-                                           LA NAVE DEGLI SCUGNIZZI                                          -

La Nave Asilo F. Caracciolo in una foto d'epoca (dal web)

Un tempo chi fosse passato per il Porto di Napoli avrebbe visto ormeggiato al Molo Beverello uno splendido veliero: il Francesco Caracciolo. Questa nave aveva un equipaggio assai singolare: bambini! 

Proprio così bambini, ma non bambini qualunque: orfani o meglio scugnizzi! Il Francesco Caracciolo è infatti stato teatro di una grandiosa esperienza pedagogica che attirò l’attenzione del mondo intero.

 

 La corvetta “Francesco Caracciolo” era stata costruita dall’Arsenale di Castellammare di Stabia nel 1869. Questa splendida nave aveva fatto davvero il giro del mondo prima di essere cancellata dai registri della Marina e donata nel 1911 alla città di Napoli dal ministro della Marina regia Pasquale Cattolica. La nave fu modificata per adattarla al suo compito con l’eliminazione dell’albero di maestra ed ormeggiata nel porto di Napoli, inizialmente al molo Beverello. Il governo stanziò anche la somma di 16.000 lire ogni anno per la gestione dell’Asilo. 

Il progetto del governo era di creare un rifugio per l’infanzia abbandonata e a rischio, basato sul modello di altri esperimenti del genere, come la Nave officina Garaventa a Genova che ospitava minori usciti dal carcere o la Nave Asilo Scilla a Venezia che ospitava orfani. Questi progetti, figli delle "training ships" inglesi (navi adibite a edifici scolastici), erano - tuttavia - improntati alla rigida disciplina militare e organizzati sul modello del riformatorio. 

Ed ecco che il destino della nave incontra quello di una donna straordinaria: Giulia Civita Franceschi. Questa donna mise in piedi un progetto pedagogico talmente innovativo e talmente efficace che educatori ed esperti di ogni parte del mondo venivano per apprendere il metodo applicato sulla nave asilo Caracciolo; un progetto che durò quindici anni. Godette della considerazione di Maria Montessori, cui oggi viene accostata. Chi era questa donna e come arrivò sulla Caracciolo? 

Giulia Civita Franceschi nacque a Napoli nel 1870, figlia dello scultore toscano Emilio Franceschi, famoso anche per essere l’autore della statua di Ruggero II il Normanno, una delle sette statue dei RE di Napoli che abbelliscono la facciata del Palazzo Reale di Napoli. Giulia sposò l’avvocato napoletano Teodoro Civita e a fine ottocento subentrò, insieme con la sorella, nella gestione dell’opificio del padre. Nel 1913 si trasferì col marito nella tenuta di famiglia di San Paolo Belsito, lasciando la gestione dell’opificio alla sorella.

Durante questo anno la Franceschi coltivò l’ambiziosa idea di creare a Napoli un centro educativo per i bambini abbandonati, i tanti “scugnizzi" che vivevano di espedienti nei vicoli della città. Ella aveva appreso dei progetti sorti in altre città e di quello che si voleva realizzare sulla nave Caracciolo. L’occasione arrivò. Fu, infatti, chiamata dirigere l’Asilo su suggerimento di importanti personalità del tempo come Enrichetta Chiaraviglio Giolitti, figlia del grande statista, e Antonia Persico Nitti moglie di Francesco Saverio Nitti. 


Così, nel 1913 prese il via questo ambizioso progetto di salvare gli scugnizzi dalla fame e dalla strada per dargli un’istruzione ed un mestiere. Il primo anno c’erano già 50 ragazzi, ma la nave asilo Caracciolo formerà centinaia di ragazzi sotto la guida della Franceschi. Il corpo di docenti era formato da ex ufficiali della Regia Marina, che istruivano i ragazzi sull’arte marinara, e da precettori classici che istruivano nelle materie classiche. C’erano poi dei medici che si occupavano del benessere fisico dei ragazzi.

