VILLA ROSSI FILANGIERI A TORRE ANNUNZIATA
Breve premessa
Grazie alla pregevole ricerca del Dott. Mario Quaranta, “Le ville del Parco Filangieri a Torre Annunziata tra architettura eclettica e Liberty”, sviluppata all’interno dello splendido volume curato da Lucia Muoio e Vincenzo Marasco I lumi della Torre, ho potuto dare una forma più consapevole, dal punto di vista storico, ai tanti racconti ascoltati in casa, ed alle tantissime foto e documenti che formano ciò che rimane dell’archivio Rossi Filangieri. Non posso, quindi, che essere sinceramente grato alle persone che ho appena citato per l’accurato studio che mi ha fornito così tante informazioni utili alla ricostruzione di un pezzo della storia della mia famiglia e permesso di comprendere la natura di molti documenti. Un tratto importante, perché a quei luoghi è legato in particolare il ramo Rossi Filangieri, di cui la villa è stata una sorta di incubatrice. Ed è appunto utilizzando e citando quella ricerca, partendo da Giovanni Filangieri, Principe di Arianello e Barone di Lapìo, che inizia questa storia, storia che a sua volta integra la predetta ricerca per quanto attiene alle origini della famiglia Rossi Filangieri e alle relazioni intercorse.
Brevi cenni sulla famiglia Filangieri
Di origine normanna, è tra le famiglie più antiche ed è strettamente legata alla storia di Napoli e del meridione d’Italia. Il suo capostipite fu Angerio, cavaliere normanno sceso nella metà dell’XI sec. in Italia insieme al Fratello Turgisio, sotto le insegne di Roberto D’Altavilla il Guiscardo (Robertus Hauteville la Guichard detto anche Terror Mundi) e stabilitosi, poi, nel Principato di Salerno. Angerio ebbe 4 figli: Guglielmo 1°, Roberto, Tancredi e Ruggiero che furono detti i “filii Angerii”, cioè i figli di Angerio e, dunque, i primi “Filangeri”. Il cognome poi da Filangeri fu translitterato in Filangieri in data incerta. Nei secoli la stirpe dei Filangieri si è sempre distinta in tutti i campi e molti sono i suoi membri che si sono fatti ricordare come Guglielmo, cavaliere alla Corte di Ruggero il Normanno, Riccardo I che seguì Federico II alla Crociata, Riccardo II, viceré di Sicilia, mecenate di Manfredi, privato dei feudi da Giovanna II. In Sicilia, in particolare, si trovano il ramo ducale, e quello principesco, con i vari Mirto, Cutò e Santa Flavia; in particolare Antonio Filangieri di Mirto fu "grande di Spagna" nel 1699.
Don Cesare Filangieri (Lapio, 1705 † Napoli, 1767), secondo principe di Arianello dal 1750, sposò nel 1740 donna Marianna Montalto dei duchi di Frignano (1723 † 1812). Suo fratello, Riccardo (Lapio, 1713 † Napoli, 1782), patrizio napoletano, nel 1729 divenne monaco benedettino adottando il nome Serafino; fu arcivescovo di Matera e Acerenza dal 1758, arcivescovo di Palermo dal 1762, Viceré del Regno di Sicilia nel 1774, arcivescovo di Napoli 1776.
Sicuramente il più universalmente conosciuto è Gaetano Filangieri, figlio dei predetti Cesare e donna Marianna Montalto, il filosofo e giurista nato a Cercola il 1752 e morto nel 1788, appena trentaseienne, a Vico Equense, in seguito ad attacchi di tubercolosi.
Nel 1775 si laureò in legge, amico e corrispondente di Goethe e Giambattista Vico.
Scrisse numerose opere tra cui "Le norme generali" nel 1780, “Il diritto e la procedura penale" nel 1783, "Sull'educazione" nel 1785. Gaetano è noto soprattutto per la sua grande opera, di
carattere illuminista "la Scienza della Legislazione" scritta a soli 28 anni, che gli diede fama internazionale, in materia di filosofia del diritto e teoria della giurisprudenza. Il testo venne
tradotto in inglese, in francese, in tedesco, in spagnolo e diviene uno dei modelli ispiratori di Benjamin Franklin per la stesura della Costituzione Americana e punto di riferimento per gli
intellettuali illuministi, fautori della Repubblica Napoletana del 1799. Nel 1787 Ferdinando IV di Borbone lo nominò Consigliere del Supremo Consiglio delle Finanze. Nel 1783
sposò la contessa Carolina Frendel, damigella della Regina di Napoli e in seguito tutrice di Maria Luisa di Borbone, principessa di Napoli e Sicilia.
Il figlio di Gaetano, Carlo, fu un valente militare. Si arruolò nell'esercito napoleonico e combatté valorosamente ad Austerlitz. Nel 1806 partecipò all'assedio di Gaeta col grado di capitano agli ordini di Giuseppe Buonaparte. Nel 1808, durante la conquista della Spagna, si distinse nella presa di Burgos. Fu nominato da Gioacchino Murat colonnello e poi generale, dopo la sua eroica condotta nella campagna di Russia. Sempre con Murat combatté in Italia contro gli Austriaci e sul Po fu gravemente ferito. Nel 1810, per difendere l’onore delle truppe napoletane, sfidò e uccise in duello il generale francese François Franceschi. Subito dopo l'avvenuta restaurazione borbonica, si ritirò dall'esercito. Suo figlio Gaetano, studioso e letterato, è il fondatore del “Museo Gaetano Filangieri” che intitolò al celebre nonno e donò alla città di Napoli.
