CAMBOGIA

.    TRA NATURA E SPIRITUALITA'


INFORMAZIONI PER IL VIAGGIATORE

 

LINGUA: cambogiano. Molti parlano l'inglese, specie nella zona archeologica di Siem Reap

CLIMA E ABBIGLIAMENTO: caldo umido. Fa sempre abbastanza caldo, quindi abbigliamento  leggero e comodo. Può essere utile utilizzare abiti leggeri di cotone ma lunghi per proteggersi dagli insetti, nella stagione calda molto aggressivi, e per vere sicuro accesso nei luoghi di culto dove non sono graditi abiti succinti. Portate un insetticida adatto con voi. E' consigliato il Gelert Repel 100% (si trova in Internet ad un costo di circa 19 €).

MONETA: la moneta nazionale è il RIEL ma è molto svalutata e non ve la cambiano. La moneta reale è il dollaro USA, usato normalmente anche dai cambogiani ed erogato dagli sportelli ATM. Utile avere tagli piccoli (20,10,5 ed 1) poiché la vita costa poco e i tagli più grandi sono più difficili da utilizzare. Fate attenzione alle banconote, non accettano quelle molto rovinate o rotte. Quindi, se ve le danno di resto non le accettate. I bancomat sono un po' ovunque e ci sono molti istituti, tra cui la Canadian Bank (molto diffusa) Evitate gli ATM di ANZ, sono quelli col tasso più sfavorevole. Attenzione ai borseggiatori nella capitale Phnom Penh.

TRASPORTI: il mezzo più usato e conveniente, per piccoli spostamenti, è il TUK TUK, una sorta di triciclo artigianale comodo ed economico. Sono un po' ovunque e li troverete facilmente a tutte le ore, se non saranno loro a cercare voi. Di solito è tariffa fissa ma si contratta: in provincia si accontentano di 2-3 dollari, nella capitale uno due dollari in più (ma si può sempre contrattare).

CIBO: la cucina cambogiana non è molto dissimile da quella tailandese, vietnamita ed in genere del sudest asiatico. Molta carne e verdure, largo uso di spezie. Fate attenzione alla Citronella (Lemongrass), molto amata dai cambogiani, ma decisamente disgustosa per i palati occidentali. Assicuratevi sempre prima di ordinare, di solito c'è in tutte le zuppe. Il costo medio di un pasto varia dai 5 € ai 15-20 € nei ristoranti più cari. Nelle campagne potrete gustare prelibatezze come: grilli e cavallette fritti, topi alla griglia, tarantole, serpenti, scarafaggi  e bachi caramellati. Se siete di stomaco debole, non vi avvicinate neppure a questi banchi oppure l'odore penetrante di insetto bruciato vi rimarrà nelle narici disturbando parecchi pranzi e cene. 

DOCUMENTI: custoditeli con attenzione, specie il passaporto. Se lo perdete, non c'è alcuna ambasciata italiana in Cambogia e può diventare davvero un problema. 

PROFILASSIFebbre gialla:  è richiesta ai viaggiatori di età superiore ad 1 anno provenienti da paesi a rischio di trasmissione e ai passeggeri che hanno transitato per oltre 12 ore in un aeroporto di un paese  a rischio trasmissione di febbre gialla. Malaria:  La trasmissione esiste tutto l'anno nelle aree forestali e rurali. Non sono a rischio Phnom Penh e le aree intorno al Tonle Sap. Il rischio ad Angkor Wat è limitato.Profilassi (tipo c) raccomandata nelle aree a rischio. 

ACQUISTI: l'artigianato cambogiano è molto interessante e ancor abbastanza autentico. Ci sono molte cose da comprare come statuine di pietra o di rame, dipinti, sciarpe e foulard di seta (ci sono molti allevamenti del baco da seta che sfornano prodotti di buona qualità), liquori tipici con tarantole, scorpioni e piccoli cobra all'interno. A Phnom Penh c'è un bel mercato da visitare (il mercato generale e non quello denominato il mercato "Russo").

RELIGIONE: la popolazione è a maggioranza induista buddista, ma con una strana commistione tra le due religioni. Vi capiterà di assistere a strani riti antichissimi in cui la popolazione crede ancora e rimanere confusi. E' uso anche se non siete credenti di quella religione, portare offerte alle divinità locali. Ci sono sempre venditori di bacchette di incenso e fiori di loto fuori le pagode e i santuari. Comprate, aiuterete molto questa gente che vive pressoché di questo e sarà molto apprezzato da parte della gente del luogo  l'omaggio che farete agli dei.

 

                                                        PYRAMIS GELERT REPEL                                                                                                                                                          TUK TUK

Il nostro viaggio

 QUANDO:  25 novembre - 4 dicembre 2016  

VOLI: SINGAPORE AIRLINES Roma-Singapore/Singapore-Siem Reap/Phnom Pehn-Singapore/Singapore - Roma

SIEM REAP:

-       Angkor, la foresta di pietra

-       Angkor Wat, il grande tempio

-       Il tempio di Bantey Kdey

-       Il tempio di Ta Prohn

-       Angkor Thom e il tempio di Bayon

-       Il tempio di Banteay Srei

-       Phnom Kulen: la montagna sacra

BATTAMBANG

-       il "Bamboo Train"

è TONLE SAP il villaggio sull’acqua di Kompong Luong

PHNOM PENH

-       Tonle Bati: tempio e monastero

-       La Cittadella Reale

-       The Killing Fields

-       il Mercato e la collina di Penh 

ANGKOR   la foresta di pietra

L'AREA ARCHEOLOGICA DI ANGKOR VISTA DALL'ALTO

Angkor è uno dei complessi archeologici più importanti al mondo ed occupa una vasta area di circa 400 chilometri quadrati per lo più coperti da fitta jungla ed acquitrini. Ospita, ma la parola più corretta sarebbe “nasconde”, i resti di una grande civiltà che si è sviluppata grossomodo dal IX sec al XV sec. dopo Cristo, quella KHMER. La particolarità di Angkor risiede nel fatto che la foresta si è letteralmente ripreso lo spazio sottrattogli nei secoli, inghiottendo decine e decine di templi e manufatti. Esplorare Angkor per intero è un’impresa quasi impossibile, sia per la quantità di manufatti, sia per la vastità dell’area, ma soprattutto per il fatto che gran parte di queste opere sono quasi interamente distrutte a causa del tempo e dell’azione devastatrice delle piante e degli alberi. Camminando nella boscaglia lussureggiante non è difficile vedere tronchi o enormi radici aeree da cui sbucano bassorilievi,iscrizioni o porzioni di costruzioni oppure avvistare statue e manufatti nell’acqua bassa di qualche ruscello. Il fascino da “civiltà perduta” ha sempre attirato qui viaggiatori ed esploratori in tutte le epoche. 

