VALENTINA ANTIGNANI

Valentina ha una sincera ed autentica passione per l'urbex. Non indugia nel sensazionalismo fotografico, cattura ricordi per lo più personali ed è interessata a capire cosa c'è dietro i luoghi esplorati e catturare le ombre del passato. Non ama parlare di sé o mostrare le immagini delle sue esplorazioni;  per questo siamo ancora più felici che abbia accettato il nostro invito per questa rubrica. Con Valentina abbiamo condiviso alcune emozionanti giornate di urbex. Ecco come ha risposto alle nostre domande

PARLA UN PO’ DI TE

Mi chiamo Valentina, ho 39 anni, sono della provincia di Napoli.

Sono farmacista e tossicologa ambientale ed attualmente lavoro come direttore tecnico in un’azienda farmaceutica.

Tuttavia, se avessi potuto mettere in pratica soltanto quello che è il mio lato artistico, oggi vivrei di disegno e di concerti, le passioni che mi tengono in vita. Ma si sa, difficilmente si campa di quello che ci piace. Sono inguaribilmente innamorata del passato; non prediligo il futuro ed i cambiamenti che comporta, è qualcosa su cui non ho potere né controllo, in linea generale mi provoca ansia.

Ma il passato… il passato no.

Resta lì, fermo ed immutabile nei ricordi che ci portiamo dietro, nei profumi che li evocano, nelle stanze della nostra memoria dove ancora abitano le persone che abbiamo amato. È la “Celeste Nostalgia” di cui parlava Cocciante in una vecchia canzone, quella che ti accoglie quando varchi la soglia di una casa abbandonata - chissà da chi, chissà da quanto tempo - e tra la polvere ed il ronzio delle mosche ti presenta il conto delle vite passate tra quelle quattro mura, i ricordi, volti senza nomi, abiti ancora appesi negli armadi, lettere d’amore e d’amicizia. In sostanza, vite di persone che non conoscerai mai, cui però ti sembra di tributare un omaggio ricordandole anche solo per un po’, mentre ti consentono di passeggiare tra le loro cose, nelle loro case.

È questo quello che mi ha spinto a fare urbex, l’amore per il passato.

 

COME HAI CONOSCIUTO L’URBEX

Fin da bambina avevo questa passione smodata per le case abbandonate; ricordo che, andando a fare visita alla mia nonna materna che viveva al centro storico di Napoli, restavo minuti impalata a guardare l’Albergo dei poveri (allora neanche la facciata era stata ristrutturata), fin quando non spariva dalla mia vista. Ho successivamente scoperto che il mio papà aveva la stessa passione, senza averla mai messa in pratica.

Poi un giorno nel 2014, durante un weekend nell’avellinese con delle amiche, sono entrata da sola in un vecchio casolare ancora pieno di vestiti, qualche mobile e cianfrusaglie varie. Probabilmente quella è da ritenersi la mia prima, vera esplorazione, eppure ancora dovevo scoprire che tutto questo aveva un nome, “urbex”, per l’appunto. Si è trattato di un puro caso a seguito di un piccolo check fatta in rete, col sospetto che questa pratica che tanto mi incuriosiva potesse piacere anche ad altri e munirsi perfino di un appellativo. Durante quella ricerca mi sono imbattuta in un video di Anna e Giovanni all’hotel Eremo e così ho scoperto il gruppo “Urbex Campania” ed anche tutta l’ideologia che si “nasconde” dietro questa passione.

 

COSA E’ PER TE L’URBEX: COSA TI PIACE E COSA NON TI PIACE

Cos’è per me l’urbex?  È ritrovarsi improvvisamente nel 1950, in una casa dagli infissi in alluminio e la porticina d’ingresso che dà sulla corte, mentre fuori il mondo corre.

È stare fermi ed in silenzio a guardare l’orizzonte dal balcone di una casa abbandonata, col frusciare di una tendina ancora appesa al suo bastone ed un letto rovinato in un angolo, avviluppato dall’edera, in un istante sospeso per sempre, mentre nella tua realtà i telefoni squillano, le auto si incastrano nel traffico, le persone scorrono annoiate reels su TikTok.

È dare nuova voce a vite dimenticate da anni, a lettere piegate, giocattoli imbruttiti dal tempo e dalla polvere.

È restituire amore al passato.

Non so se esistano cose che non mi piacciano dell’urbex, perlopiù si tratta di limitazioni personali. Sono notoriamente scoordinata ed imbranata e fare urbex significa anche scavalcare cancelli, entrare in cunicoli, affrontare vegetazione e spine. Probabilmente è questo che mi “disturba” maggiormente, eppure certe volte mi dà anche molta soddisfazione: ogni volta che riesco a supere un mio limite, a vincere una mia paura, ho vinto una nuova sfida con me stessa.

 

CHE LUOGHI PREFERISCI ESPLORARE

Abitazioni, ville antiche, paesi fantasma in primis: luoghi più intimi e personali che mi possano parlare di vite andate.

 

FOTO O VIDEO

Foto, non prediligo i video.

 

QUALE E’ IL TUO STILE DI RIPRESA

Premetto che non sono esperta e non utilizzo attrezzature professionali; ogni foto viene scattata con il mio umile smartphone.

In ogni caso prediligo gli scatti in verticali, tendenzialmente “panoramici”, ma non disdegno i dettagli quando qualcosa mi colpisce particolarmente.

 

L’EMOZIONE PIU’ BELLA E QUELLA PIU’ BRUTTA FACENDO URBEX

L’emozione più bella è sicuramente l’adrenalina che precede l’ingresso in un luogo abbandonato, l’ansia di scoprire cosa riserverà l’esplorazione, l’entusiasmo da bambino con cui guardarsi attorno, toccando con mano oggetti e ricordi di chi ci ha preceduto.

L’emozione più brutta potrebbe essere collegata ad incontri spiacevoli, più facili da verificarsi durante la visita a luoghi “pubblici” come carceri ed ospedali; per fortuna non ho esperienza di situazioni simili.

 

CHE CONSIGLI DARESTI A CHI VUOLE INIZIARE 

Di non fare esplorazioni in solitaria e di avere sempre rispetto per i luoghi visitati.

 

E ORA SPAZIO ALLE FOTOGRAFIE DI VALENTINA