TRACCE DI TRADIZIONI CELTICHE A NAPOLI: LE ANIME ERRANTI

NAPOLI, SAN GREGORIO ARMENO: LE ANIME ERRANTI NEL PRESEPE DEL MAESTRO ALDO VUCAI

© Giovanni Rossi Filangieri 2015

 

Nella tradizione celtica, il passaggio dall’estate all’inverno e dal vecchio al nuovo anno veniva celebrato con lunghi festeggiamenti.  Era il cd. Samhain, dal gaelico samhuinn che significa “summer’s end”, fine dell’estate, e serviva ad esorcizzare l’arrivo dell’inverno e dei suoi pericoli, unendo e rafforzando la comunità grazie ad un rito di passaggio che propiziasse la benevolenza delle divinità. L’importanza che i celti attribuivano allo Samhain risiede nella loro concezione del tempo, che aveva una dimensione ciclica. Insieme a Samhain (31 ottobre, appunto) si festeggiavano Lughnasadh (1 agosto), Beltane (30 aprile o 1 maggio), Imbolc (1-2 febbraio), Yule (21 dicembre), Ostara (21 marzo), Litha (21 giugno) e Mabon (21 settembre), tutti i cicli legati alle stagioni e alla trasformazione della natura.

Nello Samhain, la morte era il tema principale della festa, in sintonia con ciò che stava avvenendo in natura: durante la stagione invernale la vita si ferma, mentre si rinnova sottoterra (il seme pronto a germogliare dalla terra), dove riposano i morti.  Si credeva che alla vigilia di ogni nuovo anno, cioè il 31 ottobre, Samhain chiamasse a sé tutti gli spiriti dei morti, che vivevano in una landa di eterna giovinezza e felicità chiamata Tir nan Oge, una sorta del nostro paradiso, e che gli spiriti potessero unirsi al mondo dei viventi, provocando in questo modo il dissolvimento temporaneo delle leggi del tempo e dello spazio. Così, permettendo agli spiriti erranti di tornare a vagare indisturbati sulla Terra. In Irlanda si diffuse l’usanza di accendere torce e fiaccole fuori dalle porte e di lasciare cibo e latte per le anime dei defunti che avrebbero reso visita ai propri familiari. Nella dimensione “circolare” del tempo, Samhain si trovava in un punto fuori dalla dimensione temporale che non apparteneva né all'anno vecchio e neppure al nuovo; in quel “non tempo” si assottigliava la distanza tra il mondo dei vivi e quello dei morti e i due mondi potevano entrare in contatto.

Il Cristianesimo non ha cancellato queste tradizioni; diverse festività si sono sostituite ad esse, conferendo contenuti e significati diversi da quelli originari. Per esempio, l’odierno Samhain può essere identificato con la festa dei defunti, con l’usanza di andare al cimitero e con la più pittoresca Halloween. Il nome deriva da Hallows’ eve, il capodanno celtico, dove Hallows sono gli spiriti. Dunque, Halloween non è una festa di tradizione americana, ma irlandese (celtica). 

 

Ma ci sono straordinari punti di contatto tra la nostra cultura e quella celtica. Matilde Serao, una delle prime donne giornaliste e intellettuale di spicco della città, in un suo articolo racconta: “Domani mattina, a Dio piacendo, saremo svegliati da un’orchestrina originale di strumenti non molto melodiosi, ma per compenso sufficientemente assordanti. Centomila scatolette di cartone, debitamente segnate col teschio tradizionale e le immancabili ossa incrociate, faranno risuonare per tutte le vie di Napoli, per tutti i vicoli, per tutti i cortili, per i pianerottoli delle nostre scale, i soldini che vi sono piovuti dentro, attraverso la sottile fenditura, ed il rullo di questo strano tamburino ci accompagnerà da per tutto, e, dovunque, un bambino, due bambini, dieci bambini ci affronteranno, ci stringeranno in mezzo, ci sgusceranno tra i piedi, agitando la cascettella e strillando in tutti i toni: “Signurì, ‘e muorte!”. E’ nel nome dei morti, che l’infanzia chiede la sua mancia, domani: è con questa invocazione pietosa che essa vi domanda il piccolo obolo. E gli occhietti vi interrogano ansiosi, e spiano le vostre mosse; e lampeggiano felici quando la vostra mano si tende, e l’obolo è dato: “Signurì, ‘e muorte!”. Oh, date pure un soldino a questi bimbi che ve lo chiedono gaiamente, agitando la cascettella crocesegnata, e si sparpagliano con un grido di gioia, quando sono contentati…”.

Un’antica tradizione napoletana vuole che i cd. “Questuanti” compaiano nel presepe. Secondo questa credenza, i morti vagherebbero sulla terra dal 2 novembre per un certo tempo, per poi tornare nell’oltretomba. Così sarebbe possibile richiedere a loro aiuto in cambio di preghiere in loro suffragio. Per questa ragione, tanto tempo fa, in alcuni presepi il 17 gennaio si toglievano dalla grotta i personaggi della Natività e vi si mettevano le figurine delle anime purganti. Spesso queste figure sono poste su dei ponti, nell'atto di attraversarlo. Il richiamo al collegamento tra i due mondi, quello dei vivi e l’oltretomba è chiarissimo.

Anche la tradizione delle cd. “Anime pezzentelle” si inserisce in una più ampia reminiscenza pagana del culto delle stagioni e dei morti. Infine, nella cultura napoletana è usanza, anche se si sta perdendo, di apparecchiare anche per il defunto.

Attraverso antri, grotte e pozzi le anime inquiete ripercorrono i luoghi vissuti durante la loro vita e rivivono le esperienze del loro passato. Nella tradizione, insieme agli esseri trapassati di recente, tornano personaggi che hanno caratterizzato un determinato momento storico, svelando secreti celati dal tempo. E chi ha la fortuna di incontrarli, rivivrà ricordi di eventi passati. Come non pensare alle tante leggende napoletane che vogliono spiriti inquieti infestare castelli, strade e palazzi storici napoletani. Una fra tutte, quella di Maria D’Avalos e Fabrizio Carafa, amanti trucidati nella notte tra martedì 16 e mercoledì 17 ottobre dell'anno 1590 dalla follia omicida del Principe Carlo Gesualdo da Venosa.  Da quella notte, per secoli, chi abitava nei pressi del Palazzo ha potuto udire distintamente le urla di Maria D'Avalos. Si dice che tra l'obelisco di San Domenico Maggiore e il portale del palazzo di Sangro dei Principi di San Severo si aggiri il fantasma di una figura femminea, bella e disperata. E durante le notti di luna piena questo fenomeno sarebbe ancora più evidente. 

 

 

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