Di questa antica civiltà, di cui si favoleggiava grazie ai racconti di mercanti, marinai e viaggiatori avventurosi, si erano perse le tracce. Fu verso la fine del XVI sec. grazie ad un gruppo di portoghesi fuggiti da Sumatra a seguito dell’occupazione olandese che si ricominciò a parlare di Angkor. In particolare Diego do Couto che ebbe la fortuna di udire racconti e testimonianze del frate cappuccino Antonio De Magdalena che vi era capitato. Da allora molti altri esploratori sono andati in quella zona ma nessuno per lungo tempo capì di cosa si trattasse. Si riteneva infatti, che le costruzioni fossero opera dei romani o di Alessandro Magno, qualcuno ipotizzò che si trattasse della mitica Atlantide di cui scriveva Platone. Angkor aveva tutti i numeri per accendere le più fervide fantasie. Ci sono anche segni di visitatori giapponesi, un iscrizione su un pilastro di Angkor Wat datata 1632. Dello stesso periodo è la prima planimetria nota di Angkor Wat ad opera di Kenryio Shimano

La civiltà Khmer rimase sepolta nella jungla e nell’oblio fino all’800, epoca di grandi viaggi di scoperta. La mitica civiltà perduta arrivò in Europa grazie al racconto di viaggiatori francesi, inglesi, fiamminghi etc.. Su tutti primeggia Henri Mouhot che, oltre ad essere uno scrittore, era anche un fine disegnatore ed illustrò con precisione fotografica le rovine di Angkor in numerose tavole all’interno della sua opera Voyage dans les royaumes de Siam, de Cambodge, de Laos. Mouhot morì di malaria nel 1861 a Luang Prabang. Fu solo in questa epoca che si intuì che quelle rovine appartenevano in realtà ad una grande civiltà indocinese del passato: quella Khmer.

La civiltà Khmer viene fatta nascere nell’anno 802, allorché Jayavarman II si autoproclamò sovrano universale a seguito di guerre di conquista e unificazione di piccoli regni indipendenti e vassalli. Jayavarman e i suoi successori nei secoli si sono distinti sempre per aver promosso la costruzione di grandi templi e complessi. E ciò è importante poiché la conoscenza della civiltà Khmer deriva non solo dai racconti dei viaggi e delle esplorazioni, ma soprattutto dalle iscrizioni abbondanti sui muri e sulle colonne dei templi. Ecco perché è così importante preservare quello che è rimasto. Jayavarman si spostò nella pianura attorno al grande lago, che garantiva risorse idriche per le risaie e pesce. Spostò, dunque, la capitale da Amarendrapura ad Angkor, attorno alla collina di Phnom Bakheng.

Durante il regno di Suryavarman II si raggiunse la massima espressione dell'arte classica khmer. E’ il periodo in cui fu edificato il grande tempio di Angkor Wat, eretto fra il 113 e il 1150, probabilmente terminato dopo la morte del sovrano. Angkor Wat ritrae perfettamente la Cosmologia Indù: le torri centrali rappresentano il Monte Meru (la casa degli dei), i muri esterni le montagne che racchiudono il mondo e il fossato l'oceano oltre le Montagne. Inoltre, le misure e i rapporti architettonici sembrano presentare numerosi riferimenti all’astronomia come ai cicli del Sole e della Luna.

Alla morte di Suryavarman II seguì un periodo tormentato, caratterizzato da regni di breve durata, da dispute interne e con i vicini Chăm, violenti saccheggi e guerre.

Dalla la fine del XII sec. vi è il periodo cd. di Angkor Thom, l'ultima grande capitale edificata ad Angkor. Ospitava il sovrano, l'élite religiosa e militare e i funzionari del governo, mentre la popolazione comune viveva al di fuori delle sue mura.

Nel corso del XV secolo Angkor conobbe un rapido e definitivo declino. L'ipotesi tradizionale attribuisce l'abbandono all'espansionismo di Ayutthaya, con il quale vi fu un conflitto permanente dalla metà del XIV secolo, e al saccheggio avvenuto dopo un lungo assedio nel 1431, con un susseguente sprofondamento in una sorta di medioevo. Studi successivi hanno aggiunto un ulteriore importante causa del declino di Angkor con lo spostamento del centro politico ed economico del regno nella zona dell'attuale capitale Phnom Penh: l'aumento del commercio marittimo cinese dell'epoca Ming e la necessità di migliori collegamenti con le zone costiere. 

VISITARE ANGKOR

Oggi di questa vastissima area si visitano non più di una trentina di templi, di cui il più importante è senza dubbio Angkor Wat, il grande tempio, il più grande edificio religioso del mondo. Assolutamente da non perdere,  sono anche Banteay Kdei, Ta Prohm, il complesso di Angkor Thom con lo stupefacente tempio di Bayon,  Banteay Srei detto il "tempio delle donne".

Dedicate almeno tre giorni ad Angkor. Il momento migliore, in cui fa anche meno caldo, è la mattina presto o verso tramonto. State attenti agli orari di apertura e chiusura che variano. Per visitare Angkor conviene fare un permesso di 3 giorni (come il mio nella foto) che dà diritto a visitare tutta l’area senza limitazioni. I pass sono personali (vi viene fatta una foto che sarà stampata sopra il cartellino) e non sono dunque cedibili. Il costo di quello di 3 giorni è di 40 $ Usa.

La base sarà naturalmente Siem Reap, la città più turistica di tutta la Cambogia, polverosa e trafficata di giorno, chiassosa e piena di vita la notte. Gli alberghi sono tanti e tutti di ottimo livello. Noi siamo stati al Victoria Angkor Resort & Spa, un meraviglioso albergo tutto in stile coloniale che vi consigliamo caldamente. La zona archeologica non è lontana da Siem Reap, circa 5 km ed una mezz’ora di auto, ma non c’è nulla oltre la foresta, le strade polverose ed i templi. Fa molto caldo e l’umidità è opprimente. Portate con voi molta acqua e qualcosa per ripararvi dal sole cocente se siete di carnagione delicata. La sera potrete mangiare nei tanti posti a buon mercato della cittadina, perdervi nel chiasso di PUB STREET, la strada della "movida", e farvi fare un bel massaggio rilassante nelle centinaia di SPA, dalle più sofisticate alle più improvvisate, che incontrerete. Un massaggio ai piedi di mezz’ora costa tre dollari, molto gradito dopo una giornata di cammino negli scavi.  

                                      Pass per Angkor wat                                                                                                                            Siem Reap by night

ANGKOR il tempio città

ANGKOR WAT DALL'ALTO

 La più grande costruzione di tipo religioso al mondo, un’opera grandiosa destinata a placare l’ira degli dei e la vendetta dei morti. Suryavarman II, infatti, usurpò il trono tendendo un agguato allo zio, il re Dharanindravarman I. Una iscrizione, infatti, ricorda che andò al potere con la violenza, saltando in cima all'elefante dello zio uccidendolo. Il tempio è dedicato a Vishnù, rompendo una tradizione che vedeva generalmente dedicare templi ad un'altra divinità della trimurti: Shiva. Angkor Wat ritrae perfettamente la cosmologia Indù: le 4 torri e la quinta più alta centrale rappresentano il Monte Meru (la casa degli dei), i muri esterni le montagne che racchiudono il mondo e il fossato l'oceano oltre le montagne. Inoltre, le misure e i rapporti architettonici sembrano presentare numerosi riferimenti all’astronomia come ai cicli del Sole e della Luna. La struttura, dunque, segue il vecchio schema architettonico-religioso del tempio-montagna, di cui gli esempi più antichi sono Ak Yum e Bakong, aggiungendo il tema innovativo della gallerie concentriche. Il tempio sorge al centro della zona racchiusa dal fossato, su una terrazza di circa 332 per 258 m. La rimanente area sembra fosse occupata da abitazioni in uno schema a griglia, e dal palazzo reale a nord del tempio. 

