Ai margini di una strada provinciale che attraversa una bella distesa di campi si incrocia un piccolo cimitero di campagna, circondato da un muro di mattoni ma privo di cancello, ormai avviluppato e riempito dalla vegetazione selvatica. Il cimitero è piuttosto antico e insiste su un territorio ricco di storia ed assai misterioso.
Nel basso medioevo, intorno all’anno 1123, monaci cistercensi provenienti dalla Borgogna fondarono una grande abbazia, bonificando i paludosi terreni dell’area, ed introdussero la coltivazione del riso nella penisola. Questo fa della zona di Lucedio il punto di origine della coltivazione del riso in Italia. Anche la posizione lungo la via Francigena fece sì che l’Abbazia diventasse un fiorente centro di potere economico e politico.
Nel tempo ci fu un consistente sviluppo dell’attività agricola che fece sorgere decine di strutture, come quella immensa della Cascina Darola. Il complesso abitato di Lucedio venne, poi, ceduto a nobili famiglie attraverso passaggi di proprietà che oggi è difficile ricostruire con chiarezza. Nel 1707 l'Abbazia di Lucedio finì in possesso del Duca de Ferrari di Galliera, il quale poté fregiarsi del titolo di Principe per concessione dei Savoia e di qui il possedimento assunse il nome di "Principato di Lucedio". Nel 1780 tutti i possedimenti andarono all’Ordine di San Maurizio fino a quando nel 1800 tutto finì preda di Napoleone Bonaparte. Dopo la fine della dominazione napoleonica in Italia queste terre tornarono nuovamente nelle mani di facoltose famiglie italiane. Attuale proprietaria è la contessa Rosetta Clara Cavalli d’Olivola Salvadori di Wiesenhoff.
Il cimitero della Darola, distante meno di un chilometro dall’abbazia, risale probabilmente alla fine del 1500, come parrebbe confermato dallo stile architettonico tardo gotico della chiesetta. Oggi versa in completo abbandono. Le piante lo hanno avviluppato e riempito nell’area sepolcrale nascondendo irrimediabilmente le tombe. È difficile farsi un’idea precisa dell’età delle sepolture presenti e della loro quantità. È possibile che a partire dal dopoguerra questo piccolo cimitero di campagna sia divenuto inutilizzato. Sembra infatti che non sia utilizzato da almeno una settantina di anni, privo di manutenzione forse da altrettanto tempo.
Il cimitero, dimenticato dalla collettività, è invece frequentato da diverse persone (semplici curiosi, urbexer, fotografi, appassionati di paranormale) come testimonia il sentiero creato, in una selva alta ed intricata di vegetazione, dal passaggio di persone. Questo labile sentiero porta alla chiesa e ad una tomba di famiglia, uniche cose che rimangono visibili. L’esterno della Chiesa in chiaro stile gotico è invaso dai rampicanti che gli conferiscono un aspetto ancora più spettrale. Un porticato a tre arcate precede il vero ingresso.
Sotto il porticato ci sono due grandi lapidi. Quella a sinistra della chiesa è un tuffo al cuore: è lo straziante ricordo del padre di due gemelle, Vittoria e Teresa, morte entrambe all’età di 15 anni. La lapide porta una data: 1868. Subito dopo un’altra iscrizione: trasportate dal vecchio cimitero addì 11 febbraio 1894. A destra c’è invece la targa lapidea che ricorda il padre delle gemelle, morto qualche anno dopo nel 1876, e traslato insieme alle figlie nello stesso giorno dell’11 febbraio 1894.
Siamo in epoca post napoleonica, a partire dalla quale per il Décret Impérial sur les Sépultures, conosciuto semplicemente come “Editto di Saint Cloud”, emanato da Napoleone a Saint Cloud il 12 giugno 1804, non è possibile più seppellire morti entro le mura cittadine. Probabile che questo piccolo cimitero, avendo le carte in regola, abbia rivestito nell’ottocento una certa importanza, visto che accolse addirittura sepolture provenienti da altri cimiteri.
La chiesa è grande, a navata unica, è ormai completamente spoglia, riempita di scritte di vandali. A terra nella polvere giace un vecchio tappeto rosso, forse quello posto davanti all’altare. L’altare, di cui ormai non rimane che lo scheletro in mattoni, ha sopra un vecchio lumino mortuario ed un piccolo pupazzo di orsetto: forse un gesto gentile di qualcuno in ricordo delle due gemelline prematuramente scomparse.
Sulla sinistra della chiesa c’è invece una cappella sepolcrale di una famiglia anonima (c’è chi sostiene che possa essere quella delle gemelle). È priva di lapidi e rivestimenti, chiaramente vandalizzata, e quindi non è possibile stabilirne l’appartenenza. Qualcuno ha rotto anche il rivestimento dei loculi non utilizzati per vedere se ci fossero corpi all’interno. È stato asportato persino il crocifisso di marmo posto sul muro sopra l’altarino, di cui si vede ancora la sagoma nella parete. Fuori della cappella in un angolo ci sono un mucchio di lapidi impilate, ormai coperte da un leggero velo di muschio, le cui iscrizioni sono poco illeggibili.
Questa è la storia e la descrizione del cimitero che abbiamo esplorato. Veniamo, adesso, all’aspetto "folkloristico", cioè alle molte leggende che gravano su questo piccolo e mesto luogo di sepoltura. Questi avvenimenti oscuri risalgono alla fine del 1600, secolo tristemente famoso per la "caccia alle streghe" e l’oscurantismo imperante della chiesa, e insieme al cimitero coinvolgono anche l’abbazia di Lucedio e la vicina Chiesa della Madonna delle Vigne. Si narra che il maligno si diffuse nella abbazia di Lucedio impossessandosi dei monaci. Questa forza maligna venne catturata ed imprigionata nei sotterranei dell'abbazia. Nei sotterranei ci sarebbero quattro monaci mummificati, seduti su 4 troni, come guardiani per controllare che questo demone non lasci mai più la sua prigione; ed è per questo che i sotterranei furono murati. Ed in effetti oggi i sotterranei risultano ancora murati. Il cimitero della Darola sarebbe stato teatro nel medesimo periodo di "sabba" e riti demoniaci nella chiesa del cimitero. A questi avvenimenti è legata anche la leggenda dello "spartito del diavolo". Nella chiesa della Madonna delle vigne c’è un affresco che sovrasta il portone di ingresso che ritrae un organo a canne, sul cui leggio si trova uno spartito e la cui musica se suonata riuscirebbe a liberare le entità malvagie presenti in quei posti. Ma questo ve lo mostriamo in una separata esplorazione che abbiamo fatto a questa chiesa. Fatto sta che nel 1784 Papa Pio VI soppresse l’abbazia. Ognuno può trarre le sue conclusioni e farsi la sua idea. Rimane il fatto che questo è un territorio dall’indiscusso fascino che merita approfondite esplorazioni.
Notizie storiche dal portale del principato di Lucedio.
L'esplorazione è stata fatta per un tempo davvero breve, nel rispetto dei luoghi e degli eventuali cartelli di divieto presenti. Nessuna intrusione in luoghi protetti da chiusure, barriere, cancelli o in presenza di divieti è stata fatta. Nulla è stato toccato e/o prelevato.
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