Il castello di Capo Oncino e la nascita del cognome Rossi Filangieri
Giovanni Filangieri, principe di Arianello e barone di Lapìo, nacque il 18 agosto 1819. Era figlio di Agnello Filangieri il cui padre era Giovanni Francesco Filangieri, 1° Principe di Arianello, fratello di Gaetano, il celeberrimo giurista filosofo. Sposò nel 1852 Antonia Corsi, baronessa di Turri e Moggio. Giovanni Filangieri è tra i primi a riconoscere il potenziale dell’Oncino. Quella zona subisce e tramanda il fascino che il cd. Miglio d’ora aveva esercitato sulla aristocrazia napoletana nel XVIII e XIX secolo.
“Il confine est di Torre del Greco, generalmente e artificiosamente, segna il limite territoriale del fenomeno delle Ville Vesuviane. Tuttavia, superandolo ed entrando nella città di Torre Annunziata dall’area del quartiere Uncino ci si accorge che il fascino della villeggiatura ha attraversato anche questo centro, soprattutto sul finire dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, rendendo possibile il suo inserimento tra quelli che Fabio Mangone definisce ‘luoghi deputati’. Qui gli ultimi aristocratici e la nascente classe borghese e imprenditoriale napoletana e torrese, sfruttando gli spazi ancora poco urbanizzati del massiccio costone lavico, isolato rispetto all’antico centro cittadino, ma nello stesso tempo facilmente raggiungibile da Napoli grazie alla ferrovia da poco inaugurata, hanno lasciato testimonianza del proprio potere e del proprio gusto artistico attraversa la costruzione di affascinanti villini.” (da I lumi della Torre: Le ville del Parco Filangieri a Torre Annunziata tra architettura eclettica e Liberty).
All’epoca la Zona di Capo Oncino ancora non faceva parte del circondario di Torre Annunziata; ciò avverrà solo nel 1877.
Il 23 agosto 1869 Giovanni Filangieri acquistò un vecchio fortino Borbonico che riadattò e ne fece la sua residenza che per questo prese a chiamarsi Castello Filangieri.
Il Forte era nato come presidio militare al promontorio dell’Oncino e faceva parte di una complessa linea difensiva costiera. Nel 1842 il Forte Oncino venne disarmato e successivamente messo in vendita nell’ambito della alienazione di beni demaniali prevista con il R. D. n. 4897 del 1869 “Forti diruti e abbandonati sul litorale di Torre Annunziata”. Nel marzo dell’anno successivo lo stesso Giovanni Filangieri comprò con diversi atti di vendita dai Signori Giovanni, Luigi ed altri De Felice gli attigui fondi. Con questi diversi acquisti il Principe Filangieri formò una sola e grandiosa villa, avente ingresso da un cancello a Vico Oncino.
“Giovanni Filangieri, aderendo perfettamente al gusto romantico che pervade l’Ottocento, sfrutta le preesistenze architettoniche, apportando alcune modifiche al prospetto nord in aderenza a un revival rinascimentale, per dare alla propria dimora l’immagine di una villa di campagna fiorentina del Quattrocento, ingentilita dall’apertura di balconi e finestre laddove in precedenza vi erano solo feritoie. La complessa planimetria trapezoidale dell’intero complesso si semplifica passando all’analisi dello spazio abitativo e del prospetto… omissis. La cornice sommitale ripropone invece il tema merlato tipico dei palazzi quattrocenteschi e dei castelli. Poco sappiamo dell’arredo d’epoca. Il giardino è il vero apparato decorativo della villa. Lo spazio, oggi compromesso, era organizzato nella zona d’ingresso con un viale rettilineo in battuto tufaceo delimitato da bassi cordoli, ai cui lati potevano ammirarsi felci, palme, pini, secondo una mistura di essenze esotiche e mediterranee, che generavano un vivace effetto coloristico. Allontanandosi, invece, il terreno disconnesso favoriva percorsi più sinuosi e una vegetazione più selvaggia, con alberi d’alto fusto. Muretti ondeggianti, realizzati in ciottoli di pietra lavica, si sostituivano ai bassi cordoli in tufo, conducendo il visitatore fino al lungomare che appariva quasi improvvisamente con la sua vista mozzafiato sul golfo di Castellammare. Disseminate tra il verde vi erano diverse strutture, espressione del gusto pittoresco; tra queste sono ancora visibili il finto faro o piccionaia e la torre merlata, entrambi realizzati secondo i dettami illusionistici dell’architettura eclettica. Rovine indecifrabili poco più in là della torretta rivelano la presenza di un’ulteriore fabbrica, probabilmente un sedile sullo stile di un tempietto, di cui restano purtroppo solo una parete dritta di pietra lavica e una serie di pilastrini disposti in semicerchio; infine la voliera, a sinistra del ponte d’ingresso.” (da I lumi della Torre: Le ville del Parco Filangieri a Torre Annunziata tra architettura eclettica e Liberty).
VEDUTA AEREA
L'INTERA PROPRIETA' CON CARLO E TERESA VILLA GUARRACINO OGGI VILLA ROSSI FILANGIERI OGGI
Della vita del Principe di quegli anni a Torre Annunziata, dal 1869 alla sua morte avvenuta il 18 febbraio 1896, non è dato sapere molto. Dalla sua consorte legittima, Antonia Corsi, non ebbe figli nonostante desiderasse ardentemente un erede e fosse ormai anche avanti negli anni. Aveva già 50 anni quando acquistò il Forte Oncino ed era già sposato da ben 17 anni. Questa sua pena è confermata da taluna corrispondenza con suo Zio Carlo Filangieri Principe di Satriano; in una lettera del 23 luglio 1862 da Ponte a Serraglio vicino Lucca scrive: “sono sempre fervidi i miei voti perché il cielo vi faccia presto lieti di una bella e numerosa prole”.