 

Appena attraversata la prima porta e prima di entrare nella primo “quadrato”, ci sono due specchi d’acqua ai lari della strada centrale di accesso che sono più o meno estesi a seconda della stagione e delle piogge. Sono adornati di ninfe e di bei fiori di loto. Potrete sfruttarli, specie in certe ore, per fotografare il tempio riflesso nell’acqua; una inquadratura molto ricercata e popolare di Angkor Wat

Sempre in questa area dimorano numerose scimmie del genere macaco (macaco dalla coda lunga). Sono molto belle, ma non dategli troppa confidenza: non sono affatto timide e se vi vedono con cibo o frutta in mano vi aggrediranno per rubarlo. Fate attenzione perché possono essere molto pericolose. La cosa migliore è osservarle da una certa distanza senza attirare la loro attenzione e usare un teleobiettivo per fotografarle.

La galleria più esterna ospita dal lato interno i famosi bassorilievi, che con un'estensione di 600 m in lunghezza e 2 in altezza costituiscono il gruppo scultoreo continuo più lungo al mondo. Sul lato sud vi sono due scene distinte con re Suryavarman II, oltre al giudizio delle anime di Yama, con le raffigurazioni dei paradisi e degli inferni, che riportano scene di grande crudezza. 

Il gruppo di soggetto storico, che occupa il semi lato di sudovest e lungo 94 m, fornisce dettagli interessanti. Da una parte un'udienza reale di Suryavarman, forse un giuramento di fedeltà, una processione militare, nella forma tradizionale descritta da Zhou Daguan. Principi e comandanti, identificati da iscrizioni e la cui importanza è svelata dal numero di parasoli, precedono e seguono il re, scolpito in dimensioni maggiori con 15 parasoli, tutti montati su massicci elefanti da guerra. 

La parte centrale del tempio, quella con le cinque torri, sorge su un terrazzamento cui si accede attraverso una ripidissima scala. Non c’è modo per i disabili di salire: non ci sono ascensori. Questo è un problema comune a tutta l’area archeologica, di difficile accesso a persone con capacità motoria sensibilmente ridotta o costretti sulla sedia a rotelle. Dal terrazzamento si gode un panorama mozzafiato a 360 gradi e dal cortile interno si possono vedere incombere tutte e quattro le torri esterne su quella centrale. Quella centrale è forse la tomba di Suryavarman. 

La visita a questa immensa opera dell’ingegno umano vi lascerà un ricordo indelebile.

MATRIMONIO CAMBOGIANO AD ANGKOR WAT

 

IL TEMPIO DI BENTEAY KDEI

Banteay Kdei fu costruito tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo durante il regno di Jayavarman VII, probabilmente sul sito che già ospitava un tempio del X secolo. Come per il vicino tempio di Ta Prohm, questo tempio lega il suo fascino al fatto di essere in rovina e avviluppato in parte dalla foresta. I due recinti più interni racchiudono il tempio vero e proprio, costituito dal santuario centrale e da altre costruzioni minori, verso l'interno si presentano con una galleria. La torre centrale non fu mai completata. L'ingresso principale è dal lato est, che dà sul Srah Srang, tramite un gopura (torre monumentale, solitamente ornata, posta all'entrata di ciascun tempio ed elemento architettonico tipico dei templi Indu) sormontato da una torre in stile Bayon, dalle facce scolpite sui quattro lati, uguale a quelli del Ta Prohm. Dopo 200 metri si arriva ad una terrazza a forma di croce, con la caratteristica balaustrata costituita da Naga che ha ad ambo i lati i resti del fossato, e quindi al gopura est del terzo recinto, dove è ospitata una statua del Buddha.Il complesso monastico, come si diceva, è alquanto in rovina, anche a causa di una originaria costruzione difettosa e della scarsa qualità dell'arenaria. 

 

IL TEMPIO DI TA PROHM

Il Tempio di Ta Prohm è stato, come Beantey Kdei, costruito da Jayavarman VII tra la fine del XII e l’inizio del XIII sec. La prima cosa che si nota sul terrazzamento che conduce all’ingresso sono enormi radici di alberi che vi corrono sopra come le vene in evidenza sulla mano di un vecchio. Caratteristica di Ta Prohm è la particolare aggressione della foresta, quasi che questa sia un gigantesco essere divoratore di pietra intento nella sua lenta fagocitazione del tempio. Talmente affascinante, nonostante la rovina, da essere stato scelto coke set del film “Tomb Raider”. Glaize scrive che “il tempio si unisce alla giungla, ma non al punto di diventarne completamente racchiuso". Ciononostante molti sforzi furono fatti per stabilizzare le rovine e permettere l'accesso ai visitatori in sicurezza. Come la maggior parte dei templi Khmer, Ta Prohm è orientato verso est, e si estende lungo l'asse est-ovest. Il muro più esterno di 1000 per 650 metri racchiude un'area che avrebbe potuto contenere tranquillamente una città, ma che oggi è occupata principalmente dalla foresta. C'erano dei fossati pieni d'acqua all'esterno della quarta recinzione. I tre recinti più interni del tempio vero e proprio sono delle gallerie Questa progettazione è difficile da individuare per il visitatore, a causa dei percorsi tortuosi che si è costretti a fare per via dei diversi crolli nel tempio. Tra gli altri edifici, i più importanti sono: le biblioteche negli angoli sud-est della prima e della seconda recinzione; i templi satellite a nord e a sud del terzo recinto; la Sala delle danzatrici tra il terzo e il quarto gopura orientale; e una "casa del fuoco" ad est del quarto gopura orientale. Una vera curiosità è il bassorilievo (vedi foto) che ritrae alcuni animali fantastici tra cui un dinosauro. Alcuni pensano che si tratti di un drago, altri che di un vero dinosauro, scolpito in maniera sorprendentemente realistica, il cui ricordo si sarebbe in qualche modo tramandato.

ANGKOR THOM E IL TEMPIO DI BAYON

Angkor Thom fu fondata come capitale dell'impero di Jayavarman VII e centro di un enorme programma di costruzione di edifici. Un'iscrizione trovata nella città descrive Jayavarman VII come lo sposo e la città come sua sposa.

La città giace sulla riva destra del Siem Reap, un affluente del Tonlé Sap. Circondata da alte mura e da un fossato si sviluppa su un’area di nove chilometri quadrati. Ha quattro ingressi disposti sui quattro punti cardinali, dai quali si raggiunge il tempio Bayon posto al centro della città. Gli archeologi ritengono che la città rispetti la disposizione del “tempio Montagna”: il Bayon è il Monte Merù, le mura le montagne circostanti ed il fossato l'oceano. I visi sulle torri potrebbero rappresentare il re in persona o i guardiani dell'impero a presidio dei quattro punti cardinali. In corrispondenza ad ogni ingresso, un Ponte Naga attraversa il fossato. Su ogni lato ci sono gigantesche statue che rappresentano divinità e demoni. Gli ingressi misurano 3,5 per 7 metri, ed originariamente erano chiusi da porte di legno. Il cancello meridionale è oggi di gran lunga il più visitato, visto che è per i turisti l'ingresso principale alla città.

