Il cuore di Marguerite batte forte. Cerca di riflettere in fretta la minuta donna di Oradour Sur Glane, un tranquillo e sperduto villaggio della Francia. “Perché ci hanno portati dentro nella chiesa? Dove sono i nostri uomini? E cosa erano quegli spari che abbiamo sentito? “. I pensieri corrono veloci, disordinati. Il suo sguardo incontra quello atterrito delle altre donne e dei bambini del villaggio e stringe forte a se la figlia, consapevole di non essere in grado di proteggerla. Sta tremando Marguerite. I soldati con i mitra spianati escono, si chiudono le porte. Un silenzio irreale che preannuncia l’apocalisse. All’improvviso, una luce accecante, fiamme, fumo acre e grida. Decine di corpi ustionati si contorcono sul pavimento. Una densa nebbia ha invaso tutta la chiesa, gli occhi lacrimano, la gola brucia, la temperatura si è fatta improvvisamente insopportabile. Una massa impolverata e ustionata corre urlando verso l’altare e la porta laterale che conduce alla sacrestia verso un’effimera salvezza. Marguerite corre insieme alla figlia verso quella porta. Si odono spari e raffiche di mitra dall’esterno, alcune donne coperte di sangue rientrano correndo in chiesa. Le SS sono tutt’intorno e controllano le uscite, non c’è scampo. All’improvviso, una esplosione a pochi metri dall’altare, una bomba a mano lanciata dall’esterno attraverso le finestre. Marguerite cade a terra. Dopo qualche attimo di stordimento, riapre gli occhi e dal pavimento vede la figlia accanto a se, gli occhi sbarrati, fissi nel vuoto, una vasta macchia di sangue le inzuppa gli abiti; la vita l’ha appena abbandonata senza che lei abbia avuto il tempo di stringerla un’ultima volta e dirle addio. “E’ finita!” pensa Marguerite piangendo e la sua vita le passa davanti come un film accelerato; ma vuole vivere, DEVE VIVERE, non può permettersi il lusso di morire oggi. Ha un compito che la sorte gli ha affidato. Così, mossa da un’energia sconosciuta ed ancestrale, facendosi largo nel fumo denso, corre a nascondersi dietro l’altare. Deve fare in fretta perché i tedeschi torneranno in chiesa a finire il lavoro incompiuto. Con l’aiuto di uno sgabello usato per accendere i ceri, sale sulla finestra centrale, l’unica che permette un agevole passaggio, e si lascia cadere lungo il muro, giù nel vuoto atterrando sul terrapieno alcuni metri in basso. Rotola per qualche metro nella terra e negli arbusti e per la prima volta si accorge di essere ferita, ma non sente nulla. Una voce alle sue spalle, una donna salita anche lei sulla finestra. Ha un bambino in braccio, le grida di prenderlo e lo getta giù. Marguerite tenta disperatamente, ma non è forte abbastanza: il bambino cade in terra. I soldati, attirati dalle grida e dai movimenti delle donne, sparano alcune corte raffiche di mitra nella loro direzione ed uccidono la donna ed il suo bambino, ferendo nuovamente Marguerite. La credono morta, nessuno arriva a controllare. Marguerite è molto più forte di quanto la sua figura esile lasci immaginare. Si trascina sul retro della chiesa e si nasconde nell’orto, dove rimarrà fino al giorno dopo, quando alcune persone dei vicini villaggi accorse la trovano esanime, ma ancora viva.