Nel periodo torrese il Principe ebbe una frequentazione galante con una donna molto più giovane di lui di nome Marianna Rossi, figlia di Amerigo e Rosa Vigliano, di cui esiste anche traccia epistolare. Ma ancor più inconfondibili e carnali tracce sono due bambini nati proprio in quegli anni: Carlo nel 1871 e Teresa nel 1876, che egli mantenne, curò ed allevò come fossero a tutti gli effetti propri figli. Esiste copiosa corrispondenza tra Carlo ed il padre resa in occasioni varie, tra cui compleanni, onomastici, festività come Natale e Pasqua, in cui il giovane Carlo, studente del Collegio di Montecassino, si rivolge al Principe Giovanni Filangieri chiamandolo apertamente ed intimamente “papà”, lettere piene di riposta tenerezza. Le cure parentali inequivocabili, i costosi studi loro riservati, assolutamente non accessibili al contesto familiare materno, non lasciano dubbi alcuni sul rapporto di filiazione sorto dalla relazione extraconiugale intrattenuta. A causa dei gravi sospetti nutriti, la Baronessa Corsi abbandonò il tetto coniugale, trasferendosi a vivere altrove ed intentò causa al Principe Filangieri per la relazione adulterina tramite due noti legali dell’epoca, gli avvocati Vaglio e Grippo. Non fu tanto per la relazione extraconiugale, relazioni cui forse le donne dell’epoca erano abituate gioco forza a tollerare, ma per i frutti di questa relazione. Non va ignorata la cultura giuridica e la morale dell’epoca che trattava i figli adulterini in maniera rude.
GIOVANNI FILANGIERI PRINCIPE DI ARIANELLO E BARONE DI LAPIO
Questo mise certamente il Principe Filangieri in una posizione estremamente scabrosa e delicata e ne frenò sicuramente la libertà di esprimere la gioia della paternità finalmente ottenuta. In quell’epoca ai figli adulterini non erano riconosciuti diritti patrimoniali, se non la mera sussistenza (alimenti), né tantomeno era riconosciuto il diritto a portare il cognome. Il Principe era invece desideroso di vedere i suoi figli portare il suo cognome e divenire suoi eredi. Per un insieme di circostanze (coesistenza di suscettibilità date le leggi e la morale del tempo, lo stato illegittimo di Marianna Rossi, lo status di moglie legittima della Baronessa Antonietta Corsi, i timori dei parenti di costei circa la massa ereditaria, lo svantaggio della posizione di figli adulterini di fronte alle leggi del tempo), dunque, fu creduto opportuno assecondare per Carlo e Teresa, nati da una relazione extraconiugale, uno stato civile di apparente legalità anche se non corrispondente alla realtà: farli apparire come figli di Amerigo Rossi e Rosa Vigliano, genitori di Marianna. In questo modo finirono ad essere fratelli della loro madre con una distanza temporale di 30 e 35 anni. Nel 1895 essendo fallito un primo tentativo di adozione dei suoi figli naturali, Carlo e Teresa, Giovanni Filangieri fece istanza di aggiunzione del suo cognome agli stessi. In seguito a tale domanda la Procura Generale di Napoli assunse informazioni che inviò al Ministero e, a leggere tra le righe, si scorge più di una allusione allo stato di figli adulterini dei medesimi. Quanto alla Baronessa Corsi, ella fu convinta dai suoi parenti a fare formale opposizione alle istanze legali formulate di cui sopra. L’esposizione del suo legale, Avv. Vaglio, dice testualmente: “fallito il tentativo di adozione, il Cavalier Filangieri espose domanda al Ministro Guardasigilli per dare il proprio cognome alla prole illegittima dianzi enunciata”. L’avv. Vaglio precisò anche di essere anche stato sollecitato dai parenti della Corsi al fine di impedire il chiesto cambiamento di cognome dei figli adulterini. La Baronessa Corsi conferì mandato agli avvocati Vaglio e Grippo di intentare anche un giudizio di separazione per adulterio, che iniziò con ricorso del 9 novembre 1895 e si interruppe per la morte del Principe avvenuta l’anno seguente.
La paternità risultava da molteplici e gravi indizi: la relazione, il comportamento concludente verso Carlo e Teresa ben oltre il trattamento riservato a semplici “protetti”, i nomi di battesimo imposti (Carlo e Teresa) erano nomi della famiglia Filangieri, il tentativo di adozione, il testamento, la reazione avuta dalla legittima moglie. Tuttavia, la prova più concludente fu che, con ogni evidenza, la madre dei ragazzi non potesse mai potuta essere Rosa Vigliano (che invece ne era la nonna); ella era nata nel 1822 e all’epoca della nascita di Teresa ad esempio (1876) aveva quasi 55 anni. Tutti aspetti che naturalmente sia alla Procura che alla baronessa non sfuggirono certamente.