Ad ogni angolo della città ci sono dei piccoli templi, denominati Prasat Chrung. Lo spazio dentro le mura oggi invaso dalla foresta, era un tempo occupato da edifici abitativi comuni, di cui oggi non rimane più niente.

Oltre il Bayon, si può visitare il Baphuon, la “terrazza degli elefanti”, da cui il Re assisteva a celebrazioni e spettacoli, il palazzo reale, la Terrazza del Re lebbroso ed altri templi minori. 

UNO DEGLI INGRESSI AD ANGKOR THOM

IL TEMPIO DI BANTEAY SREI

Il tempio di Banteay Srei, è considerato uno dei gioielli dell'arte khmer. Costruito nel X secolo, questo piccolo tempio d'arenaria rosa, il cui nome significa “Cittadella delle donne", contiene capolavori di scultura ancora in buono stato di conservazione. André Malraux lo rese famoso all'inizio del XX secolo grazie al ritrovamento di alcune teste di apsara – ammalianti creature che raffiguravano l’ideale massimo di bellezza femminile che tentò di trafugare, poi restituite alla comunità nel 1923. E’ quello che ci è piaciuto di più, sia per l’atmosfera creata dall’arenaria rossa che si riflette nell’acqua del fossato circostante, sia per la lussureggiante foresta che lo nasconde, altissimi alberi sui quali dimorano centinaia di uccelli, tra cui coloratissimi pappagalli che vedrete volteggiare sul tempio emettendo le loro stridule grida. Nella boscaglia circostante si possono percepire anche i versi dei macachi spesso gli unici veri padroni di queste rovine. Lo stato di conservazione di questo tempio è decisamente migliore degli altri templi che abbiamo visitato e risulta molto meno compromesso e spoglio. All’interno, campeggiano diverse statue di scimmie in ottimo stato di conservazione, al punto che lo ricorderemo come il “tempio delle scimmie” più che quello delle donne. 

 

PHNOM KULEN: la montagna sacra

 Siem Reap non vuol dire solo archeologia e templi Khemr. Una gita fuori porta sul monte Kulen, ad una quarantina di chilometri da Siem Reap, vi guiderà alla scoperta della Cambogia attuale. Considerato il monte più sacro del paese, è una delle mete preferite dai cambogiani. E’ possibile visitare, scuole, villaggi, santuari. Potrete anche “immergervi” nella foresta primaria e visitare delle bellissime cascate di quello che oggi è un’area naturale protetta. Il turismo consapevole non è sempre qualcosa di negativo ed invasivo, ma spesso offre una alternativa fonte di guadagno alle comunità locali ed evitare la caccia illegale ed il disboscamento, preservando l'habitat naturale. In loco sono organizzati dei tour guidati con personale specializzato alla scoperta della varia ed abbondante fauna della Jungla cambogiana, tra cui Langurs argentati, Macachi coda di porco, cinghiali, uccelli di ogni genere, ed anche tante bellissime farfalle di cui tutta la Cambogia è ricca. Fermatevi lungo le strade coperte da fitta vegetazione, dove si concentrano piccoli villaggi fatti di palafitte. Oltre a incontrare una umanità straordinaria ed avere occasioni fotografiche uniche, aiuterete molto la popolazione che vive dei frutti della terra e di piccolo commercio con gli stranieri

Portate con voi molte penne e quaderni, farete felici molti bambini. In particolare, sul monte Kulen c’è una bella scuola dove i viaggiatori usano portare in dono cose utili per i giovani studenti; è bene accetto tutto: penne, matite, quaderni, gomme da cancellare, gessetti, libri da disegnare etc. In ogni caso vi accoglieranno sempre col sorriso, facendovi visitare senza chiedere nulla la scuola.

 

Una visita la merita sicuramente il tempio buddista di Preah Ang Thom, con un enorme Buddha reclinato scolpito nella roccia risalente al XVI secolo. 

 

Sul fondo roccioso del torrente, subito prima della cascata, sono scolpite immagini sacre induiste, tra cui centinaia di Linga (simbolo fallico considerato una forma di Siva).

Di solito non siamo molto interessati a spettacoli e eventi folkloristici, sanno di finto e di preparato per i turisti. Stavolta abbiamo fatto un’eccezione e siamo stati a vedere le danze tradizionali Khmer in un locale di Siem Reap. Si tratta di danze antichissime, per la cui esecuzione bisogna essere addestrati da bambini; in poche parole non possono essere improvvisate e sono autentiche. Le danzatrici, come costume di questi paesi orientali, narrano e tramandano attraverso la danza storie antichissime perse nella notte dei tempi. Le danze più conosciute e popolari, e quindi le più rappresentate sono: la APSARA, figure mitologiche metà donne metà dee che sono proprio l’icona della danza e sono rappresentate nei bassorilievi sempre nell’atto di danzare; la danza della “benedizione” in cui le danzatrici con delle coppe tra le mani simbolicamente benedicono il re, leader stranieri e membri di rappresentanze diplomatiche in visita nel paese; la MEKHALA i cui si rappresenta la vittoria degli dei sui demoni; la DANZA DELLE NOCI DI COCCO che viene rappresentata facendo urtare due metà di guscio di noce producendo la caratteristica armonia ritmica. In tutte queste danze, la posizione delle mani e dei piedi assumono delle pose molto caratteristiche che corrispondono ad un preciso significato. Ad esempio le dita molto aperte con indice e pollice uniti sul polpastrello simboleggiano il fiore di Loto

BATTAMBANG

Il 29 novembre abbiamo lasciato Siem Reap, il nostro viaggio è proseguito fino ad una località chiamata Battambang, vicino al confine con la Thailandia. Ci sono circa 170 km da percorrere, ma non ci si annoia certo. Lungo la strada che conduce lì ci sono moltissimi villaggi, mercati, pagode e monasteri da poter visitare e fotografare. La prima sorpresa la riserva un mercato lungo una strada che corre sotto una fitta boscaglia. Alcuni improvvisati negozi fatti di legno e cannucce di bambù offrono cibo alquanto singolare. Ci avviciniamo e l’odore pungente di insetto fritto ci invade le narici. Sono esposti vassoi con grilli fritti, bachi caramellati, cavallette fritte, scarafaggi e altre delizie. Le vecchie signore sono divertite dai nostri sguardi inorriditi e ci regalano una busta con alcune cavallette e grilli. 



Abbiamo la fortuna di poter visitare lungo la via una fattoria che alleva bachi da seta ed ha anche un accorsato negozio con manufatti creati con le pregiate sete prodotte.

E’ ormai quasi notte e ci fermiamo di nuovo lungo la via per immortalare altri venditori di prelibatezze stavolta arrostite: serpenti, topi e ragni.