Quanto descritto sembra la scena di un film, ma è una storia tragicamente vera. Il 10 giugno 1944 il 4º Reggimento Panzer Grenadier Der Führer della divisione Das Reich circondò il villaggio di Oradour sur Glane e ordinò a tutti gli abitanti di radunarsi nello spiazzo della fiera, apparentemente per controllare i documenti degli abitanti. Tutte le donne e i bambini vennero rinchiusi nella chiesa. Nel frattempo gli uomini vennero divisi in gruppi e condotti in sei granai, dove postazioni di mitragliatrici erano già state predisposte. Secondo il resoconto di un sopravvissuto, i soldati iniziarono a sparare mirando alle gambe. Una volta che le vittime fossero morte o non più in grado di muoversi, i nazisti coprirono i loro corpi con della sterpaglia e diedero fuoco ai granai. Solo cinque uomini sfuggirono: centonovantasette morirono lì, molti bruciati ancora vivi. Uccisi tutti gli uomini, i soldati entrarono nella chiesa e vi collocarono una bomba incendiaria. Il carburante avrebbe innescato la combustione dei banchi di legno, delle sedie, dei confessionali e, col tiraggio del campanile, presto l'interno della chiesa sarebbe stato un inferno. Le travi del tetto avrebbero cominciato a bruciare, la temperatura elevata, contenuta dal tetto, e i fumi sprigionati avrebbero dovuto uccidere tutte le donne e i bambini. I sopravvissuti cercarono di sfuggire al fumo ed alle fiamme dalla sacrestia e dalle finestre, ma andarono incontro al fuoco delle mitragliatrici. Duecentoquaranta donne e duecentocinque bambini morirono nel massacro. Solo una donna coraggiosa scampò, scappando da una delle finestre dietro l’altare, e poté testimoniare al processo di ciò che era avvenuto nella chiesa: Marguerite Rouffanche. Si salvò anche un altro piccolo gruppo di circa venti abitanti del paese che aveva lasciato in fretta Oradour quando erano apparsi i nazisti. Nella notte il villaggio venne saccheggiato e dato alle fiamme
I soldati, poi, viaggiarono attraverso la Francia diretti in Normandia, per unirsi al resto dell'esercito tedesco nel tentativo di soffocare l'invasione alleata venuta dal mare. Molti di loro, tra cui Adolf Diekmann, che aveva guidato l'attacco a Oradour-sur-Glane, verranno uccisi nella battaglia di Normandia. Dopo la guerra, il Generale Charles de Gaulle decise che il villaggio non sarebbe mai più stato ricostruito. Invece, sarebbe rimasto così com’era, come testimonianza della sofferenza francese sotto l'occupazione tedesca. Nel 1999, il presidente Jacques Chirac dedicò un centro visitatori a Oradour sur Glane e ribattezzò il luogo come "Villaggio Martire”. Su questa vicenda si sono sprecati fiumi di inchiostro e le teorie sono molte e diverse tra loro, ognuna arricchita di particolari e aneddoti. Personalmente, non credo che esista una spiegazione razionale a quel massacro, da qualunque punto di vista si vogliano considerare le cose. Una tragica fatalità ha fatto capitare una banda di fanatici assassini (le SS), tra i più spietati che la storia ricordi, sulla strada di quello che era descritto come un villaggio “idilliaco”. Nell’inverno del 1953, ventuno uomini furono processati dai tribunali francesi a Bordeaux per aver preso parte al massacro di Oradour-sur-Glane. Erano tutti membri della Das Reich Divisione che erano sopravvissuti alla guerra. Il processo si è svolto in un clima di grande tensione e, alla fine, solo due degli imputati furono condannati a morte; gli altri ebbero lievi condanne. I verdetti, molto miti, causarono un clamore che ancora oggi non è sopito in Francia.
