VATTIENTI DI NOCERA

IL MISTERO DEI RITI DI SANGUE

ATTENZIONE:IMMAGINI CRUENTE CHE POTREBBERO OFFENDERE LA VOSTRA SENSIBILITA'. SE VI IMPRESSIONA LA VISTA DEL SANGUE NON PROSEGUITE NELLA VISIONE

© 2024

In un piccolo paese del profondo sud arroccato sull’appennino calabrese ogni anno, in occasione della Pasqua, si vive un periodo denso di commozione e sincera partecipazione popolare: la settimana santa. 

Siamo a Nocera Terinese in provincia di Catanzaro, un luogo che sembra lontano nel tempo e nello spazio, dove tutto sembra sospeso, etereo. Qui si è spettatori di avvenimenti che mescolano arcani riti sacri e pagani, profonda devozione verso Cristo e sua madre Maria ma anche verso gli antichi spiriti e la madre terra. Scomparsi quasi ovunque nel frettoloso mondo freddo e ipertecnologico di oggi, qui resistono profondamente radicati e apparentemente intatti. 

NOCERA TERINESE

La settimana comincia con la “domenica delle palme” ed una processione che parte dalla Chiesa di San Giovanni Battista per raggiungere il Calvario, dove il sacerdote benedice i fasci di ulivo, alloro e parmavera (palme bianche).

Il lunedì santo nella chiesa dell’Annunziata si svolge la “liturgia delle quarantore”, terminata la quale nel pomeriggio del martedì santo nella medesima chiesa inizia la cd. “Cerimonia del Cireneo” con preghiere ispirate alla passione di Cristo; viene esposta anche una grande croce su cui sono dipinti i simboli della passione.  

Sempre nella chiesa dell’Annunziata il mercoledì santo viene esposta la statua della Madonna “Addolorata” all’interno di uno scenario che ricorda il Golgota.

Il giovedì santo, nella chiesa di San Giovanni al termine della messa, si svolge il rito della “lavanda dei piedi degli apostoli”.

Il venerdì santo, nel primo pomeriggio, si svolge nella chiesa di San Giovanni la pratica della “adorazione della croce” conosciuta anche come "messa di San Pietro". Alle 20.30 dalla chiesa della Annunziata, preceduta dalla croce nera del Cireneo, esce la statua della Madonna addolorata portata a spalle dai confratelli, accompagnati dalla banda che suona l’inno funebre “Jone”. La processione solenne attraversa tutto il paese con un itinerario prestabilito e sempre identico, toccando tutti i punti dove in qualche modo è richiamato un simbolo di fede. Dopo essere transitata nella chiesa di San Giovanni, la statua a notte ormai fonda torna nella chiesa della Annunziata, per riuscirvi la mattina dopo.

E’ durante la notte del venerdì santo che inizia anche il rito di sangue dei “vattienti”, una sorta di processione nella processione di cui si tratterà di qui a poco.

Il sabato santo alle 8.30 al suono della “Jone” la statua della Madonna esce nuovamente dalla chiesa della Annunziata per essere portata in processione, stavolta con un itinerario più lungo e articolato che arriva persino in cima al convento dei frati cappuccini al termine di una irta salita fatta di un dedalo intricato di strette strade. Anche il sabato santo la processione è accompagnata dai vattienti, ognuno con i suoi assistenti, che si muovono secondo un ordine ed un criterio personali, ma che non mancano almeno una volta di battersi davanti alla madonna in processione e suo figlio morto. Quando arrivano, la processione si ferma e tutto il corteo si apre silenziosamente a passaggio dei vattienti. La processione del sabato termina nel tardo pomeriggio, dopo il ringraziamento e la benedizione dei portantini e la statua della Madonna Addolorata torna definitivamente nella chiesa dell’Annunziata.

La settimana santa termina con la domenica di Pasqua, con la messa solenne nella chiesa di San Giovanni. 

La Madonna addolorata esce dalla chiesa dell'Annunziata alle 20.30 del venerdì santo

VENERDI SANTO

SABATO SANTO

Il rito dei vattienti si svolge, dunque, ogni anno durante la settimana santa, il venerdì pomeriggio ed il sabato che precedono la Pasqua di Resurrezione.

