Quello di Voghera è un grande manicomio ottocentesco (1876), sorto come altri su di un antico convento, del quale oggi non è rimasto che il pozzo nei pressi della chiesa.
Al suo progetto lavorò alacremente anche il famigerato psichiatra Cesare Lombroso, le cui teorie ancora oggi suscitano un perplesso orrore. Va, tuttavia, sottolineato che era un’epoca in cui le conoscenze erano poche e si pensava davvero che la malattia mentale, come la propensione a delinquere, avessero dei legami eziologici con la struttura corporea e le fattezze fisiche. Fortunatamente, Lombroso andò ad insegnare a Torino e non assunse la direzione del manicomio, che fu invece affidato allo psichiatra Augusto Tamburini.
Il manicomio di Voghera risulta anche se in minima parta ancora utilizzato e quindi solo parzialmente abbandonato. Gli edifici che si affacciano su viale delle Repubblica sono oggi sede del Dipartimento di igiene mentale e degli archivi. È lì che sono conservate le quasi ventimila cartelle cliniche dei pazienti che qui sono stati reclusi, anche quella di Benedetto Branzoni, di professione fabbro, il primo paziente a varcare i cancelli di Voghera poco dopo l’inaugurazione. Come tutti i Manicomi, Voghera fu lentamente dismesso a partire dalla Legge 180/1978, conosciuta come “legge Basaglia”, fino a chiudere definitivamente i battenti nel 1996.
ESPLORARE VOGHERA
Tra tutti i manicomi italiani, quello di Voghera è forse uno dei meglio conservati e meno vandalizzati. Forse perché aveva una struttura più assomigliante ad un carcere che ad un ospedale, e forse anche perché non è mai stato del tutto abbandonato. Una stranezza di questa struttura è che ha ancora la corrente attivata anche nella parte abbandonata. Più di uno si è sorpreso nell’aver potuto accendere la luce o nell’aver trovato dei corridoi illuminati ma deserti. Forse la parte più famosa di Voghera, e ne costituisce l’immagine più iconica, è la cd. “Rotonda dei Furiosi”, un’area semicircolare destinata ai più violenti. E' costituita da minuscole celle senza spigoli e con i letti fissati al pavimento, segno che i pazienti venivano spesso legati ai letti. La struttura a semicerchio, come in alcuni famosi carceri del passato di massima sicurezza (es. S. Stefano) permetteva una visione complessiva del braccio ad una persona solo in una postazione fissa; nel caso di specie, ad un guardiano posizionato nel cortile “abbracciato” dal camminamento su cui affacciavano le celle. Un esempio di struttura semicircolare simile lo si trova solo in un altro Manicomio, quello di Siena, nel cosiddetto padiglione “Conolly”.
LA ROTONDA DEI "FURIOSI"
← ↑ INTERNO DI UNA CELLA DELLA ROTONDA
Per sperimentare cosa provassero gli internati di questo braccio, sono entrato in una cella ed ho chiuso la porta, scattando due foto speculari: una addossandomi alla porta e l’altra alla finestra. È possibile notare come la stanza fosse di dimensioni minuscole, senza spigoli, con pochissima luce e visuale. Metteteci il letto e qualcosa altro con la fantasia e capirete che non c’era spazio nemmeno per camminare. Inutile dirvi l’angoscia che ho provato a stare li dentro anche solo per pochi minuti.
Nei pressi della rotonda c’è una stanza molto nota: la stanza di Luigina e Mario. Semibuia e piena di polvere, una sola finestra con sotto il solito antiquato grande termosifone, un consumato divano marrone ed un tavolo: ciò che rimane di questo semplice luogo intriso di freddo e solitudine. Unica nota di colore, un pappagallo disegnato sulla porta con due nomi dentro un cuore: Luigina e Mario. Ho fatto, poi, le mie ricerche ed ho scoperto la loro storia.
Luigina e Mario erano due pazienti dell’ex manicomio di Voghera, che qui hanno vissuto anni di dolore e solitudine. E nonostante tutto, in quel luogo di disperazione si erano innamorati. Il loro sentimento è stato più forte di tutto, anche della ragione che impedisce di pensare all'amore in un luogo di negazione come quello. Arriva la riforma e piano piano la struttura si svuota per effetto delle tante dimissioni.
Anche Luigina e Mario furono dimessi e, strano a dirsi, quello che era un luogo da cui fuggire e da dimenticare, per loro invece era il paradiso perduto, il luogo in cui, nonostante tutto, si erano innamorati. Loro no, non potevano dimenticare! Luigina e Mario riuscirono, non si sa come, ad ottenere le chiavi della struttura per poterci tornare. E quella era proprio la stanza dove passavano il loro tempo insieme, la stanza di Luigina e Mario. Si sa che si erano anche sposati.
Questa è una bellissima storia di vita, che vale la pena di essere ricordata, specie ora che Luigina e Mario non ci sono più.
Ma di storie legate all’ex manicomio di Voghera in rete se ne trovano tante altre, come quella famosa di “Ringo”, il matto che fuggiva dal manicomio per andare a ballare in un vicino locale notturno, ma poi ritornava sempre al manicomio.
Come tutti i manicomi, anche quello di Voghera è un susseguirsi di tetri corridoi e stanzoni ingombri di ogni genere di cose, di enormi camerate, gabinetti medici, bagni collettivi con tanti ausili ortopedici: sedie a rotelle, tutori, stampelle, girelli e strutture per i servizi igienici. Il reparto infantile è quello che comunica le emozioni più forti, dove esplorare e fotografare diventa greve.
Nei pressi di un corridoio che si affaccia sul camminamento che porta alla chiesa scopriamo aule didattiche; in una due scheletri interi eccetto il teschio. In un'altra che sembra simulare una corsi di ospedale e serviva ad addestrare personale infermieristico e giovani medici, c’è Oscar (ribattezzato O’Scarrafone per la sua bruttezza), un manichino talmente ben fatto da farlo assomigliare ad un moribondo steso nel suo letto. Oscar ha persino il laccio per la tracheotomia e la sacca per la trasfusione nel braccio ed è responsabile di decine di “quasi infarti” tra gli urbexer. Se state esplorando Voghera e improvvisamente sentite un urlo strozzato… non preoccupatevi: è qualche esploratore che vi ha preceduto che si è imbattuto in Oscar.
Insieme ai tanti altri manicomi esplorati, Voghera è un tassello importante di un’epoca fortunatamente tramontata ma i cui strascichi sono evidenti ancora oggi.
IL REPARTO INFANTILE
L'esplorazione è stata fatta per un tempo davvero breve, nel rispetto dei luoghi e degli eventuali cartelli di divieto presenti. Nessuna intrusione in luoghi protetti da chiusure, barriere, cancelli o in presenza di divieti è stata fatta. Nulla è stato toccato e/o prelevato.
IL PRESENTE ARTICOLO NON COSTITUISCE IN NESSUN MODO UN INVITO O UN INCORAGGIAMENTO ALL'ESPLORAZIONE. I LUOGHI SONO FATISCENTI E PERICOLOSI. CHI LO FACESSE, SE NE ASSUME OGNI CONSAPEVOLE RISCHIO. AD OGNI BUON CONTO RICORDATE SEMPRE LA REGOLA "LEAVE ONLY FOOTPRINTS AND TAKE ONLY PHOTOS", LASCIATE SOLO IMPRONTE E NON PRENDETE NULLA SE NON IMMAGINI.
Treespassing private properties is both illegal and dangerous.
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