La storia di Oradour sur Glane l’avevo ascoltata molti anni fa e mi aveva colpito moltissimo. Come molte storie di guerra, era una storia di violenza, morte e crudeltà. Tuttavia, la vicenda di questo villaggio aveva qualcosa di diverso dalle altre, per l’essere Oradour sur Glane un villaggio lontano dal contesto della guerra, fuori dagli obbiettivi strategici sotto ogni punto di vista e i suoi pacifici abitanti non avere alcun legame con la “resistenza”. Una strage inattesa, gratuita, portata avanti con una spietata ferocia, peggiore di quella riservata dai nazisti agli ebrei in molte città d’Europa. Di recente, avevo letto nuovamente del villaggio in un blog arricchito da tante foto, attuali e d’epoca. Più leggevo di questa storia, più approfondivo i suoi contorni e più cresceva forte la voglia di andare a vedere. Ma perché visitare luoghi di morte e sofferenza, così lugubri e carichi di orribili testimonianze? Perché andare in un posto così? Non so dare una risposta oggettiva. Per quanto mi riguarda, la ragione principale che mi avrebbe spinto a fare millesettecento chilometri, fino nel cuore della Francia, in una regione lontana dalle classiche rotte turistiche, era la possibilità di raccontare questa storia e renderla conosciuta il più possibile anche in Italia. Non sarebbe stata una ricerca del macabro, ma disponibilità a sporcarsi l’anima e sperimentare quanto il confine tra follia e realtà, tra luce e tenebre sia sottile e come l’essere umano, per sua natura, sia destinato a camminarci sopra, in bilico tra le due parti. Una sorta di esplorazione dell’abisso umano che affina la coscienza e quell’invisibile radar che guida tutti verso le cose giuste e mostra quelle sbagliate. Inoltre, sono una persona molto curiosa per natura e non mi sono voluto accontentare del racconto di altri. Volevo vedere con i miei occhi, camminare in quelle strade e sentire sulla pelle il sottile vento delle cose passate che riecheggiano, come una vecchia canzone ormai dimenticata. Vedere quello che hanno visto Marguerite, Jacques, Claudine, Maryse, Renée, Marie, Michel, Francois, Monique, entrare nel loro mondo perduto e raccontare la “mia” Oradour sur Glane.
Così, nel corso di un’estate strana, che sembra restia a concedersi del tutto, decidiamo di dare corpo a questo desiderio. Ci mettiamo a studiare le carte, decidiamo il percorso e le relative basi per il soggiorno. Scegliamo di andare con la nostra auto, per essere pienamente liberi di spostarci ed esplorare, di prolungare a piacimento il nostro viaggio. La strada da percorrere è tanta, più di 1700 km ci separano dal villaggio. E’ necessario fare una tappa. La scelta cade su Cuneo, per svariati motivi: sappiamo essere una città bellissima; in zona ci sono alcuni cari amici da incontrare; per ultimo, ma non ultima motivazione, l’attenzione che aveva Antonio de Curtis, in arte Totò, per Cuneo e la sua ormai leggendaria “sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo”. Volendo consacrarci come “viaggiatori di mondo” decidiamo di fare base lì per due notti, così da avere il tempo anche di incontrare gli amici e goderci la città e i suoi dintorni. Scegliamo un vecchio albergo molto vicino al centro storico. Per la Francia, decidiamo di fare base a Limoges, la maggiore città nelle vicinanze di Oradour sur Glane, che mi avevano detto essere carina e molto tranquilla. Anche qui riusciamo a trovare in offerta un bell'albergo, un po’ retro ma di gran fascino, abbastanza centrale e con un enorme parcheggio gratuito fronte strada. Non rimane che andare.