Dal canto suo nel testamento olografo del 9 settembre 1884, ben dodici anni prima della sua morte, Giovanni Filangieri ribadì la sua determinazione di costituire Carlo e Teresa suoi eredi e che gli stessi portassero il suo cognome, riconoscendoli come suoi figli; vi è un cartiglio in cui appare la designazione di Carlo nel titolo nobiliare: Joanni Filangerio oppidi Lapii Baroni, Arianelli Principis, pareclarissima virtutis viro, rarae sapientiae ac probitatis in pubblica pecunia agenda, annorum LXXII obito A.D. MDCCCLXXXXVI ob insigna eius merita et eximiam erga se magnificentiam Carolus. A.D. (Archivio Rossi Filangieri). Nel testamento è nominata, e con grande affetto, anche Marianna Rossi, che era stata sempre nell’ombra, senza poter vivere appieno nessuna gioia né tantomeno lo status di madre. A lei il Principe lasciò una splendida Villa sul Corso Umberto di Torre Annunziata.
E dunque così nasce il ramo dei Rossi Filangieri, sorto da un desiderio travolgente di paternità e certamente da un incontro di anime. Un incontro contro le regole e le convenzioni, clandestino, fatto di imprudenti biglietti, di corrispondenza segreta, di occhiate furtive e incontri fugaci, ma pur sempre frutto del desiderio. Un legame di sangue inviso alle leggi dell’epoca, ma a conti fatti più forte di queste. Potremmo dire: meravigliosamente illegale!
Infine, Carlo e Teresa aggiunsero al cognome della madre quello del padre ed alla sua morte, avvenuta il 18 febbraio 1896, ereditarono una grande fortuna, tra cui anche l’esteso possedimento di Capo Oncino. Vinsero la causa, in doppio grado di giudizio, contro chi provò ad ostacolare questo diritto “legittimo” di vedersi riconosciuti come figli (atti in archivio Rossi Filangieri). Carlo, poi, presenterà domanda per poter eliminare il Rossi dal cognome, ma morì prima di terminare l’iter. I suoi figli non vollero proseguirlo, credendo giusto rispettare la memoria della loro nonna Marianna; inoltre, considerando tale cognome con orgoglio, ritenendolo un tratto distintivo.
LETTERA DI G. FILANGIERI A MARIANNA ROSSI - LETTERA DI CARLO AL PADRE GIOVANNI NATALE 1884 - LETTERA DI CARLO AL PADRE GIOVANNI PASQUA 1885
È così che nacquero anche le due ville di capo Oncino.
Il 15 febbraio 1897 i due eredi del Principe si divisero l’estesa proprietà di Capo Oncino ed edificarono: Teresa Rossi Filangieri, maritata Guarracino, Villa “Guarracino”, nata come sede di concerti e rappresentazioni teatrali private, poi convertita ad abitazione; Carlo Rossi Filangieri, con la collaborazione dell’ingegnere architetto Pasquale Filosa e del pittore Giuseppe Lamonica, Villa Rossi Filangieri.
Teresa Rossi Filangieri era anch’ella un personaggio rinomato nell’ambiente napoletano e torrese. Donna raffinata e colta, amava circondarsi di artisti e personalità dell’epoca che spesso ospitava nella propria dimora, come del resto faceva anche il fratello Carlo. Il consorte, Alessandro Guarracino, era uno stimato avvocato, professore di diritto romano alla Facoltà di Giurisprudenza della Università “Federico II” di Napoli nonché personalità di spicco della politica; fu onorevole e sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia dal 1900 al 1909.
Teresa aveva ereditato la parte occidentale della intera proprietà Filangieri in cui insisteva anche il Castello Filangieri, che diventerà Castello Guarracino fino al 1955, anno in cui viene venduto alla Prelatura di Pompei. Sulla sua proprietà ricadeva anche la Sorgente alcalina, Acqua Filangieri, con diritto del fratello Carlo e i suoi aventi causa di attingere alla fonte.
Sui nuovi terreni oltre il confine occidentale acquistati nel 1898, Teresa Rossi Filangieri fece edificare Villa Guarracino, terminata nel 1903 e rimasta di proprietà dei discendenti di Teresa e Alessandro Guarracino fino al 1971. Ebbero quattro figli: Teresa (morta all'età di appena 10 anni,) Angerio, Anna e Vittoria.
Sempre citando, in maniera semplificata e non integrale, omettendo quindi il virgolettato, le ricerche del Dott. Quaranta:
Villa Guarracino si sviluppa su tre livelli, cui vanno aggiunti il piano interrato e il solarium.
Nell’originaria distribuzione degli spazi interni gli ambienti del pianterreno erano adibiti a locali di servizio. Al primo piano, invece, l’ampio salone era deputato ai concerti e alle rappresentazioni teatrali; il suo sviluppo è concepito a doppia altezza, mentre gli adiacenti locali accessori sono ricavati su due livelli con la creazione di un ammezzato, mascherato all’esterno da espedienti decorativi che riuniscono primo piano e mezzanino.
La decorazione esterna è senza dubbio l’aspetto preminente di Villa Guarracino: i prospetti combinano in maniera elegante e mutevole vetri, stucchi e maioliche, attingendo all’intero repertorio eclettico e Liberty. Le paraste angolari, che al pianterreno alternano bugnati listati a pannelli bocciardati e culminano in capitelli a forma di conchiglia, al livello superiore evolvono in cariatidi dalla testa alata con fiori tra le mani. Il giardino fungeva da raccordo tra la palazzina e il mare.
Villa Rossi Filangieri
La Villa celebra senza alcun dubbio la casata Filangieri dei Principi di Arianello e rende omaggio eterno a Giovanni Filangieri, ma è al contempo una creatura propria di Carlo e costituisce una sorta di “incubatrice” del neonato ramo dei Rossi Filangieri. Carlo Rossi Filangieri ebbe sei figli dalla moglie Italia Chianese, tutti nati e cresciuti in quella grande, splendida magione da lui costruita: Giovanni (mio nonno), Pia, Anna, Riccardo, Federico e Teresa.