Arriviamo a Battambang verso le 18.00  e scendiamo all’unico albergo della cittadina: il Bambù. Anche questo in stile coloniale, con stanze meno curate del Victoria Hotel, ma sempre molto spaziose e comode.  


Battambang non è un luogo propriamente turistico, ma è un posto molto interessante per due motivi: permette di scoprire la parte più genuina e autentica della Cambogia; inoltre, si può fare un'esperienza praticamente unica, una corsa sul leggendario “Bamboo train”. Al Bamboo si va dopo le 16, per godere della magica luce morbida del pomeriggio e di tramonti indimenticabili. 

Così, in attesa che facesse l'ora adatta, abbiamo utilizzato il resto del giorno girando per mercati e scoprendo: piccoli artigiani che fabbricano la carta di riso, una fabbrica di Prahok, la prelibata salsa di pesce molto amata dai Cambogiani, una dolce vecchina che nella sua capanna realizzava uno strano pranzo a base di riso confezionato dentro tranci di canna di bambù. Chi non ha il tempo di sedersi a tavola o organizzare un pranzo, può comprare questi pezzi di canna che fanno da comodo contenitore ad un pasta di riso leggermente dolciastra.


Distese di fiori di Loto

Abbiamo trovato sul cammino una bellissima Pagoda e, vicina, una scuola gestita da ragazze inglesi;abbiamo anche scoperto un antico monastero di nome Somroung Knong. Il 30 novembre è stato così una giornata di autentica scoperta, immersi nelle polverose strade tra la città e la campagna, nei mercati chiassosi, tra gente indaffaratissima ma sempre molto curiosa verso lo straniero. Qui forse non ne vedono nemmeno tanti quanto a Siem Reap. Entriamo nei mercati, nelle botteghe capanne di artigiani che spesso sono anche le loro case, veniamo spesso circondati da bambini curiosi a cui possiamo regalare penne, matite o qualche caramella. E’ bellissimo vedere ancora un bambino illuminarsi per così poco e sorridere come noi non sappiamo più fare. 

 

IL “BAMBOO TRAIN”

 

Sono ormai passate le 16, ed è ora di andare alla vecchia stazione dei treni. Qui c’è quello che rimane della ferrovia costruita dai francesi durante l’epoca coloniale. La tratta che va da O Dambong a O Sra Lav faceva parte del sistema ferroviario cambogiano di allora. Serviva per trasportare persone e soprattutto merci, tonnellate di sacchi di riso.

Quando i Khmer rossi presero il potere, svuotarono le città cambogiane portando la popolazione a lavorare nei campi, uccidendo anche molte persone; la tratta fu abbandonata, talvolta utilizzata solo per scopi militari. Finito il regime di Pol Pot, Il Bamboo Train, detto anche norry, divenne un ingegnoso mezzo di locomozione utilizzato dai contadini nella tratta ferrovia tra Phnom Penh e Batambang che così trovarono il modo di sfruttare i binari della vecchia ferrovia. Un telaio composto da legno, ferro e bambù viene appoggiato su due assi ferroviari che scorrono lungo i binari. In principio, la locomozione era assicurata da una lunga asta di bambù con la quale ci si spingeva sui binari. Poi, si aggiunse un piccolo motore, di quelli usati per gli attrezzi agricoli, collegato ad una cinghia che trasmetteva il moto ad uno dei due assi. Il servizio è sempre stato considerato ufficialmente illegale, ma per molti degli abitanti della vasta campagna cambogiana è il solo efficace mezzo di trasporto, considerate anche le condizioni delle strade e la quasi totale assenza dei mezzi pubblici. La facilità con cui si può rimuovere dalla sede ferroviaria permette un traffico scorrevole in entrambi le direzioni nonostante la ferrovia sia a binario unico. Una consuetudine instauratasi impone a coloro che si incrociano l'obbligo di scaricare, con la collaborazione di tutti, e rimuovere il mezzo meno carico per fare passare l'altro. La velocità raggiunta può arrivare a 50 km/h, il sistema frenante è manuale e agisce sulla cinghia di trasmissione. Il binario è a scartamento ridotto. L'unico treno passeggeri della compagnia ferroviaria cambogiana effettua un servizio alla settimana di andata e ritorno fra le due città di Battambang e la capitale, Phnom Penh. Gli abitanti, quindi, sanno con discreta precisione quando non è possibile transitare sui binari.

Gli ingegnosi abitanti del circondario hanno trovato il modo di fare anche un po’ di soldi con il Bamboo Train facendolo diventare negli ultimi tempi una vera e propria attrazione turistica, non solo di Battambang ma di tutta la Cambogia. Sette chilometri di ferrovia fra binari storti e ponti sospesi sono diventati teatro di una avventurosa corsa per viaggiatori stranieri.  Per 10 dollari (cifra astronomica per gli standard locali) si può viaggiare a tutta velocità, ed in totale insicurezza, su questi piccoli carrelli fatti di ferro, legno e stecche di bambù. Alla vecchia stazione si sale sulla tavola appoggiata su due assi, il proprietario avvia il motore agricolo ed il treno sfreccia nella fitta vegetazione cambogiana fino ad una piccolissima finale stazione, dove gruppi di bimbi accorrono festanti. Dopo una breve sosta si torna indietro sullo stesso binario.

Scivolare a tutta velocità su questa precaria tavola di bambù, sfiorando canneti e alberi, percorrendo ponti arrugginiti ed in precario stato di manutenzione, incontrare animali di traverso sui binari, incrociare sul tragitto almeno 4-5 volte sul carrelli che viaggiano in senso contrario e dovere (spesso) smontare tutto per poi riprendere la corsa costituiranno un ricordo indelebile e divertente della Cambogia. Vale la pena venire fin qui anche solo per vivere questa esperienza. 

Chi, però, volesse provare deve affrettarsi. Questo strano e buffo mezzo, fra i più famosi al mondo, potrebbe presto scomparire per sempre. I vecchi binari dovrebbero lasciar spazio a una super ferrovia, facendo calare il sipario su un’epoca. Vero è che se ne parla da molti anni senza che di fatto accada nulla, ma ultimamente il governo ha annunciato di voler terminare i quasi 400 chilometri della tratta Phnom Penh e Poipet, passando proprio lungo la vecchia ferrovia del bamboo train. Questo dovrebbe accadere entro la fine del 2017.

 

video

E’ il 1 dicembre, è tempo ormai di lasciare anche Battambang e dirigerci verso sud, verso la capitale Phnom Pehn. Come per il tragitto da Siem Reap (Angkor) a Battambang, non è tempo perso, non ci si annoia di certo. La campagna, i villaggi, santuari, pagode, la gente…le occasioni di meraviglia e di stupende fotografie incontrate lungo la strada sono talmente tante da rischiare di allungare moltissimo il tempo del trasferimento, ma il tempo del viaggio non è quello dell’orologio ma quello dell’anima. A chi facesse questo tragitto, suggeriamo una piccola deviazione che vi regalerà emozioni che non dimenticherete:la possibilità di visitare Kompong Luong, un villaggio galleggiante sul grande lago Tonle Sap, nella provincia di Pursat.