22 agosto, la notte prima della partenza è una notte molto agitata: dormo pochissimo e sogno il villaggio, che però ha i contorni di Massalubrense, dove ho trascorso gran parte della mia infanzia e delle mie vacanze estive fino all'età adulta. Arriviamo a Cuneo nel tardo pomeriggio. Il nostro brevissimo soggiorno a Cuneo è stato fantastico: bella come ci avevano detto, abbiamo incontrato i nostri amici e ce ne siamo fatti di nuovi. Meriterebbe un racconto a parte, ma desidero concentrarmi solo sullo scopo del mio viaggio. Il 24 agosto ripartiamo da Cuneo diretti a Limoges, nella regione del Limousine dove arriviamo verso le 18.00. Il tempo è buono. Ci sistemiamo al terzo piano (senza ascensore) di un albergo storico, in una bella stanza panoramica, da cui si intravede la storica stazione dei “benedettini”, e usciamo a sciogliere le gambe intorpidite da più di 800 km di auto e cercare un posto dove cenare. Tornati in albergo metto tutte le batterie in carica. Con la mappa del villaggio stesa sul letto facciamo il punto per la prima giornata. Sappiamo esserci un centro visitatori/museo nei pressi del villaggio. Tuttavia non abbiamo idea di come sia strutturata l’area: se vi siano restrizioni nelle riprese foto video, negli orari a disposizione, se l’accesso sia libero o guidato, quanta gente che potrebbe disturbare le riprese troveremo. Anche in rete le informazioni su questi aspetti pratici non sono molto puntuali e credo che questo mio scritto potrà risultare molto utile a chi vorrà andare lì. Ci muoviamo di buon ora al mattino per Oradour sur Glane. Il villaggio dista circa 23 chilometri da Limoges, ma si percorrono strade ordinate, senza traffico ed i tempi di percorrenza sono brevi, in media circa 25 minuti. Ci si arriva prendendo la D941 – N141 in direzione D9, continuando per qualche km sulla D3. Passato il ponte sul fiume Glane si arriva subito al villaggio. Inizierete a notare i resti del villaggio abbandonato sulla vostra destra, mentre sulla sinistra scorgerete distante il centro museo. Arrivati alla rotonda, un centinaio di metri davanti a voi, il nuovo insediamento, un piccolo borgo dove potrete mangiare un boccone nei caratteristici bistrot. Non andate dritto verso il nuovo villaggio, ma girate a sinistra; troverete una strada con ampi parcheggi sul lato sinistro. Di lì un sentiero vi condurrà al centro visitatori. Dal 1999, anno di creazione del centro memoriale dedicato al villaggio “martire”, tutte le strade di accesso al villaggio di Oradour sono state chiuse con cancelli tranne una: la vecchia strada per Saint Junien. Per andarci bisogna passare dal centro visitatori. Il centro ha una libreria dedicata, un museo che si visita a pagamento, e i bagni.
Per andare al villaggio si passa attraverso un tunnel che passa sotto la D3 da cui siamo venuti ed una scala (c’è anche un montacarichi per gli invalidi) conduce nuovamente al livello strada e all’unico accesso ad Oradour. La visita è libera e gratuita senza alcuna restrizione per le immagini fotografiche e/o video (per cui, se volete, portate tranquillamente anche il cavalletto e ogni genere di attrezzatura fotografica che vogliate utilizzare). Gli orari sono dalle 9 del mattino alle 18 di sera, tutti i giorni. Se lo desiderate, vi daranno gratuitamente una piccola cartina per orientarvi. Oradour può essere visitata in un solo giorno, ma il consiglio è di dedicargli almeno due giorni: uno servirà per conoscerla all’ingrosso e annotare tutte le zone, gli scorci, gli oggetti interessanti; gli altri giorni per fotografare e filmare in maniera più consapevole e precisa. Anche così, saranno tante le cose che vi sfuggiranno. Andateci ad apertura: potrete approfittare del villaggio con poca gente a disturbare le riprese. Il consiglio è di andare subito alla chiesa che è in una delle zone più lontane dall’ingresso; così guadagnerete il tempo sufficiente sugli eventuali altri visitatori mattinieri per vederla e fotografarla vuota in tutta tranquillità. La chiesa è il cuore del villaggio e della sua storia ed sempre piena di gente, a volte folti gruppi turistici con le proprie guide accompagnatrici. In certe ore, è quasi impossibile catturare immagini.
Attraversato il tunnel sotto la D3, salita la rampa di scale siamo ormai alle porte del Villaggio. Un cartello con la scritta silence alla base di un vecchio castagno, appena alla sinistra dell’ingresso, ricorda che questo luogo è come un grande cimitero e invita ad entrare col dovuto rispetto. Nessuno vigila, non ci sono guardiani e telecamere, si è liberi di girare e tutto è come fu lasciato dalle SS quella notte; sta alla civiltà ed alla sensibilità delle persone rispettare questo luogo e le centinaia di persone che vi furono massacrate brutalmente.