Colto, appassionato di archeologia e di teatro, fine collezionista Carlo trasformò secondo il suo gusto quello che ancora esisteva all’epoca della morte di Giovanni nella Villa Rossi Filangieri. Carlo era anche un arguto uomo d’affari come del resto il padre Giovanni; era possidente, ma non amava starsene con le mani in mano. Investiva i suoi soldi ed aveva partecipazioni in rinomate Società, come la “Mazzolini & Rossi Filangieri” che produceva paratie stagne per navi da guerra. Non era insomma il classico possidente che si dedicava alla oziosa vita del ricco, ma aveva mille interessi e attività che gli valsero anche il cavalierato della Corona d’Italia conferito il 13 marzo 1905.
Come detto, il progetto parte dalla vecchia Torre difensiva di capo Oncino, eretta tra il 1567 ed il 1572. Villa Rossi Filangieri, realizzata tra il 1896 ed il 1900, è un classico esempio di architettura eclettica in cui si esprime tutta la personalità di Carlo Rossi Filangieri, del progettista ingegnere Pasquale Filosa e del pittore Giuseppe Lamonica. Quest’ultimo è stata una figura importante per la famiglia Rossi Filangieri. Infatti, nell’inventario stilato alla morte di Carlo compaiono molti dipinti realizzati dal Lamonica su commissione, al punto che nel volume da me più volte citato, Giuseppe Lamonica è considerato come il “pittore di famiglia”, autore di splendidi affreschi, come quelli del teatro. La Villa occupa la parte orientale della originaria proprietà Filangieri di Capo Oncino, con accesso da Via Gambardella, la facciata a sud rivolta al mare ed il muraglione dei binari della ferrovia come confine nord. Non solo la torre ma tutte le preesistenti strutture tradiscono il passato militare dei luoghi. Tuttavia, a Carlo si deve quello che è ancora all’attualità l’aspetto dell’edificio.
“Lo schema del castello viene declinato nella sua accezione rinascimentale: la villa, alla quale si accede percorrendo un vialetto in discesa da via Gambardella, è celata dal verde di un lussureggiante giardino all’inglese. … Il primo livello, leggermente rialzato rispetto al piano di calpestio, ospita le sale di rappresentanza e un ampio terrazzo; il secondo livello, suddiviso originariamente in più camere da letto, risulta modificato da alcune ristrutturazioni novecentesche progettate dall’ingegnere Antonio Amodio, che hanno altresì privato l’edificio della sua originaria conformazione a terrazze digradanti. La suddivisione degli spazi interni è organizzata intorno all’ampio salone rettangolare esposto a sud, comunicante con gli altri ambienti e col terrazzo: vi sono due ingressi distinti, uno ricavato sulla facciata principale, un altro cui si accede attraverso una scenografica scalinata direttamente dal giardino. L’apparato decorativo esterno è giocato oltre che sui rimandi militari delle merlature, anche sugli stucchi variamente interpretati nell’esecuzione degli stili presenti, dal romanico al catalano, al rinascimentale, all’esotismo islamico, impreziositi talvolta da inserti di mosaici vitrei. (Da I lumi della Torre: Le ville del Parco Filangieri a Torre Annunziata tra architettura eclettica e Liberty – M. Quaranta)
FACCIATA NORD CON I BINARI DEL TRENO FACCIATA SUD
Entrando nella Villa dall’ingresso principale dalla facciata posta a nord si entra nella zona di rappresentanza, con diversi saloni, studioli, saloni veranda e terrazzi. Il salone immediatamente sulla destra dell’ingresso, con pavimento di marmo policromo, è finemente decorato con stucchi bianchi, affreschi e degli ovali nei quali compaiono Giovanni Filangieri, Carlo Rossi Filangieri e Italia Chianese sua moglie, la loro nipote Teresa morta prematuramente. I quattro ritratti sono firmati da Giuseppe Lamonica e recano la data 1898. Accanto vi è uno studiolo con gli stemmi di casa Filangieri. Sulla sinistra vi è un’altra sala, alquanto angusta, tra l’ingresso che dà sul giardino e il salone che dà sul terrazzo. Maestosa è la sala di conversazione in cui spicca un bellissimo affresco del “grande paesaggio con ninfe”: un gruppo di sei figure è disteso su un prato, allietato dalla musica sullo sfondo di un grande albero coloratissimo e Torre Annunziata.
“I soggetti, curati nel disegno dei volti, vengono completati con panneggi veloci e sbrigativi che tuttavia sono frutto di successivi interventi. Lamonica attinge alla lezione accademica, soprattutto per la fase compositiva e la scelta del soggetto, ma non disdegna le novità introdotte dai Palizzi e accentuate dai membri della Scuola di Resina. I contorni sono tutt’altro che netti e il disegno stesso appare essenziale: la resa coloristica è ora sfumata negli accostamenti tonali, ora risolta con rapide pennellate per definire i ciuffi d’erba o i petali dei fiori; una linea sottile di giallo dipinge la città che si adagia sul mare. L’ambientazione e la figura distesa a terra, inoltre, spingono anche verso un confronto con la scena dell’aranceto dipinta da Hans von Marées alla stazione zoologica Anton Dohrn nel 1873. L’albero, invece, riecheggia sorprendentemente quello dipinto da Salvatore Postiglione nella villa La Santarella di Edoardo Scarpetta … La decorazione parietale, che ha il culmine nella citazione araldica delle Armi di casa Filangieri, unisce lo stile romano a quello islamico, attraverso il disegno e con l’ausilio della tecnica musiva e della scagliola.“(Da I lumi della Torre: Le ville del Parco Filangieri a Torre Annunziata tra architettura eclettica e Liberty – M. Quaranta)
Grande paesaggio con ninfe (Giuseppe Lamonica)
Dalla facciata sud, attraverso una bella scalinata che costituisce il citato ingresso secondario della Villa (ma non meno curato e scenico) si accede ad un’area del giardino dove vi è l’ingresso al teatro della Villa, che risulta sottoposto ad uno dei terrazzi del primo livello.