IL VILLAGGIO SULL’ACQUA DI KOMPONG LUONG

Si tratta di una comunità vietnamita per lo più dedita alla pesca che vive sull’acqua, a bordo di case galleggianti, costruite su barconi e zattere.Questo villaggio si raggiunge abbandonando temporaneamente la strada per Phnom Penh e dirigendosi in direzione di una piccola cittadina di nome Krakor e poi qualche chilometro a nord verso il lago. 

IL PERCORSO PER IL VILLAGGIO SULLA MAPPA

IL VILLAGGIO DI KOMPONG LUONG VISTO DAL'ALTO

 Questo grande villaggio galleggiante è abitato da circa settemila persone che ogni giorno si spostano con barche a remi o motorizzate per raggiungere scuola, tempio botteghe e altri luoghi della vita quotidiana. La vita si svolge interamente sul lago, sull’acqua, e ogni abitante bambino, adulto o anziano si sposta su agili piroghe tra i canali formati da file di barconi o zattere. Sulla riva troverete chi per pochi dollari vi porterà con la sua canoa a scorrazzare dentro il villaggio. E’ molto suggestivo perché non si tratta di un set cinematografico o apparecchiato per turisti, ma di osservare la vita di una comunità vera, ancora integra e non toccata dal business turistico. 


 

IL VIDEO

 

Terminato il giro nel villaggio, mangiamo un boccone in una locanda vicina e riprendiamo la lunga strada per la capitale. Arriviamo a Phnom Penh verso le 18.00, al nostro albergo: la Rose Suite & SPA Hotel. E’ in una piccola trafficata strada, in stile orientale, dotato anche di un giardino “giapponese” con una piccola piscina. Molto curato ed elegante, con stanze grandi e soprattutto bagni enormi.  

PHNOM PENH

2 dicembre

Questa ultima giornata piena in Cambogia è dedicata alla visita dello splendido Palazzo reale (che in realtà è una cittadella formata dalla residenza del Re, vari edifici religiosi, tra cui la celebre Pagoda d’Argento, e di rappresentanza) nonché di una prigione del Regime di Pol Pot, la S-21

Prima di questo, però dedichiamo parte della mattinata alla visita di uno splendido tempio Khmer e di un Monastero, Yea Peau; entrambi si trovano fuori città, andando verso sud in località Tonle Bati sull’omonimo lago. Mentre andiamo a Tonle Bati, scorgiamo da un ponte un villaggio di pescatori Cham sul Mekong e ci fermiamo a fotografare.

Poco più avanti vediamo una casa, con appesi dei drappi bianchi. Fuori stanno costruendo un baldacchino bianco con uno strano comignolo. Pensiamo che ci sia una festa popolare e così ci fermiamo. Ci spiegano, invece, quelli che stanno costruendo il marchingegno che si tratta di un funerale. In Cambogia il colore del lutto è il bianco e quella specie di baldacchino che stanno allestendo in realtà è una pira funeraria.Sotto c'è una lettiga in ferro dove viene deposto il defunto insieme a cataste di legna e materiale infiammabile; poi, si da fuoco a tutto.  

TONLE BATI

Seguendo la statale n° 2, dopo circa 30 km arriviamo al tempio.  Costruito dal re Jayavarman VII (il costruttore di Angkor Wat) nel 13° secolo, il tempio è costruito in pietra arenaria


Non molto distante dal tempio Khmer, c’è il monastero pagoda di Yea Peau. 

Questa zona pare sia un luogo molto popolare e proseguendo verso il Tonle Bati, vediamo molte capanne per il pic-nic, situate sulle rive poco profonde del lago. Ci sono anche alcuni   ristorantini dove potere assaggiare il pesce del lago e le rane.

LA CITTADELLA REALE

Torniamo adesso a Phnom Penh, direzione Palazzo Reale. Come scritto poco sopra, è una sorta di cittadella con il suo fulcro nella sala del trono e nella grande pagoda d’Argento, chiamata così perché il pavimento è interamente di argento massiccio, composta da 5000 lamine del peso di 1 kg l’una (circa 5 tonnellate d’argento pregiato), che creano un effetto di luce stupefacente. Purtroppo non possiamo mostrarvi immagini, poiché è strettamente proibito prendere qualunque tipo di immagini, anche con cellulari. 

 

THE KILLING FIELDS

La seconda parte della giornata è dedicata alla inderogabile visita ad una delle tante prigioni del sanguinario regime di Pol Pot: la famigerata S-21, oggi anche sede del Tuol Sleng Genocide Museum. Si tratta di  una ferita ancora aperta nel paese, non solo perché non sono trascorsi che appena 20 anni dall'epilogo, ma perché quello perpetrato dal regime di Pol Pot fu un autentico genocidio, paragonabile all'olocausto di Hitler, anche se meno conosciuto (almeno un milione e mezzo di vittime, compresi bambini, donne e anziani).

Per la visita a questa scuola, trasformata in centro di detenzione e tortura, nel cuore della capitale abbiamo avuto il privilegio di una guida molto particolare di nome Sarita. Sarita è una bella e gentile signora di circa sessanta anni ed è una delle fortunate superstiti, scampata nel vero senso della parola a quell’orrore. E’ necessario qualche breve cenno storico per ricordare. 

SALOTH SAR DETTO "POL POT"

Negli anni cinquanta la Cambogia  - assieme al Vietnam e al Laos - era teatro di una rivolta, quasi interamente di matrice comunista, contro l'occupazione francese dell'Indocina. Quando nel 1954 i francesi si ritirarono dall’Indocina, Saloth Sar, in seguito tristemente noto col soprannome di Pol Pot, fondò con altri il Partito Rivoluzionario del Popolo Khmer. Il sovrano in carica Norodom Sihanouk rinunciò al trono, formò anch’egli un partito politico ed indisse le elezioni. Usando la sua popolarità, insieme a una notevole dose di spregiudicatezza, sbaragliò l'opposizione comunista e conquistò tutti i seggi del parlamento. Saloth Sar, ricercato dalla polizia segreta di Sihanouk, fuggì dal paese ed in esilio fondò il Partito Comunista di Kampuchea addestrando reclute per più di dieci anni. Nel 1970, il Generale Lon Nol, appoggiato dagli Stai Uniti, depose Sihanouk, poiché ritenuto fiancheggiatore dei Viet cong. Come reazione, Sihanouk diede il suo supporto a Pol Pot ed al partito comunista di Kampuchea. Il Presidente USA Nixon ordinò una vasta incursione militare in Cambogia, allo scopo di distruggere le roccaforti Viet cong al confine con il Vietnam del sud. La popolarità di Sihanouk, unita all'invasione statunitense della Cambogia, portarono molti dalla parte di Pol Pot. Quando, infine, gli Stati Uniti abbandonarono il Vietnam nel 1973, i Vietcong lasciarono la Cambogia. I Khmer rossi di Pol Pot non abbandonarono la lotta contro il governo militare di Lon Nol. La guerra civile si concluse con la vittoria dei Khmer rossi che presero la capitale nell’aprile del 1975. Sihanouk allora ritornò in patria con l’intenzione di restaurare la monarchia, ma si ritrovò segregato nel suo palazzo dal nuovo governo di Saloth Sar “Pol Pot”.  La popolazione cambogiana dopo la guerra civile e la dittatura militare accolse con grande entusiasmo i Khmer rossi all’ingresso in città, ma ben presto dovette constatare di essere sprofondata in un incubo assai peggiore, che durerà moti anni e con un prezzo di sangue e sofferenza altissimo. Iniziò la dittatura comunista di Pol Pot nota come “Repubblica di Kampuchea”. Il 13 maggio 1978 Pol Pot venne nominato Primo Ministro di Cambogia, e iniziò a varare una radicale riforma comuniste, ispirandosi alle politiche di Mao Tse TungLa prima cosa che i Khmer Rossi fecero quando presero il potere, fu di evacuare i cittadini dalle città verso la campagna, dove vennero costretti al lavoro forzato in fattorie comuni. La proprietà venne collettivizzata seguendo il modello sovietico, cinese e vietnamita. 