Le emozioni che si provano mettendo piede nel villaggio e osservando le prime case annerite e parzialmente distrutte sono davvero forti e la sensazione è quella di aver viaggiato a ritroso nel tempo. Ad Anna il compito delle riprese video, mentre io mi dedico alle foto. Ho con me anche il cavalletto. Poco dopo l’ingresso, sulla destra, si entra in un ampio cortile con un pozzo che è stato soprannominato The Tragedy Well, “il pozzo della tragedia”. Sono le rovine di una fattoria, nel cui pozzo sono stati trovati resti umani non identificati. Vicino al pozzo è stata messa una croce di legno ed una lapide in ricordo. Il pozzo è sempre pieno di fiori portati gli abitanti della zona. In un piccolo edificio di mattoni rossi rimasto intatto, attraverso la porta di legno sfondata, si può vedere ancora una grande bilancia. E’ davvero difficile documentare in questi luoghi, fotografando e filmando come se fosse un normale monumento o una qualunque cittadina. Mentre cammino tra le rovine delle case, nei cortili e nelle strade ho un macigno sul cuore, la macchina fotografica mi sembra quasi un oggetto sacrilego. Tuttavia, ho un’idea ben precisa che mi fa superare questa sensazione: documentare al meglio possibile e diffondere questa storia, come modo di rendere omaggio e giustizia a tutti, uomini, donne e bambini che sono morti qui.
Mi concentro sulla mappa e sulla struttura del paese per riconoscere i luoghi da non tralasciare. Esco dalla fattoria e torno sulla strada diretto verso il corso principale che attraversa tutto il paese, Rue Emile Desourteaux
Esattamente all’incrocio tra la vecchia strada per Saint Junien, cioè la strada di accesso dal Centro visitatori al villaggio che stiamo percorrendo, e Rue Emile Desourteaux, c’è quel che rimane di Chez Denis, lo spaccio di vini. Qui furono uccisi circa venticinque uomini. Le SS usarono il giardino sul retro come fossa comune. Tra i cadaveri che furono identificati, c’era quello del sindaco, Jean Desourteaux, riconosciuto, nonostante fosse semicarbonizzato, grazie alla sua valigetta.
Sul lato opposto della strada, c’è quel che rimane dell’Hotel Avril, gestito dall'omonima famiglia. Qui si nascosero i piccoli Jacqueline, Francine e André Pinéde fino al tramonto, allorquando il villaggio fu dato alle fiamme, e furono costretti abbandonare il loro nascondiglio per non morire soffocati.
Subito dopo la cantina di Chez Denis, si incontra quel che rimane dell’officina di Monsieur Poutaraud. A fianco, l’Assicuratore Santrot, con la targa nel muro esterno scampata miracolosamente alle fiamme e alla devastazione.
Sul medesimo lato della strada, là dove corrono i binari del tram, la fucina del fabbro Beaulieu, con la pompa di benzina del villaggio. Questo è un altro dei sei luoghi dove gli uomini del villaggio furono massacrati dalle mitragliatrici e poi bruciati. Una lapide è posta in ognuno di questi luoghi e recita: "Qui, in questo luogo di tormento, un gruppo di uomini furono massacrati e bruciati dai nazisti. Raccogliete i vostri pensieri”.
Ovunque tra le rovine, oggetti di vita quotidiana: pentole, letti, scheletri di biciclette, tavolini, tante macchine da cucire. Tante anche le carcasse di automobile. Segno che questo luogo è stato per lo più rispettato dai francesi, anche nel passato quando l’accesso non era controllato.