Se l’istruzione era basilare nel progetto dell’Asilo Caracciolo, fu tuttavia il metodo pedagogico attuato dalla Civita Franceschi a dare grandi risultati. Ella ruppe gli schemi educativi rigidi e patriarcali per improntare l’educazione innanzitutto predicando l’uguaglianza tra bambini e bambine (fu un’antesignana del femminismo italiano). Tentò di fondare un asilo a Miseno dedicato alle “scugnizze” ma incontrò la resistenza della cultura e della società dell’epoca che trovava futile impiegare risorse per le bambine che come destino avevano fare figli e vivere in casa. Fu, poi, al Congresso delle donne napoletane, tenutosi nel giugno del 1947, che potrà esprimere più liberamente e compiutamente le sue idee in merito, idee represse e osteggiate dalla cultura nazional fascista dell’epoca. Ella abbandonò la rigida impostazione da collegio riformatorio per ricreare un ambiente quanto più possibile familiare, per dare quel senso di focolare e di famiglia a quegli sventurati che avevano conosciuto solo fame e soprusi. Giulia Franceschi insegnò a tutti l’idea della convivenza e della casa comune. Insegnò ai più grandi a prendersi cura dei più piccoli che, una volta cresciuti, avrebbero fatto lo stesso. Insegnò a tutti il valore della auto responsabilità che prescinde dall’assioma buona azione - premio, cattiva azione - punizione. Formare non solo marinai ma uomini. Quindi, non solo l’apprendimento di un mestiere, ma anche una valida istruzione di base, senza la quale non si può essere liberi e consapevoli. 

                                                 Giulia Civita Franceschi a bordo con i suoi "scugnizzi"                                                                                                    la mensa

Alla Nave Asilo si aggiunse nel 1921 la Scuola Pescatori e Marinaretti (SPEM), che aveva in concessione il lago di Fusaro di Bacoli.

Nella tradizionale festa di Piedigrotta dello stesso anno fu presentata una canzone in suo onore intitolata “E marinaretti” di cui riporto una strofa che ho trovato nel libro “Lazzari e scugnizzi di Napoli”:

 

Sta Nave e chistu mare

Fanno n’cantà

So guaglion’ marenare

e stasera aggia alluccà

Viva a Nave Caracciolo

C’a vita a’nuie n’ca data

Pure Miseno, Bacoli

Che ngiane esiliate

Tenimmo na signora

Ch’è a meglie ‘e tutte ‘e mamme

Nce guarda e nce vo bene

E ce fa a tutte rispettà….

 

Si avvicinava a lenti passi la fine del progetto educativo e del sogno di Giulia Civita Franceschi. Ammirata da più parti, osteggiata dal potere dell’epoca per le sue idee innovative e progressiste, Giulia Civita Franceschi fu nel 1928 sollevata dalla direzione della Nave Asilo Caracciolo che passò sotto il controllo dell’Opera Nazionale Balilla, per la quale dovevano passare tutti i progetti che interessavano la gioventù. Il progetto era chiaro: indottrinamento per tutti i bambini dall’età precoce all’ideologia fascista. Nel 1933 anche la SPEM fu chiusa e gli allievi trasferiti nel collegio dell’Opera Balilla nel Real Albergo dei Poveri di Napoli. Nel 1936 gli allievi della nave asilo Caracciolo furono trasferiti a Sabaudia. La nave, abbandonata a sé stessa, rimase ancorata nel porto di Napoli fino al dopo guerra, quando poi se ne decise la demolizione.

È la fine di un’epoca e di una grande idea che ha visto protagonista una brillante persona. Giulia Civita Franceschi ha avuto una doppia sfortuna: nascere a Napoli, città da sempre ingrata verso i suoi figli più illustri, ed essere una donna.

E, così, è precipitata nell’oblio e la sua storia sconosciuta ai più. Si spera che un domani il Comune voglia intitolargli, se non proprio una piazza almeno un “vicoletto”.

Giulia Civita Franceschi morì il 27 ottobre del 1957. Al suo funerale erano presenti moltissimi suoi ex allievi, alcuni dei quali avevano anche fatto carriera militare in Marina come Gennaro Aubry. E a portare a spalla il feretro di “mamma Aei”, come i suoi ragazzi la chiamavano, c’erano proprio quattro di loro, tra cui Gennaro Aubry.  Nessuno l’aveva mai dimenticata!