SOMMA VESUVIANA

L'archeologia venuta da lontano: gli scavi della Villa di Augusto

Alle pendici del Monte Somma, sul versante settentrionale del Vesuvio, in una località (già di per sé leggendaria) denominata “Starza della Regina”, vi è ciò che rimane della cosiddetta Villa di “Augusto”. Costruita verso la metà del II sec. d.C. sui i resti di una preesistente danneggiata dall'eruzione del 79 d.C., fu in uso fino all'eruzione cosiddetta di “Pollena” del 472 d.C. che la seppellì, ma non completamente. Infatti, le strutture più elevate rimasero ancora visibili nel deposito vulcanico fino ai primi anni del VI secolo d.C., quando una nuova violenta eruzione seppellì del tutto le strutture.

Cosa sia in realtà, quale sia la sua consistenza e se sia veramente appartenuta ad Ottaviano Augusto è tutto ancora da chiarire. In realtà, il sito è ancora in fase di scavo e ciò che emerge è solo l’Atrium di quella che appare come una villa romana gigantesca. Furono proprio le sue ipotetiche dimensioni che la fecero collegare all'imperatore. 

La scoperta avvenne negli anni 30, osservando delle strutture murarie dall'aspetto vetusto che sporgevano in una campo agricolo. La ricerca archeologica fu iniziata per merito di Alberto Angrisani, farmacista di Somma Vesuviana, che prontamente interessò il direttore degli scavi di Pompei, Matteo Della Corte, suo caro amico. Lo scavo riportò alla luce strutture murarie, colonne di marmo, pavimenti in mosaico, statue, stucchi policromi attribuibili solo ad un edificio legato ad un personaggio di rango molto elevato. Considerando la sua collocazione molto prossima a Nola, si ipotizzò che la villa potesse essere la residenza dove morì l’imperatore Ottaviano Augusto. Infatti, gli storici Tacito e Svetonio narrano che nel 14 d.C. il primo imperatore Ottaviano Augusto durante un viaggio ebbe un malore e fu portato in una villa di famiglia “apud Nolam” (presso Nola) dove, malgrado le cure, si spense all'età di 76 anni. Per mancanza di fondi, gli scavi si interruppero, il sito fu di nuovo interrato e la Villa cadde nuovamente nell'oblio. Fino al 2002, anno in cui sono riprese le ricerche e lo scavo.

Grazie all’Imperial University di Tokyo che ci ha messo risorse economiche e competenze, gli scavi sono ripresi sotto la direzione del Prof. Masanori Aoyagi su progetto del Prof. Antonio De Simone, ed hanno per ora messo a nudo l’area di quello che doveva essere in origine l’ingresso della Villa, con alcuni enormi ambienti di rappresentanza. Si può ammirare ciò che resta di una grande colonnato, due grandi pareti con nicchie, nelle quali vi erano collocate statue. Due di queste sono state rinvenute: una donna con veste greca, forse una divinità, ed un Dioniso giovane con cucciolo di pantera (entrambe le statue sono ora al Museo Archeologico di Nola). Vi è poi un’altra parete su cui si possono ammirare, ben conservate, decorazioni sempre legate al culto di Diòniso, il dio del vino. Negli anni che precedettero l’eruzione del 472 d.C. questa parte aveva perso la sua originaria funzione di rappresentanza ed era stato destinato alla produzione agricola. Lo testimoniano, le cisterne, le celle vinarie, i depositi attrezzi, le stalle ed un forno. Ritrovati vasellame e suppellettili in uso proprio prima dell’eruzione nelle stanze che si trovano nella parte nord-est dello scavo: 7 pentole, 4 coperchi e un piatto africano con il monogramma cristiano rho con tre colombe intorno e due croci. 

Anche se gli studi recenti sembrano sconfessare l’ipotesi che si tratti della Villa di Augusto, questo sito archeologico è di estrema importanza per ricostruire la Campania di quei secoli. I resti vegetali, le decorazioni, i manufatti sono come delle capsule del tempo che raccontano del passato. Il forte legame con i culti dionisiaci ci dice che le pendici del Somma erano sicuramente ricche di vigneti e qui si produceva vino in grande quantità. La Statua di Dioniso giovane, le decorazioni di grappoli di uva e simboli dei riti misterici lo confermano. 

Inoltre, i resti vegetali, come semi, frutti e legno, conservatisi nel blocco piro plastico hanno permesso di ricostruire l’antico paesaggio del Vulcano. E, dunque, questo scavo ha contribuito a fornire una immagine di come fossero le pendici del monte Somma: ricoperte da una fitta foresta, per lo più di alberi di quercia, olmo e castagno. Quest’ultimo era il più usato nella edilizia. Possiamo immaginare una grande quantità di vigneti e frutteti favoriti dal terreno reso fertile dal vulcano stesso.

E c’è chi ritiene che, in fondo, la vita dei campani di quei secoli non fosse così diversa da quella della civiltà contadina di inizio novecento, ancora fortemente presente in un territorio legato alla terra ed alle tradizioni come pochi. E tante credenze ed usanze affondano le radici nella notte dei tempi. Basti pensare alle “janare”, termine che deriva Dianare (sacerdotesse di Diana) o forse da Janua (porta)…ma questa è un’altra storia.


 

Ringraziamenti: Ing. Antonio Raia

Prof. Satoshi Matsuyama, attuale direttore degli scavi

 

Fonte: Apolline Project (Il progetto è nato per fornire maggiori informazioni sulla villa romana di Somma Vesuviana in collaborazione con l’équipe giapponese)

 

 

 

DOVE: Prima Traversa Cimitero, 21 - Somma Vesuviana (NA)


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Prof. Satoshi Matsuyama