Camminando sempre in direzione dell’accesso sud-est del villaggio, la vecchia strada per Limoges, ci si imbatte in un grande spiazzo, dove campeggia il soggetto più fotografato di Oradour sur Glane, tanto da divenirne un’icona: l’auto del Dott. Jacques Desourteaux. E’ una Peugeot 202, ormai completamente arrugginita e che dopo tanti anni alle intemperie mostra i primi segni di serio deterioramento delle lamiere. Questo grande spiazzo è il Champ de Foire, la fiera, dove vennero riuniti tutti gli abitanti del villaggio rastrellati nelle case e per le strade
Le Champ de Foire forma una specie di ferro di cavallo e si congiunge con la strada che da Rue Emile Desourteaux conduce al cimitero. Nel tratto a proseguire su Rue E. Desourteaux, troviamo la Boulangerie di L. Bouchoule, il panificio, uno degli edifici che si è meglio conservato. Qui sono stati trovati due corpi carbonizzati e irriconoscibili, uno dei quali scoperto in uno dei forni ben visibili all’interno dell’edificio ed appartenente ad un bambino.
Tanti altri luoghi un tempo trafficati si snodano lungo il corso, identificati da piccole targhe apposte su quello che rimane dell’edificio e del perimetro esterno: il Caffè-coiffeur Chez Brouillaud , la Epicerié (drogheria), il Menusier (falegname), la Quincallerie (merceria), la Couturiere (sarta) Chez Emma o Emma Lebraud.
Difficile descriverli tutti, ne avrò certamente dimenticati
molti. Il consiglio è di perdersi per il paese soffermandosi tra i ruderi, cercando di cogliere tutti i particolari; il passato è lì, nascosto tra l’erba, i sassi e le lamiere contorte, pronto a
svelarsi all'animo curioso che lo cerca, oltre la crosta di violenza di cui sono
coperti questi luoghi. Le pietre dei muri, le finestre, gli oggetti di vita quotidiana raccontano di un villaggio un tempo vivo e felice. Sussurrano di una vita semplice, della quiete rotta
solo dal frinire delle cicale, di amori vissuti all'ombra delle querce, di pomeriggi
d’estate passati nei caffè, a passeggio nelle strade o con i piedi immersi nelle
fresche acque del Glane a immaginare il futuro. Credo che la sfida vera ad Oradour sia riuscire in questo: superare la storia di violenza e morte che ha spento per sempre questo villaggio e i
suoi abitanti ed in qualche modo riuscire ad immaginare quel che è stato.
Dall’altro lato della strada, la Ecole des Filles, la scuola femminile. Più avanti, sul lato sinistro, la Boucherie, la macelleria, anche questo edificio è ben conservato e si può notare ancora un pezzo della parete piastrellata; per terra, un pezzo di una bilancia e pezzi di alcuni macchinari, forse dei tritacarne. Accanto, il Sabotier (lo zoccolaio). Sulla sinistra, di snoda la strada che porta su al cimitero, dove ci recheremo più tardi
Infine, arriviamo nel punto nevralgico del paese e di tutta la storia: il piazzale della chiesa. Sulla sinistra, angolo con la vecchia strada per Peyrillhac, i resti del caffè Chez Brandy e una decina di metri oltre, l’Hotel Restaurant Chez Milord con lo scheletro della pensilina che un tempo riparava dalla pioggia e dal sole gli avventori.
Dall’altro lato, dove campeggia un grande albero di castagno, ciò che resta del caffè – coiffeur Chez Lucien. All’esterno, in una specie di giardinetto di accesso è ancora presente un tavolo di pietra ben conservato. All’interno, scheletri di sedie e tavoli dove si intrattenevano i clienti. Questa parte del villaggio, insieme alla fiera, era probabilmente il luogo di incontro, dove le persone si davano appuntamento, si sedevano ai tavolini per un dolce o un caffè dopo la funzione domenicale. Continuando, oltre la chiesa c’è l’ingresso meridionale del villaggio, la vecchia strada per Limoges, da cui arrivarono le SS nel giorno del massacro. Oltre l’ingresso, quindi fuori del perimetro attuale del villaggio e vicino al fiume, c’è un mulino dove fecero base i tedeschi. La zona può essere visitata uscendo dal villaggio.
