sabba notturni delle streghe. Il nome, divenuto Barba nel XVIII secolo, deriva da “Valva o Balba” per l'aspetto della gola dalle ripide pareti rocciose simili all’incavo tra le valve di una conchiglia.

Lo stretto era attraversato dall'antico ponte dell'acquedotto romano. Nel XVIII secolo vi era un ponte in legno poggiato su quello romano, dove oggi si trova un moderno ponte su cui passa la sp. 88. 

Il Ponte sulla SP88

 

 Dove poteva essere il famigerato Noce?

Il luogo preciso non lo sa nessuno, ma si sa di certo che la chiesa ritenesse malevola questa zona e queste sponde, chiamate appunto “la ripa delle Janare” (le rive delle streghe), al punto da presidiarla contro il maligno. 

Lo scrittore Carlo Napolitano nel suo libro Il triangolo stregato e il mistero del noce di Benevento identifica il territorio, per così dire, delle Janare all’interno di un triangolo i cui vertici sono costituiti dalla Cappella della Madonna della Pietà, la Chiesa di San Bernardino e la Cappella di Maria santissima di Montevergine in opposizione allo stretto di Barba. 

Consigliamo vivamente l'acqusito di questo libro a chi fosse interessato ad entrare nel profondo di questo mistero. 


La Cappella della Madonna della Pietà è una piccola cappella  in riva al Sabato, poco  prima dell’ingresso sul ponte dello stretto di Barba, visibile lungo la provinciale che corre dal Altavilla a Ceppaloni, un tempo l'antica Strada romana che conduceva da Benevento a Salerno, passando per Avellino e che nel Medioevo fu detta Via Antiqua Maiore.

La Chiesa di San Bernardino, qualche chilometro distante, è nei pressi di Altavilla, in una località chiamata “Ponte dei Santi”.  Narra la leggenda che nel maggio 1440 tre frati francescani, Bernardino da Siena, Giacomo della Marca ed un loro confratello, passarono per Altavilla, diretti a L'Aquila compiendo dei prodigi. Alla gente che li raggiunse su quel ponte e gli chiedeva di rimanere, Bernardino rispose che dovevano andare molto lontano. Però promise una particolare protezione per il paese ed i suoi abitanti. Avrebbe detto:” Altavilla tremerà ma non cadrà”. Nel luogo dove si erano fermati i frati fu costruita una cappella, che però non esiste più. Nello stesso luogo, nel 1890 fu costruita l'attuale chiesetta. 

La cappella di Maria santissima di Montevergine si trova a Petruro Irpino, in contrada Lago, in prossimità di un burrone, laddove sorgeva l’antico borgo.  Stando alla tradizione, la località sarebbe stata totalmente distrutta, forse da una frana staccatasi dalla collina che domina il sito. Come per gli altri, si tratta di un piccolo edificio rurale religioso, ricostruito nel corso dei secoli, che venne forse gestito da monaci verginiani.

 

Sarebbe questa grande area, compresa tra il demoniaco stretto e le tre cappelle votive, che come tre guardiani vegliano sulla cristianità, il territorio della leggenda. 

Adesso andate a vedere di persona. Recatevi al tramonto sul ponte della SP 88, scendete di notte sulle rive del Sabato, accendete un fuoco e ballate sulle note della sinfonia “La notte di San Giovanni sul Monte Calvo” del grande compositore russo Musorgskij. Il tema trattato in questo celebre poema sinfonico è quello dello scontro tra il bene e il male, nel contrasto tra la notte dominata da creature diaboliche ed il giorno (il suono delle campane che riportano queste creature nelle viscere del monte Calvo). La partitura originale di Musorgskij riportava il seguente programma della composizione:

Assemblea delle streghe

Il corteo di Satana

Messa nera

Sabba

L’alba

 

E all’alba tornerete a casa diversi, se sarete sopravvissuti alla notte e ai sortilegi delle streghe di Benevento. Buona caccia 

 

 

       Modest Petrovič Musorgskij


RINGRAZIAMENTI: Dott. Paolo Scalise, ricercatore e studioso beneventano.

                                    Il gruppo beneventano del CISP

 

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