A SINISTRA: L'ENTRATA SECONDARIA DELLA VILLA
A DESTRA: NELLA FOTO ANNA E RICCARDO. SULLO SFONDO L'INGRESSO DEL TEATRO.
Anche per la descrizione del teatro mi affido, citandolo, al lavoro del Dott. Quaranta: “Il teatro di villa Rossi Filangieri presenta una serie di aspetti che lo contraddistinguono rispetto alle altre strutture similari; innanzitutto lo stretto legame esistente tra lo spazio teatrale e l’edificio che lo ospita. Solitamente, infatti, le sale private sono disgiunte dal corpo di fabbrica principale e sorgono isolate nei giardini: molte volte hanno un carattere transitorio, soprattutto nelle residenze di villeggiatura, pronte ad essere smontate al volgere dell’autunno. Uno dei pochissimi esempi tramandatici di una struttura teatrale incardinata in una villa è la sala privata di Villa Nava a Portici, molto apprezzata e ben frequentata tra Otto e Novecento. Questa sala, che pure si meritò una recensione sulla rivista «Il teatro illustrato» del 1905, aveva tuttavia delle dimensioni esigue, e nell’antico aspetto, restituitoci da alcune foto che accompagnano l’articolo, non presentava le peculiarità di uno spazio teatrale propriamente detto. Il nostro teatro invece, sin dalla pianta, rivela tutti i caratteri specifici dei coevi teatri pubblici: nell’area rettangolare che ne delimita il perimetro vengono infatti sapientemente suddivisi gli spazi.
Dal piccolo ingresso, leggermente incassato in una nicchia cassettonata di vanvitelliana memoria, si accede al foyer, decorato con pitture a motivi geometrici, che funge da filtro con l’esterno e contemporaneamente, attraverso una scala che conduce ai palchetti, dà accesso ai locali di scena e al palcoscenico con le quinte … Il programma iconografico propone una celebrazione delle arti attraverso una commistione eclettica degli stili: la suddivisione spaziale delle pareti laterali per mezzo di motivi geometrici con una sequenza di nicchie e tondi predisposti per statue e busti attiene al mondo classico, così come gli amorini e le danzatrici dipinti tra le pareti e l’arco di scena. La sequenza di busti e statue, già presente nel teatrino di corte di Palazzo Reale, sistemato da Ferdinando Fuga nel 1768, affonda le sue radici in epoca rinascimentale, e registra proprio nel periodo postunitario una particolare diffusione, ampiamente utilizzata per le diverse tipologie edilizie, ma in modo particolare per i teatri.
I palchetti dovevano essere molto raffinati; sulle loro pareti sono ancora visibili le tracce delle decorazioni pittoriche che riprendono gli stessi motivi geometrici della sala, quelle dei parati con inserti in velluto a motivi floreali e teste gorgoniche in stucco a rilievo. Le stesse teste ritornano, stavolta dipinte, nel sottarco della volta del palcoscenico. Il plafond, dipinto a tempera, riprende la tradizione dello sfondato barocco, particolarmente in voga nelle gallerie dei palazzi nobiliari, adattatosi perfettamente all’utilizzo in ambito teatrale: la scena centrale è incorniciata da un ovale con motivi a grottesche che crea l’illusione di una sala curvilinea e non più di base rettangolare. Il dipinto appare oggi di difficile lettura in quanto gran parte dello stesso è andata irrimediabilmente perduta per il distacco dell’intonaco, causato dall’ossidazione delle travi in ferro utilizzate dall’architetto per coprire la sala. Tuttavia, operando un’integrazione tra quel che resta del dipinto e alcune foto d’epoca è possibile fornire una descrizione iconografica precisa: sullo sfondo di un cielo blu con le nuvole dorate dal sole numerose figure si affollano in un vortice lungo i bordi della cornice; in alto troviamo tre soggetti alati che stringono tra le mani strumenti musicali; sul lato sinistro volteggiano figure femminili, mentre in basso emergono i tratti di un personaggio maschile alato che impugna una fiaccola, probabilmente un Mercurio e un’altra silhouette femminile con una veste azzurra stellata, incoronata da una ghirlanda di fiori, in compagnia di un putto alato e di un cigno. Tutte queste personificazioni simboliche convergono a identificare nel dipinto un Trionfo della Poesia. L’opera si attribuisce qui ancora a Giuseppe Lamonica, operando un confronto per via stilistica con il dipinto del salone.” (Da I lumi della Torre: Le ville del Parco Filangieri a Torre Annunziata tra architettura eclettica e Liberty – M. Quaranta)
La cappella, dedicata a Santa Teresa, occupa la vecchia torre di guardia borbonica. È sicuramente la parte più antica della Villa, un manufatto di qualche secolo precedente, nel novero di quelle preesistenze di cui si è parlato. L’ingresso è sormontato proprio da una lunetta in cui è rappresentata “Santa Teresa in estasi”; ma è tutta la facciata a presentare decorazioni in rilievo di cui alcune lasciano qualche dubbio sul loro significato. Ai lati dell’ingresso vediamo due roseti speculari stilizzati, poi due croci “potenziate” e ancora roseti in quello che in un tempio greco sarebbe il timpano, con due figure di rapaci e poi sulla sommità una Stella di David circolata con al centro una rosa. Una simbologia che si apre a tante interpretazioni. La rosa, ad esempio, è un simbolo mariano ma anche esoterico massonico (Rosacroce). Anche la rosa nel pentacolo farebbe pensare ad una allusione di tipo esoterico piuttosto che religioso. La croce “potenziata” è un simbolo antichissimo, precristiano presente nelle decorazioni ceramiche del neolitico europeo. Associata alla croce di Gerusalemme, che ne è una variante, è un simbolo araldico presente sulle monete bizantine ad esempio o sugli scudi come alternativa alla croce cristiana.