Alcune mappe degli spostamenti  della popolazione dai centri urbani verso le campagne

Il nuovo regime non si limitò a questo. Vennero perseguitate e uccise tutte le persone non iscritte al Partito che avessero un'istruzione; anche il solo fatto di portare gli occhiali era sufficiente per essere indicati come intellettuali e quindi come nemici del popolo. Il governo del terrore dei Khmer Rossi diffondeva attraverso la radio un inquietante messaggio:“la nuova utopia comunista necessita solo di un milione di persone; tenere gli altri non comporta alcun beneficio, eliminare l’eccedenza non comporta alcuna perdita". Bastava il semplice sospetto per condannare una persona a morte. La vita di un essere umano valeva pochissimo sotto il regime di questo dittatore. Le uccisioni erano brutali ed avvenivano con asce, martelli, coltelli, mediante impiccagione, metodi sbrigativi ed “economici” perché “le munizioni sono preziose e non vanno sprecate!”. Il numero delle vittime è probabilmente più elevato di quello conosciuto, poiché alle persone imprigionate, torturate e trucidate vanno aggiunte decine di migliaia che morirono di stenti e malattie nei campi di lavoro forzato; ed è difficile tenere il conto. Per capire quanto incredibilmente precaria fosse la condizione dei cambogiani allora, basti pensare che era proibito persino esternare sentimenti: piangere, ridere o arrabbiarsi non era ammesso. Centinaia di migliaia di automi lavoravano nelle fattorie prigioni fino allo sfinimento, con razioni di cibo consistenti in una brodaglia con pochi grammi di riso a testa. E nei cd. “killing fields”, i campi sterminio, morivano come mosche gli oppositori del regime o persone semplicemente ritenute superflue, tra cui donne, vecchi e bambini.

Se non si conosce tutto questo non si può comprendere la Cambogia ed il popolo cambogiano, che è uno dei più gentili e miti della terra. Tutto questo accadeva, per dare un’idea, quando io ero bambino e sentivo ripetere quasi ogni giorno la parola Cambogia e Vietnam nei telegiornali in bianco e nero dell’epoca, parole che allora non capivo, storie che non conoscevo. Non è passato poi così tanto tempo e questo mi fa venire in mente una frase che ho letto su un muro ad Auschwitz: “Those who do not know history's mistakes are doomed to repeat them”.  E’ molto importante preservare la memoria e trasmetterla alle nuove generazioni, perché certi orrori non si ripetano più. E mi piace l’idea di essere andato a vedere con i miei occhi e toccare con mano quell'orrore per poterlo raccontare, farlo vedere ad altri, dando così il mio contributo di diffusione e conoscenza. 

Quello che fu dell’epilogo della dittatura di Pol Pot, con la nuova guerra civile, l’invasione della Cambogia, la guerra col Vietnam e poi l’intervento della Cina lo lascio agli appassionati di storia e all'approfondimento personale. Pol Pot morirà di infarto, ma alcuni sostengono avvelenato dai suoi, nella notte del 15 aprile 1998. Con lui finisce un’epoca sanguinaria e di terrore, come poche ce ne sono state nella storia dell’umanità, che ha lasciato il segno nella memoria collettiva dei cambogiani.

SARITA

Sarita ci riunisce nel cortile giardino della prigione, al centro tra due grandi edifici dall’aspetto minaccioso, e per alcuni minuti ci fornisce qualche cenno storico sugli anni del regime e su Pol Pot. Tuttavia, noi siamo interessati alla sua vicenda personale, vogliamo condividere i suoi ricordi di sopravvissuta e così gli abbiamo chiesto se voleva e poteva raccontarci la “sua storia”. Lei ha accettato, come se si aspettasse questa richiesta, chiedendo - tuttavia - in cambio di non accompagnarci negli edifici al termine; avremmo proseguito da soli e lei ci avrebbe aspettato all'uscita. Accettammo lo scambio comprendendo quanto pesasse su quella donna essere lì in quel momento. 

Così Sarita ci invita a sedere su una panchina, prende un profondo respiro e con voce calma, in un italiano imperfetto e molto francesizzato, comincia il suo racconto: “Il mio nome è Sarita che vuol dire sorriso. Oggi posso sorridere, ma un tempo non si poteva fare nemmeno questo. Sono una delle fortunate sopravvissute al regime di Pol Pot. Di tutta la mia famiglia non ho saputo più niente. Quando i khmer rouge arrivarono qui a Phnom Penh avevo poco più di vent’anni, lavoravo con gli americani perché parlavo bene inglese e francese. Se i militari avessero scoperto questo, per me non ci sarebbe stato scampo, mi avrebbero sicuramente ucciso come tutti i miei colleghi d’ufficio. Per fortuna non ero al lavoro quando mi presero e mi costrinsero insieme a migliaia di altri cittadini ad andare in campagna. Fui fortunata ad incontrare un mio zio che mi disse - non dire del tuo lavoro, parla il meno possibile e butta via gli occhiali -. Al momento non capii, ma oggi so che questi suggerimenti mi salvarono certamente la vita; mio zio non l’ho più visto, seppi poi che era stato ucciso lungo la strada per i campi di lavoro. Eravamo costretti a lavorare nella campagne anche per 10-12 ore al giorno, vivevamo in condizioni indescrivibili, come bestie e non mangiavamo quasi niente. Molte persone morivano di malattia e di stenti. Eravamo tutti ridotti a scheletri. Avevo solo due vestiti logori per il lavoro nei campi ed erano sempre sporchi di fango o bagnati per il lavoro o per la pioggia. Speravo ogni giorno che succedesse qualcosa, che finisse tutto questo e mi ripetevo ogni sera “DOMANI CI SARA’ IL SOLE”.

