SAN DOMENICO MAGGIORE

La Cripta dei Carafa di Roccella

L’edificazione della Basilica di San Domenico Maggiore fu iniziata nel 1283 e terminò nel 1324. Fu voluta da Carlo II d’Angiò che affidò l’imponente edificio gotico ai Frati Predicatori (Domenicani). Visitare la basilica di San Domenico Maggiore è come attraversare otto secoli di storia in una meraviglia di stili e capolavori di epoche diverse. Qui hanno lavorato e vissuto persone del calibro di Tommaso d’Aquino, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Tiziano, Michelangelo da Caravaggio, Raffaello Stanzione, Giuseppe de Ribera, Tino di Camaino, Francesco Solimena, Luca Giordano, Luigi Vanvitelli, Domenico Vaccaro, Cosimo Fanzago, Mattia Preti.

Alle centinaia di gioielli conosciuti in tutto il mondo, se ne affiancano altri meno conosciuti o ignoti al pubblico. Uno di questi è nascosto sotto il piano di calpestio della Chiesa, nel buio e nella polvere secolare: la cripta dei Carafa di Roccella. Stiamo parlando di una cripta annessa alla cappella del Rosario appartenuta alla potente famiglia dei Carafa di Roccella, un ambiente sotterraneo mai reso accessibile fino ad oggi, dov’è ancora al suo posto la terra santa usata per il rito della doppia sepoltura.

Se andate a San Domenico Maggiore, noterete sulla parte sinistra dell’abside una Cappella chiusa da un cancellata. E’ la cd. Cappella del Rosario. Restaurata da Carlo Vanvitelli nel 1788, è uno scrigno di tesori d’arte. Il quadro della Vergine, i quadretti che gli fanno corona e gli affreschi a chiaroscuro sotto la cupola sono tutti di Fedele Fischetti (1788). Lo sappiamo con certezza perché sono firmati e datati. Sulla parete sinistra, faceva bella mostra di se un autentico capolavoro, ora esposto al Museo di Capodimonte: la “Flagellazione” di Michelangelo da Caravaggio. Non meno impressiva, ma posta sul lato opposto dove la Flagellazione era posta, una copia della stessa, attribuibile ad Andrea Vaccaro secondo alcuni, a Battistello Caracciolo secondo altri. Sul pavimento ci sono tre piccole grate esagonali finemente lavorate che alludono ad un ambiente ipogeo. Esattamente lì sotto, vi è la cripta funeraria della potente famiglia dei Carafa, ed in particolare i Carafa Cantelmo Stuart con annessa terra santa. 

I Carafa furono feudatari dai tempi di re Carlo I d'Angiò, patrizi napoletani del Seggio di Nilo. Si divisero in due rami principali: quello "Della Spina" e quello "Della Stadera". I Carafa avevano la frequente usanza di aggiungere al proprio, i cognomi delle famiglie con le quali contraevano parentela. 

Vincenzo III Carafa, nato dalle seconde nozze tra Giuseppe, secondo duca di Bruzzano e primo marchese di Brancaleone, con Antonia de' Sangro, ottenne il titolo di sesto principe di Roccella e il 24 marzo 1696 sposò Ippolita Cantelmo Stuart. In seguito a questo matrimonio la famiglia Carafa di Roccella assunse anche il cognome Cantelmo Stuart, aggiungendolo al proprio, per successione materna, con Gennaro I Carafa, settimo principe di Roccella, il quale fu anche principe del Sacro Romano Impero.  Oggi questo ramo della famiglia è rappresentato da Gregorio Carafa, nato a Napoli nel 1945, patrizio napoletano, quindicesimo principe di Roccella, principe del Sacro Romano Impero, dodicesimo duca di Bruzzano, diciassettesimo marchese di Castelvetere, undicesimo marchese di Brancaleone, diciottesimo conte di Grotteria e conte palatino.   

Da sempre inaccessibile, abbiamo potuto eccezionalmente scendere a visitarla grazie alla dott.ssa Maria Gilardo, Presidente di Megaride. Una scala semicircolare, che va esattamente in direzione della Cappella del Rosario, conduce all’ipogeo funerario che è chiuso da una cancellata. All’interno, disposti sui lati i sarcofagi dei membri della famiglia, tra i quali spicca quello di Ippolita Cantelmo Stuart.

Il sarcofago di Ippolita Cantelmo Stuart

Uscendo e imboccando l’apertura posta di fronte si scende ancora più in basso nella Terra Santa. Si possono vedere ancora le assi su cui poggiavano le tavole dove venivano deposti i corpi. In una sorta di cavità in fondo all’ambiente ci sono resti umani, alcuni teschi ed ossa. 

 

CONDIVIDI SU