Per quanto riguarda l’interno, delle preziose decorazioni non sono rimaste quasi tracce.
Nel presbiterio c'è un bel altare marmoreo, ma il sovrastante affresco raffigurante sempre Santa Teresa in estasi è andato perduto. Le pareti della piccola navata sono impreziosite da colonnine e dai bassorilievi in stucco attribuibili a Giovanni Filangieri e Carlo Rossi Filangieri, mentre nella volta a botte campeggia un tetramorfo, una croce greca dipinta con i simboli dei quattro evangelisti, recante una frase del nuovo testamento scritta in latino ed in greco. Il pavimento è realizzato in marmi bianchi e grigi, che nella zona presbiteriale disegnano una stella a più punte. In controfacciata poteva ammirarsi un piccolo dipinto raffigurante la Madonna con bambino firmato R. Palumbo e datato 1919, ora non più presente. La cappella, intitolata a Santa Teresa, citata dal De Lellis nel 1887, nel suo primo allestimento decorativo è imputabile a Giovanni Filangieri che la dedicò alla sorella Teresa; all'ingresso c'è una lapide funeraria che la ricorda: Theresiae sorori dilectissima. Joannes Filangerius monumentum posuit - alla dilettissima sorella Teresa. Giovanni Filangieri pose.
La struttura è stata successivamente ammodernata da Carlo Rossi Filangieri.
In questa cappella si sono svolte le celebrazioni festive, le messe e i sacramenti (prime comunioni, cresime e matrimoni) della famiglia Rossi Filangieri e Guarracino (negli accordi di divisione vi era il diritto per Teresa e la sua famiglia di accedere alla Cappella)
Non conosciamo il nome di colui che progettò il grande parco che circonda la villa, ma è certamente anch’esso frutto della personalità di Carlo. Oltre a celebrare la casata dei Filangieri di Arianello con i busti di Giovanni e Gaetano, la grande scritta circolare col nome “Filangieri” attorno ai detti busti, tutto il parco è una proiezione immaginifica ed intimistica della personalità dei Rossi Filangieri. Nomi quali la “casetta giapponese”, la “casa dei conigli”, la “casetta sul mare” riempiono i diari, le lettere, i pensieri dei membri della famiglia, in special modo di Anna cui si deve la sopravvivenza dell’archivio e dei cimeli di famiglia, luoghi la cui eco è arrivata fino a noi con una intimità e una vicinanza inusuali visto che non li abbiamo potuti vivere. Persona di grande cultura ma soprattutto di grandissima sensibilità, Anna o “Nunù” come era chiamata in famiglia, è cresciuta all’ombra di questi grandi alberi, nel silenzio profumato dei suoi viali; ha scritto poesie e lettere nei suoi rifugi d’infanzia che il padre Carlo aveva disseminato per la proprietà, come doni da scoprire e vivere con pienezza. Con i suoi fratelli giocava ad ogni genere di gioco che quella immensa magione permetteva, incluso uno dei primi campi da tennis. Divenuta adulta, provava in quegli stessi viali i lavori teatrali che la famiglia dava per gli amici e conoscenti, per beneficenza sì ma anche e soprattutto per puro amore per il teatro e l’arte. Amava rifugiarsi nei meandri più remoti e segreti del parco, rimanendo assorta nelle sue letture: Pascal, Goethe, Pirandello, Proust.
Il parco di villa Rossi Filangieri era un parco “all’inglese”, con un misto di specie autoctone ed esotiche in un gradevole disordine, elemento di quel pittoresque alternativo alle geometrie innaturali del giardino all’italiana. E nel solco settecentesco anche qui sono sparsi, come elementi quasi inglobati dalla natura e da scoprire, elementi architettonici come: la serra, la casetta giapponese, lo zoo, la casetta dei conigli, la casetta sul mare, il tempietto etc.