Un giorno portarono me ed altre donne in una grande casa dove c’erano anche tanti uomini in condizioni miserevoli come noi. Ci accoppiarono casualmente, un uomo ed una donna, e ci ordinarono di congiungerci, di fare figli. Capite, come in un allevamento, a caso, e due donne che accennarono a un rifiuto furono uccise davanti a me all'istante, come esempio. Così, dovetti giacere con uno sconosciuto, ma solo per procreare. Infatti, al termine ci riportarono indietro da dove venivamo e non ho più visto quell'uomo…fino alla fine della dittatura comunista. Si, poi quell’uomo l’ho incontrato di nuovo, l’ho cercato ed anche lui mi aveva sempre cercato. E’ diventato mio marito, il mio attuale marito. Abbiamo avuto anche altri figli. In tanto orrore questo è stato un vero miracolo, l’unico miracolo.”

Questo racconto agghiacciante, anche perché reso da una donna delicata, dai modi gentili e dalla voce sussurrata, ci ha letteralmente ammutoliti. Vorremmo continuare, farle tante domande, ma non ci riesce di dire niente, siamo impietriti, svuotati.  L’unico gesto che ci viene naturale sarebbe di abbracciarla, e ci pensa Anna a farlo per tutti e noi quattro.

Sarita sorride quasi con gratitudine per il nostro silenzio e conclude: “Non avevamo più una casa, più nessuno, più niente e così siamo rimasti insieme, nonostante fossimo stati inizialmente costretti. Credo che questo sia il lato buffo, che quel mostro non è riuscito a ucciderci e nemmeno a cambiarci. Mio marito è un vecchio, noioso rompiscatole, non vuole mai uscire, ma ci vogliamo bene. Vedete…un suo messaggio – quando torni? –. Adesso sta facendo buio e conviene che iniziate la visita. Nel secondo edificio che vedete di fronte a voi sono esposte tante foto di prigionieri scattate dal regime, sono migliaia, le ho guardate tante volte sperando di vedere un parente, un’amica…Questa è la mia storia, questa è la storia di Sarita. Raccontatela. Forse era destino che sopravvivessi perché dovevo essere qui oggi a parlare con voi. Si è fatto tardi, purtroppo, avete solo un’ora prima che qui chiudano. Ora andate a vedere, io vi aspetto al cancello di uscita.”

Per ricordarci di non perdere mai la speranza, Sarita ci ha regalato questo biglietto in lingua khmer

 

il cortile interno della famigerata S-21

Così, nel crepuscolo incalzante, che rende ancora più sinistro il luogo, iniziamo il giro di visita. A visitare tutto il complesso è necessaria circa un’ora. La prigione è in realtà composta di svariati edifici, organizzati in blocchi. Sono in cemento armato e divisi in piani simmetrici, hanno grandi camerate che affacciano tutte su lunghi ballatoi tutti prospicienti all’interno. Ci sono grate a tutte le finestre. Ci sono ancora i letti in ferro e pagliericcio con ceppi per le caviglie dove venivano immobilizzati i prigionieri. Un altro edificio è coperto da una rete fatta di filo spinato che impediva il suicidio. Dovevano essere tutti così forse. Al primo piano del secondo edificio prospiciente il cortile principale c’è una impressionante esposizione di centinaia di foto di persone imprigionate, torturate e uccise in quel luogo. In un altro edificio, ci sono le celle della tortura, minuscole, quasi buie dove è possibile sentire l’angoscia dei prigionieri in attesa di essere seviziati. Molti tentavano di uccidersi gettandosi con la testa contro il muro e per questo venivano immobilizzati. Abbiamo visto macchie e croste di sangue vecchio sul pavimento di alcune di queste celle che ci hanno assicurato essere autentiche (le hanno lasciate così volutamente) ed in una sala esposti molti strumenti, alquanto rozzi ma efficaci, di tortura. Per finire, una vetrina piena di resti umani, teschi, ossa etc. 

Questa prigione è annoverata tra i cd. “Killing Fields”, termine divenuto famoso grazie all'omonimo film di Roland Joffè del 1984, uscito in Italia col titolo di Urla del silenzio. Con questa parola si definiscono tutti i luoghi deputati allo sterminio della popolazione civile sgradita, e comprende anche i campi di lavoro forzato, dove la maggior parte della popolazione cambogiana fu costretta ai lavori forzati, in condizioni durissime che causavano facilmente la morte per sfinimento o fame, dove la minima ribellione o il minimo errore erano spesso puniti con la morte. In questa prigione solo 7 dei 17.000 prigionieri sono sopravvissuti. La stima del numero totale di morti provocate dai Khmer rossi, includendo fame e malattie, variano tra 1.700.000 e 2.500.000 vittime tra il 17 aprile 1975 e il 9 gennaio 1979 (meno di 4 anni).

 

Usciamo da questo inferno e torniamo in albergo: Per riprenderci, ce ne andiamo in piscina per un’oretta.  Poi prendiamo un Tuk Tuk e andiamo a cena in un rinomato ristorantino della città, a forma di pagoda ed in riva ad uno dei 4 fiumi di Phnom Penh. L’atmosfera rilassata, la musica orientale, l’ottimo cibo ci fanno un po’ dimenticare l’orrore visto nel pomeriggio. 

ULTIMO GIORNO CAMBOGIANO

3 dicembre. E' il giorno della nostra partenza dalla Cambogia. Alle 16.00 parte il nostro aereo per Singapore, da dove rientreremo di nuovo in Italia. C’è dunque il tempo per un ultima scorribanda. Ci sono due cose che vale la pena vedere a Phnom Penh: il mercato generale e la cd. “Collina di Penh”. 

Il mercato generale, da non confondere con altri come quello cd. Russo (meno interessante e fuori mano), è un bell’edificio a galleria centrale con quattro bracci che continuano anche all’esterno. E’ l’ideale per acquistare regali e souvenir: tanta scelta, buoni prezzi e in mezzo alla cianfrusaglia anche tante cose di qualità.

Una delle leggende sulla nascita della capitale Phnom Penh è legata ad una ragazza di nome Penh. Ella trovò alcune statue di Buddha nel fiume e volle farne un sacrario. Le portò così in cima ad una collina: la collina di Penh. E Phnom Penh significa proprio la collina di Penh. Su questo piccolo colle c’è in effetti un santuario, cui si accede da una scalinata dove è possibile incontrare bizzarri personaggi che per soldi vi libereranno un uccellino dalla gabbia in onore degli dei o venditrici di fiori di loto. In cima c’è un tempio e un piazzale dove stregoni e maghi sono intenti a scacciare il malocchio e la sfortuna con strani riti. Uno di questi prevede l’immissione di cibo (fette di carne e frutta) nella bocca di alcune statue di drago come offerte e l’aspersione di incenso della persona da liberare. 

Trascorre, così, in maniera interessante l’ultima mattinata cambogiana. Riprendiamo il nostro tuk tuk per tornare in albergo. E’ ora di prepararci per il lungo viaggio di ritorno, circa 15 ore di volo complessivo nelle due tratte e relative pratiche ed attese in area di transito aeroportuale.

IL VIDEO

 

Giovanni e Anna vi ringraziano di cuore per avere avuto la pazienza di leggere questo lungo reportage e stare virtualmente in viaggio con loro in questa affascinante regione del sudest asiatico. Speriamo di avervi trasmesso almeno parte delle emozioni provate e, soprattutto, di avervi fatto venire voglia di andare nella “terra dei khmer”.


 

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