Voglio subito suggerire ai lettori di abbandonare i facili pregiudizi o il metro solito con cui giudichiamo questo genere di avvenimenti. Non è possibile liquidare il rito dei vattienti, e tutto il contorno delle manifestazioni religiose che lo precedono e lo accompagnano, come pura superstizione o fanatismo religioso. Per poterlo comprendere, dobbiamo accantonare ogni atteggiamento precostituito e cercare, se non di capire, almeno di intuire le ragioni di un qualcosa che va oltre le regole cui siamo abituati. Con i vattienti si rischia di essere superficiali, giustizialisti e stupidamente frettolosi. Comunque la si pensi, va da se che questo rito è qualcosa di complesso che non lascia margini a certezze ed una visione chiara ed univoca, sia dal punto vista storico, che etico o puramente spirituale. Questo vale per i vattienti stessi, i quali la di là di quelle che possono essere le motivazioni più immediate e pragmatiche, assolutamente non sanno spiegare del tutto ciò che sentono. 

Nel nostro soggiorno a Nocera Terinese abbiamo avuto la fortuna di conoscere per caso un vattiente di età avanzata, che quindi è anche un poco la memoria storica di questo evento. Ci siamo fermati a parlare con lui e ci ha confermato alcune cose che avevamo già intuito e, cioè, che la preparazione è qualcosa a cui non si può assistere, è un momento mistico e personale del vattiente. Ci ha però mostrato il luogo dove si prepara dentro casa sua e i suoi strumenti. Ha chiesto di non essere ripreso in volto e abbiamo rispettato questa volontà. Anche per quanto riguarda le motivazioni, i suoi occhi ed il suo sguardo sono stati molto eloquenti: come volesse dire senza parlare che è una cosa che non si può spiegare a parole e che si sente dentro. 


Partiamo da un’analisi storica e da un dato: come e quando sia iniziato il rito dei vattienti è un autentico mistero. Le prime risultanze documentali di questo rito risalgono all’anno 1618, ma è estremamente probabile che le sue origini siano molto più antiche. Sappiamo che un tempo era molto più diffuso, con differenze tra i vari territori (qualcosa di simile c’è ancora persino in Campania, a Guardia Sanframondi). Per quanto riguarda la Calabria il rito resiste, apparentemente non sradicabile, solo in due luoghi con alcune differenze: Nocera Terinese e Verbicaro in provincia di Cosenza. L’atteggiamento della chiesa è quello solito riguardo le manifestazioni di religiosità popolare. Ufficialmente osteggia, ma nei fatti accoglie ed abbraccia queste manifestazioni. Non è dato sapere se ciò dipenda dalla consapevolezza di non poterle evitare, tanto forti sono radicate nella coscienza di un territorio e, dunque, tanto vale conviverci, oppure altro. Fatto sta che ogni anno le misteriose figure dei vattienti compaiono silenziose e veloci insanguinando le strade e i sagrati delle chiese.

In cosa consiste il “rito dei vattienti”? Vattienti, o Battenti, significa flagellanti cioè coloro che si percuotono a sangue utilizzando vari strumenti. A Nocera Terinese gli strumenti sono due: il cardo e la rosa. Il cardo è costituito da un tondo di sughero in cui sono inseriti 13 (come i dodici apostoli più Cristo) pezzi di vetro appuntiti, con uno più lungo che rappresenta Giuda il traditore, con cui il vattiente si percuote la parte posteriore delle gambe. La rosa è un pezzo di sughero ben levigato e viene usato prima del cardo con diversi colpi, per fare affluire il sangue in superficie. La rosa serve anche per macchiare le mura e le porte delle case attraversate dal vattiente, segni che rimarranno fino a che la pioggia non laverà via il sangue.

Il vattiente non è mai solo, ma forma un tutt’uno con un’altra figura, l’ecce homo o “acciomu” nel dialetto locale, con cui è legato da una funicella. L'acciomu è spesso molto giovane ed indossa una tunica rosso sangue, con sui fianchi un lembo di stoffa che gli arriva alle caviglie, e porta una Croce rivestita di tessuto rosso che rappresenta il sacrificio di sangue di Cristo. L’acciomu è come l’ombra del vattiente, ma non si batte. Il vattiente di Nocera Terinese indossa solo una maglia nera e una sorta di pantaloncino, sempre nero, che gli lascia scoperte le gambe dove si flagellerà a sangue. E’ scalzo. In testa portano una tipica corona fatta di erbe pungenti, simile a quella che indossano anche i confratelli che portano la statua della madonna.