Ed eccoci al luogo più commovente, dove è avvenuto il vero massacro: la chiesa. Qui hanno perso la vita in maniera atroce quattrocentoquarantacinque persone, duecentoquaranta donne e duecentocinque bambini. Fuori una targa di pietra accanto ad un grande cristo in ferro ormai arrugginito, lo ricorda.
La chiesa appare nella parte centrale priva del tetto, bruciato e crollato. Solo la zona dell’altare ed il coro sotto il campanile, hanno mantenuto la copertura garantendo, peraltro, una migliore conservazione dello splendido altare di marmo candido parzialmente danneggiato. Saliti i gradini di pietra, varchiamo il piccolo ingresso nella zona posteriore della navata centrale. Qui, vedrete una grande acquasantiera di pietra, in terra la grande campana della chiesa completamente fusa e ormai riconoscibile solo dal batacchio e, in un angolo, un grande crocifisso di ferro, anche questo mezzo fuso.
Nella navata laterale sinistra, un confessionale di legno ed un altare marmoreo molto ben conservati. Nella navata laterale destra, divisa in due cappelle, un altro altare con vicino una lapide di marmo con i martiri della grande guerra, una targa di pietra nera alla memoria di “l’Abbé Monsieur Jean Baptiste Chapelle, tué avec ses paroissiens le 10 juin 1944” (ucciso con i suoi parrocchiani il 10 giugno del 1944). Il bordo esterno della parte sopraelevata del pavimento nella zona dell’altare, presenta una buca causata probabilmente da una bomba a mano gettata attraverso le finestre laterali. Appoggiata al muro ciò che rimane della balaustra di ferro con degli angioletti in rilievo. Per terra, davanti all’altare, la carcassa arrugginita di un vecchio passeggino, una muta e tragica testimonianza dell’orrore che si è vissuto qui dentro. Dietro l’altare, tre finestre basse, due laterali strette ed una più larga centrale attraverso la quale Marguerite Rouffanche riuscì a scappare dalla chiesa.
. Usciamo dalla chiesa e andiamo nel retro, dove c’è una vecchia casa ancora integra, con un cortile ingombro di carcasse di vecchie auto arrugginite.
Allontanandoci dalla chiesa in direzione San Junien, una strada scende sulla destra e ci riporta verso Rue Desourteaux. Ripercorriamola in senso inverso fino a trovare la strada che sulla destra ci porta verso il cimitero. Su quest’ultima, c’è un altro dei luoghi della strage degli uomini, il granaio di Laudy. Questa strada, piegando sulla sinistra, si ricongiunge al Champ de Foire, e da lontano è visibile un bel pozzo.
Continuiamo dritti lungo la strada e incontriamo una lapide che avvisa che in quel punto fu trovato il corpo senza vita di Monsieur Poutaraud, il proprietario della grande officina sul corso. In pochi minuti di cammino si arriva al cimitero del Villaggio. E’ un piccolo cimitero di campagna e ovunque tra le tombe campeggiano le foto ricordo degli abitanti vittime della strage. Poco dopo l’ingresso, in direzione del memoriale c’è la tomba di pietra grigia di Madame Rouffanche, una delle più visitate, sempre adorna di fiori ed oggetti di porcellana, la famosa porcellana lucida della vicina Limoges. Nel cimitero è stato eretto un monumento che ricorda la strage; un ossario formato da teche di vetro a forma di bara, ospita quello che restava dei poveri abitanti del villaggio, la stragrande maggioranza carbonizzati e irriconoscibili.
Per chi dedicasse un solo giorno di visita al villaggio, può essere a questo punto consigliabile fare una pausa e pranzare nel vicino nuovo insediamento e poi ritornare nel pomeriggio. A maggior ragione chi vorrà dedicare più di un giorno al villaggio martire, come noi, troverà conforto alle molte ore di cammino nella nuova Oradour sur Glane; un po’ di riposo in una accogliente brasserie, davanti ad un buon piatto ed una fresca bevanda ci rimetterà in tono prima di tornare al villaggio o andare altrove, per tornare l’indomani.
