-     MAMMA LI TURCHI: IL CONVENTO DELLA LEGGENDA      -

Adagiato sulle colline del Cilento, tra boschi di pini di Aleppo, aceri e querce c’è un antico convento su cui aleggia una leggenda.

Il convento, fondato nel 1609 da Leonardo da Prignano, appartenne all’Ordine Agostiniano della Congregazione di S. Giovanni a Carbonara di Napoli. In realtà il convento incorporò una preesistente chiesa. La leggenda vuole che in quella zona giunsero i profughi in fuga da Costantinopoli dopo che nel 1453 il sultano Maometto II mise a ferro e fuoco la città. La medesima leggenda descrive la madonna raffigurata in questa chiesa nell’atto di spegnere le fiamme dell’assedio di Costantinopoli. Gli Agostiniani del convento venerarono sempre la Vergine col nome “Maria SS. del Soccorso” e di qui il collegamento con il preesistente culto e la leggenda.

La storia di questo convento (ed altri) è ben conosciuta grazie ad una bolla di Papa Innocenzo X del 17 dicembre 1649 con cui si proponeva una riforma degli ordini religiosi e si imponeva ai superiori dei conventi di stilare un rapporto sulla situazione patrimoniale, affinché fosse certo che ci fossero le necessarie risorse necessarie secondo quanto stabilito dal Concilio di Trento. E così il 22 marzo 1650 “Frate Ignatius Mariconda Ordo S. Augustini, ac Prior Venerabilis Monasterij titulo Beatissime Virginis Mariae Constantinopoli Congregationis S. Joanni à Carbonara…” stilò una relazione dettagliata sul convento che “misura 400 palmi (mt.105,84), la facciata 100 palmi (mt.26,46), l’altezza palmi 50 circa (mt. 13,23), la facciata è allineata a quella della chiesa e ha diverse aperture, mentre le stanze di sopra sono dieci in tutto, quelle del piano terra sono sette, cioè: “la Sacristia, Cellaro, Forno, Refettorio, Cocina, Stalla, un’altra per legne”.

A quella data ci sono 5 religiosi. Il priore, frate Ignatio Mariconda della Tripalda con due professi, frate Nicolao di Guarrazzano e frate Bartolomeo, e due novizi, frate Giovan Battista di Cardile e frate Nicola di Cecerale.

Il priore dichiara che il monastero possiede:

“A cinquanta passi sotto il detto Monastero vi è una vigna con olive e fiche, se ne ricava ogn’anno dà fertile, et infertile dieci Salme di Mosto con la 4° parte d’un tronco di fiche, con due Rotola d’Oglio.

Vi è un’altra vigna con olive, e fiche stà affittata alla mità della quale tra Fertile, et infertilese ne riceve d’affitto l’anno salme due, mezza, e d’oglio stara due, et di fiche la 4.a parte d’un tomolo, et di grano tomulo mezzo, et altretanto Orgio.

Animali, che al presente si possedono per il Monastero. Pecore 18 comprate da F. Nicola da Guarrazzano, e e F. Bartolomeo. Un paro di Bovi comprati dal d.o F. Nicola, quali sua vita durante ne è usufruttuario, et usi delle pecore post mortem delli detti sono del Monastero, una Bestia sommarina, Ciuccarello per uso del Convento, una Bestia con il Poletro stà à pro dazzio, e se ne riceve ogn’anno di grano tomola due meno un quarto.”

Il 15 ottobre 1652 fu deliberata la chiusura del Convento. Malgrado ciò, i monaci rimasero grazie alle cospicue elargizioni e donazioni ricevute.

Quando nel 1808 Gioacchino Murat prese il comando del trono delle Due Sicilie, ordinò la soppressione degli ordini religiosi confiscando loro i beni. Il 5 di agosto del 1808 fu redatto “l’inventario di tutti i mobili e semoventi esistenti nel Convento che così era costituito:

“Chiesa e Sacristia: Un calice con la sola coppa, e platina di argento; un reliquario inargentato; due pianete; due cotte; un camice; due messali; un messaletto; un organo; due immagini del S.S. Ecce Homo; sette altari con frasche e candelieri; sette carte di gloria; otto quadri; posti nei rispettivi altari; una statuetta dell’Addolorata; tre cuscini per messala; uno stipo; ed un inginocchiatoio nella Sacristia; sette tovaglie. Quarto Priorale: una tavola per scrivere; una sedia di appoggio di cuoio con sofà; nove sedie; un Crocifisso; un quadro della B.V. Maria; due tavole rustiche; libri undici, val quanto dire sette tomi della teologia morale di Juvenin, e quattro di Fulch; due lettiere di legno; due materassi di lana, ed un pagliaccio; due campane nel campanile.

Bottaio: due botti per vino.

Ogliaro: tre ziri per olio di capacità circa quindici staia per uno; un trappeto.

Cucina: una caldaia di circa quattro libre; un mortaio di marmo con pistello di legno; una paletta di ferro; un candeliero di ottone.” 

I beni furono assegnati al demanio regio e questo atto mise la parola fine al convento ed ai suoi due secoli di attività. Nel 1868 la chiesa fu ridestinata al culto e dotata di una bellissima statua della Vergine di Costantinopoli. Il convento non fu mai più ricostituito. 

ciò che rimane delle struttura conventuale


la chiesa

Oggi convento e chiesa sono abbandonati e in cattive condizioni. L’incuria è visibile dalla vegetazione che ha ormai avviluppato le strutture conventuali e dai crolli che hanno interessato il tetto della chiesa nella zona dell’abside. Tutti i pozzetti sepolcrali sono aperti mettendo in mostra pezzi di lapidi, brandelli di vecchie casse da morto e numerosi resti umani, segno che non ci fu il trasferimento dei cadaveri seppelliti sotto la chiesa nei cimiteri in seguito all’editto di Saint Cloud. Questo convento mostra tutto il fascino dei luoghi perduti, luoghi di confine tra ciò che è stato e ciò che tutto prima o poi sarà.

 

 

L'esplorazione è stata fatta per un tempo davvero breve, nel rispetto dei luoghi e degli eventuali cartelli di divieto presenti. Nessuna intrusione in luoghi protetti da chiusure, barriere, cancelli o in presenza di divieti è stata fatta. Nulla è stato toccato e/o prelevato. 

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