Come detto i vattienti sono una processione parallela, indipendente ma strettamente e semanticamente collegata a quella della Madonna. Ogni vattiente si prepara nel silenzio della propria cantina, del proprio garage, pregando e preparando le gambe con unguenti a base di erbe i cui segreti si tramandano di generazione in generazione.  Ognuno di loro esce e si batte quando e finché sente di doverlo fare. Non c’è una regola oggettiva. C’è chi esce in entrambi i giorni di venerdì e sabato, chi uno solo di essi, chi per molte ore, chi per meno. Anche il numero di vattienti non è preordinato. Camminano, ma sarebbe meglio dire corrono ed è davvero difficile stargli dietro, per il paese battendosi prima davanti alla propria casa, poi davanti alle case di amici e parenti, davanti ai sagrati delle chiese ed alle icone votive e, infine, davanti alla statua della Madonna dell’Addolorata. Nel loro giro sono accompagnati da parenti e amici che bagnano le loro gambe con infusi di vino, aceto ed erbe che portano in una tanichetta (è diffusa usanza lasciare fuori le case cassette di vino a disposizione del vattiente che non ne avesse più). Questo serve per disinfettare le ferite ed evitare il formarsi di coaguli che impedirebbero il fluire libero del sangue. La mistura di vino crea anche l’ulteriore effetto di fare sembrare versato più sangue più di quanto non sia in realtà.

Di sicuro sono visioni cruente, dolorose e poco adatte ai deboli di stomaco. Dopo qualche ora le strade percorse dalla processione e dai vattienti sono sporche di sangue misto a vino, l’odore è acre e pungente. Anche senza vederli, si può percepire la loro presenza anche a notevole distanza dal rumore secco e breve provocato dal disco di sughero che percuote le gambe.

Quali siano le radici ed il significato di questo rito, come detto, non è affatto chiaro.  Secondo alcuni, il rito dei Vattienti si ispirerebbe alla pratica dell’autoflagellazione diffusa tra i monaci nel medioevo come espiazione dei peccati. Secondo altri, si rifarebbe ad altri riti simili, ben più antichi, di sacrificio cruento agli dei, come quello praticato per il dio Attis in Asia Minore.

Se ci concentriamo sulla figura o meglio sulla dualità di figure, l’Ecce Homo ovvero il Cristo portato in catene dal Prefetto Ponzio Pilato, e il vattiente ovvero il Cristo flagellato, in contrapposizione al Cristo morto in braccio a Maria, risulta chiaro che si tratti di una revocazione del sacrificio di sangue culminato con la morte in croce. La venuta di Cristo è strettamente collegata al peccato originale dal quale Cristo (dal greco χριστός “unto dal signore” ovvero predestinato) avrebbe mondato l’umanità. Gesù è l’agnello sacrificale, il suo sangue viene versato per lavare una macchia ed è quindi salvifico. Questa nozione del sacrificio cruento agli dei è costante nelle religioni del passato ed è presente nell’impianto religioso giudaico, il vecchio testamento in cui affonda anche la rivelazione cristiana. Senza la profezia della venuta del messia e senza il peccato originale tutto l’impianto mistico teologico crollerebbe.

Il vattiente ricorda ed esalta questo sacrificio versando il suo stesso sangue ed offrendolo alla addolorata che soffre per il sangue versato dal figlio morto in croce. Il sangue è il protagonista di questo rito. Il vattiente si batte apparentemente per un travaglio interiore; dunque, per chiedere una grazia per se o per persone conosciute, per espiare delle colpe etc. C’è un’usanza ulteriore davvero interessante: il macchiare di sangue le scale e il passetto delle case di amici o parenti, di persone che hanno sofferto e avuto lutti, è spesso accompagnato dal segnare di sangue anche i muri con la rosa. Vi ricorda qualcosa?

Libro dell’ESODO, istituzione della Pasqua: ognuno prenda un agnello per famiglia, un agnello per casa. Poi si prenda del sangue d'agnello e lo si metta sui due stipiti e sull'architrave della porta delle case dove lo si mangerà. Quella notte io passerò per il paese d'Egitto, colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, tanto degli uomini quanto degli animali, e farò giustizia di tutti gli dèi d'Egitto. Io sono il SIGNORE. Il sangue vi servirà di segno sulle case dove sarete; quando io vedrò il sangue, passerò oltre, e non vi sarà piaga su di voi per distruggervi, quando colpirò il paese d'Egitto.

Quel segno è, dunque, salvifico, un desiderio di protezione per la comunità. Il vattiente non pensa (almeno non solo) a sé, versa del sangue proprio per proteggere tutta la comunità.

Chi scrive non è un teologo o uno storico delle religioni, tutt’altro, ma uno che da bambino vedendo la famosa serie MOSE’ con Burt Lancaster rimase impressionato dalla scena dell'angelo sterminatore. Forse non c’è alcun collegamento o forse si, la parola agli esperti. Quello che voglio ulteriormente ribadire è che questi riti non sono qualcosa di scontato o banale, affondano le radici in ancestrali paure e bisogni umani. Quello dei vattienti è un rito di sangue per il sangue. Viene vissuto dalla gente del luogo con grande intensità e devozione. Tutti partecipano e tutti sono emotivamente coinvolti dalla magia e dal mistero che nel nostro paese solo pochi luoghi ormai sanno offrire.