IL PARCO CON LA SERRA E LO ZOO
LA "CASETTA GIAPPONESE"
LA CASETTA SUL MARE LA DARSENA L'APPRODO
L’autore della ricerca spesso qui citata, ripercorre il parco descrivendo due possibili percorsi in cui godere delle varie amenità ovunque disseminate: “Dall’ingresso potevano scegliersi due percorsi per godere in egual modo il piacere del parco attraverso un susseguirsi di gradevoli, quanto sorprendenti episodi pittoreschi: partendo dal viale principale, prima di giungere alla villa, su due piedistalli in piperno tuttora in sede, trovavano posto i busti marmorei di Gaetano e Giovanni Filangieri, entrambi andati invece dispersi. Di fronte alla villa si ammiravano e si ammirano anche oggi i magnifici esemplari di strelitzia augusta, pianta esotica che produce fiori vistosi di indubbio gusto ornamentale; da qui si poteva proseguire verso la voliera e la serra; quest’ultima, ispirata a modelli del neoclassicismo pompeiano, esibiva mezze colonne doriche con la parte bassa liscia e dipinta e quella centrale scanalata: le colonne si addossavano ai pilastri scandendo la sequenza delle ampie vetrate. Tagliando verso il mare per i sinuosi viali con massetto in agglomerato tufaceo, ci si imbatteva poi nel caratteristico e immancabile coffee house, che in alcune foto d’epoca viene denominato ‘casetta giapponese’, incastonato tra gli alberi, che nelle forme richiamava lo chalet del parco di Villa Aprile. Optando per l’altro percorso, si oltrepassava il ‘piccolo zoo’ e si scendeva fino al belvedere, una terrazza ricavata in riva al mare, oggi diroccata ma ancora esistente, con il perimetro scandito da dodici colonnine, terminanti con un pomo e reggenti una copertura metallica. Di fronte al belvedere era posto un argano per mezzo del quale veniva calata in mare una piccola barca. Costeggiando il mare lungo il passeggio litoraneo, accompagnati dai pini, e sostando qua e là tra i sedili ricavati nelle pieghe dei vialetti per ammirare lo splendido panorama, si giungeva alla casetta sul mare, simile a una torre di guardia, ai piedi della quale era posto l’approdo. L’estremità occidentale del giardino, destinata a prato e frutteto, era contrassegnata da una raggiera che aveva il fulcro in una fontana circolare, ancora esistente, da cui partivano otto viali principali che s’intersecavano con altri secondari. ...Resta infine ignota la collocazione di un’altra struttura che nelle didascalie di alcune foto d’epoca viene definita ‘casa dei conigli’.” (Da I lumi della Torre: Le ville del Parco Filangieri a Torre Annunziata tra architettura eclettica e Liberty – M. Quaranta). La casa dei conigli si trovava a contatto con il muro di cinta pochi terrazzamenti sopra la terrazza sul mare.
CARLO ROSSI FILANGIERI CARLO CON GIOVANNI ITALIA CHIANESE ANNA CON LA BALIA
GIOVANNI PIA, ANNA E TERESA PIA, FEDERICO, ANNA E TERESA FEDERICO
PIA ANNA
GUGLIELMO DI PRUSSIA OSPITE A VILLA ROSSI FILANGIERI CON ANNA E GIOVANNI
Lo stato attuale
Oggi la Villa giace abbandonata in uno stato di profondo degrado. Negli anni sessanta ha ospitato un istituto gestito da monache e poi fino agli anni duemila il centro per il recupero dei tossicodipendenti LA TENDA. Mi è gradito ricordare la gentilezza con cui i responsabili del Centro mi aprirono le porte ed accolsero circa venti anni fa, permettendomi di visitare la Villa di famiglia laddove era possibile.
Non sappiamo se la villa goda di vincoli culturali paesaggistici; presumiamo di sì, ma in caso contrario potrebbe subire uno stravolgimento che ne cambierebbe per sempre l’aspetto ed allora di essa non rimarranno che i ricordi, i documenti e le foto sbiadite a raccontarci di un’epoca che non c’è più e di persone che non sono più tra noi, ma di cui porto molto fieramente dentro la memoria e i geni. Ricostruire la memoria è importante: i luoghi fisici si trasformano, le persone trapassano; il ricordo invece no, se c’è qualcuno a mantenerlo vivo.
Ed è per questo che ho voluto stendere questo piccolo scritto che dedico alla memoria di: Giovanni Filangieri, Marianna Rossi (miei trisavoli); Carlo Rossi Filangieri e Italia Chianese (miei bisnonni); Teresa Rossi Filangieri (sorella di Carlo) e suo marito Alessandro Guarracino; Giovanni (figlio di Carlo) e Mariateresa Amato (miei nonni), Pia, Anna con suo marito Rodolphe Banet, Federico, Riccardo e Teresa Rossi Filangieri (i sei figli di Carlo e Italia); mio padre Carlo Rossi Filangieri recentemente scomparso; ed, inoltre, a mia madre Vittoria Mangoni di S. Stefano, Alfonso ed Annamaria Rossi Filangieri miei fratelli, Anna mia moglie, Rita Rossi Filangieri cugina di mio padre Carlo, Maximilian, Charles, Danielle, Kari e Michael Leblovic de Lobkowicz discendenti di Pia Rossi Filangieri, che ho avuto la fortuna di conoscere per la prima volta un anno fa.
Ultimi dovuti ringraziamenti al Dott. Mario Quaranta, alla Dott.ssa Lucia Muoio ed al Dott. Vincenzo Marasco. Grazie anche a tutti voi che avete avuto la pazienza di leggere.
LE FOTO E I DOCUMENTI DEL PRESENTE ARTICOLO SONO PROPRIETA' DELL'ARCHIVIO DELLA FAMIGLIA ROSSI FILANGIERI. E' VIETATO COPIARLI, PUBBLICARLI E/O UTILIZZARLI SENZA ESPRESSO CONSENSO. LA PUBBLICAZIONE SU QUESTA PAGINA E LA SUA DIFFUSIONE IN INTERNET NON SIGNIFICA IN ALCUN MODO ACCONDISCENDENZA ALL'UTILIZZO O TACITO PERMESSO.
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