Non rimane che esplorare la parte alta del paese. Venendo dall’ingresso, arrivati all’altezza dell’incrocio con Rue E. Desourteaux, girate a sinistra anziché a destra in direzione della chiesa. Visiterete un altro segmento del Corso che arriva fino ad un altro degli accessi, quello da nordovest chiuso come detto dal 1999. Molti i luoghi di interesse anche in questa zona del villaggio: il Coiffeur Valentin, la stazione del tram, molto ben conservata, l’ambulatorio dei Desourteaux padre e figlio, la scuola maschile, l’Ufficio Postale, una bella fattoria, la casa Dupic che fu ultima a bruciare la notte del 10 giugno del 44, il negozio Chez Denise della sarta Denise Dagoury, e di fianco il Cimentier A. Dagoury. E’ visibile un pozzo ben conservato. In questa che è la parte più alta del villaggio incontriamo alcune volontarie all’opera con piccozze che stanno liberando i binari del tram coperti dal fango delle piogge passate. Anche in questa zona tanti oggetti di vita quotidiana (stufe, termosifoni, pentole, badili, letti, biciclette) e tanti irriconoscibili e dalle forme strane. Sul margine della strada, vicino ad un muro una fontanella a pompa, con lo stantuffo per pompare l’acqua. Nel ripercorre a ritroso il corso si gode di una buona vista da una posizione leggermente sopraelevata del Villaggio e si possono ottenere delle belle immagini.
Scendendo dalla parte alta del paese la tristezza si impadronisce di noi. Il nostro soggiorno ad Oradour è concluso e siamo consapevoli di avere vissuto un’esperienza davvero unica, di avere toccato con mano e respirato un pezzo poco conosciuto della storia della seconda guerra mondiale. Viaggiando, capitano momenti in cui ci accomiatiamo da persone appena conosciute e che forse non incontreremo mai più, con la consapevolezza che sono degli addii. E noi ci sentiamo un po’ come in quelle situazioni, in cui si vorrebbe avere più tempo e che le distanze si accorciassero. La storia di Oradour sur Glane ci è entrata nel cuore e con lei i suoi sfortunati abitanti. Anche se non li abbiamo conosciuti, li abbiamo “percepiti” nelle strade, nei caffè da loro frequentati, in quelle che erano le loro case, le loro botteghe. Abbiamo sentito vecchie canzoni uscire dai Grammofoni e dolci parole sussurrate all’orecchio degli amanti, l’odore del pane fresco appena sfornato e della minestra della domenica. Abbiamo attraversato immaginariamente la loro storia e la loro vita, affezionandoci a loro come a persone che abbiano percorso al nostro fianco un tratto di strada della nostra vita. Allora, prima di imboccare per l’ultima volta la via per Saint Junien il nostro pensiero è per loro. Addio Marguerite, Jacques, Claudine, Maryse, Renée, Marie, Michel, Francois, Monique! Grazie a tutti voi del privilegio che ci avete concesso e vi chiediamo un’ultima volta scusa per essere entrati a turbare la quiete del vostro villaggio. State pur certi che non vi dimenticheremo.
Nella regione del Limousin, nel sudovest della Francia, c'è una città famosa per le sue porcellane. A noi è servita come base per il villaggio di Oradour sur Glane, ma ci ha sorpreso non poco. Al di là delle tipiche porcellane, di cui non pare - però - esserci un commercio particolarmente fiorente, Limoges è una città tranquilla e ordinata, con un antico quartiere (quello della Boucherie) estremamente pittoresco ed un centro storico che invita a perdersi tra piazze, monumenti e cortili, in un mix piuttosto insolito, come quello che unisce la cattedrale, i suoi giardini che si confondono con l'Orto botanico (che a sua volta finisce con delle terrazze con un panorama mozzafiato sulla città) e l'adiacente museo dell'arte contemporanea e le sue stupende fontane. Una città di raffinata bellezza...tutta da godere
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