CROCE, IL RESPIRO DELLA MONTAGNA

TIPOLOGIA: paese abbandonato

STATO DEI LUOGHI: molto fatiscente - pericoloso

MOTIVO ABBANDONO: terremoto e frane

 

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Solitamente i borghi abbandonati sono ubicati in luoghi impervi, difficili da raggiungere, e per questo isolati dal mondo. Nella maggioranza dei casi, la loro storia è una continua lotta con la natura e l’ostilità del territorio. A volte la loro inaccessibilità è stata voluta e cercata (pensiamo alle esigenze difensive contro invasioni di popoli nemici); altre volte una inconsapevole conseguenza dell’aver scelto luoghi fragili e pericolosi (sismicità, franosità etc.). Le ragioni dell’abbandono sono tante e tutte drammatiche. I cd. “Paesi fantasma” soffrono, quindi, non solo dell’essere ormai privi di vita, ma spesso anche di una sorta di isolamento da vere e proprie aree abitate.

Nell’alto Casertano c’è un piccolissimo borgo che incarna il prototipo della “Ghost Town”: il suo nome è Croce. Viene normalmente citato sempre insieme ad un altro minuscolo borgo di nome Rocchetta. Anche se legati da una storia comune, Rocchetta e Croce non sono un unico paese: l’uno (Rocchetta), se pur conta pochi abitanti, è ancora vivo, l’altro alcuni chilometri più in alto lungo una strada di montagna è ormai da tempo morto. L’abbandono progressivo è iniziato negli anni 50 aggravato dai vari terremoti, frane che si sono succeduti nel tempo e non da ultimo dal cronico isolamento che rende tutto difficile. 

La Storia stessa di queste comunità spiega il loro destino. I due borghi di Rocchetta e Croce nacquero in seguito all'abbandono dell'antica Cales nel medioevo. Le incursioni dei Saraceni avevano decimato la popolazione, e Cales fu più volte saccheggiata e infine distrutta nel 879 d.C. La popolazione cercò rifugio sulle alture ai piedi degli impervi Monti Trebulani.  Sopra uno sperone roccioso affacciato su tre lati sul baratro nacque un insediamento fortificato: Rocchetta. Il nome vuole infatti dire proprio “piccola rocca”. Era talmente inaccessibile, al punto che nemmeno i Normanni provarono a conquistarla. I saraceni rimasero annidati in quella zona per diverso tempo; questo era un luogo redditizio per la cattura di donne da vendere come schiave nei mercati orientali. Rocchetta e Croce fu nei secoli possedimento ecclesiastico data la natura dei luoghi, che ne facevano un luogo di quiete e raccoglimento. Su una cresta a circa 200 mt. di dislivello da Croce, c’è ancora oggi un Eremo, luogo di ritiro e di preghiere, raggiungibile attraverso un impervio sentiero nei boschi.

E, dunque, è stata proprio la natura impervia dei luoghi ad aver condannato Croce. Se un tempo se ne apprezzava il suo essere difficilmente accessibile, in tempi moderni questo costituisce un grave limite.

Il borgo di Croce si raggiunge dalla A1 uscendo a Capua e imboccando la Statale 6 per una ventina di km, per poi piegare a est sulla provinciale 194 direzione Calvi Risorta/ Rocchetta e Croce. Lasciata Calvi Risorta alle spalle, si percorre una strada in salita a tornanti mal asfaltata per arrivare a Rocchetta. Attraversato velocemente il paese si continua a salire per alcuni chilometri verso le montagne fino ad arrivare a Croce, in una bella piazzetta con disegni geometrici bianco e grigi.  Si tratta di un abbellimento postumo che forse serviva in un’ottica di ripopolamento che non è mai avvenuto. In questo slargo si può lasciare l’auto. Appena arrivati, verrete accolti dagli unici abitanti del paese: un chiassoso gruppo di cani randagi che ormai hanno stabilito la loro residenza qui. E’ l’unica testimonianza di vita. Non appena vi inerpicherete per la strada di sanpietrini sulla sinistra della piazza, la stessa che poi diventerà sentiero per l’eremo, il silenzio si fa di nuovo irreale. Sembrerà un paese ancora vivo per la presenza di qualche catenaccio, qualche casa alla buona restaurata e diversi cartelli di “vendesi”, ma non c’è nessuno da decenni. E chi sperava di poter vendere, attende ancora qualche folle acquirente che voglia stabilirsi qui in solitudine. 

La parte bassa del paese è quella che ancora mantiene una qualche parvenza di abitato; man mano che ci si addentra e si sale, si fa la conoscenza con l’abbandono e l’incuria: portoni di legno ormai consumati dal tempo, scoloriti, rotti, terrapieni collassati, strade piene di vegetazione al punto che in alcuni tratti non si riesce più a vedere la pavimentazione stradale. Un groviglio di costruzioni e vegetazione, finestre da cui spuntano alberi, rami che fermando il crollo di muri li hanno inglobati, da averci ricordato Angkor Wat in Cambogia. Ma non sono passati secoli, ma solo qualche decennio. 

Appena imboccata la salita, quasi subito sulla destra c’è la chiesa, chiusa con un cancello anch'esso pericolante e fissato alla meglio al muro con dei cavi arrugginiti. E’ in pessimo stato di conservazione ed è davvero pericoloso entrare. Se il soffitto sembra ancora reggere, la cantoria di legno dell’ingresso è quasi del tutto collassata. Del pavimento rimangono poche mattonelle sbiadite e l’altare è spoglio. C’è ancora qualche panca sfasciata e due confessionali marci e pieni di ragnatele. Sulla parete esterna una lapide:" questo tempio divenuto squallido e pericolante nella volta e nel tetto fu restaurato ed abbellito dal parroco Giovanni Capezzuto con generose oblazioni del municipio e dei fedeli MCMXXV".

Proseguendo sulla sinistra si arriva ad una piazza con alcune abitazioni dove è possibile entrare. Dentro il tempo si è fermato agli anni '60 e si può ammirare un tipo di civiltà contadina ormai scomparsa. Scaffali di muratura a parete dove ancora c’è la roba più disparata: scarpe, medicine, documenti, barattoli di cibo etc.. Le cucine sono quelle dei tempi che furono, con le credenze, il tavolaccio per cucinare, il grande camino, i sedili di pietra con le pentole di rame. Ovunque, relitti di un mondo scomparso. Giornali degli anni 70, alcuni 45° giri di san remo 1967, qualche foto sbiadita, qualche lettera, qualche medicina ammuffita. Attraverso una traballante scala accediamo ad un piano superiore, la zona notte, con un letto una specchiera ed un baule ancora con dentro dei vestiti. I cortili e le aie tutti con forni per il pane, ormai invasi da erbacce. Croce, come tutti i paesi abbandonati, è una bolla spazio temporale; il tempo qui si è fermato, ha infranto le leggi della fisica di questa parte di universo. Tutto è sospeso, tutto sembra galleggiare, come in un luogo senza gravità. Come una lente per guardare nel nostro passato, attraverso il passato di altri. Ho rivisto cose che avevo legato alla mia infanzia, trascorsa per lo più negli anni ‘70 in paesi a vocazione contadina della penisola sorrentina. Mi è sembrato di rivedere le case dove avevo occasionalmente modo di entrare da bambino. Ho rivisto i torchi di legno, le pompe per il travaso del vino, le enormi damigiane rivestite di fascina.

Se vi capita di venire a Croce anche di notte, come è capitato a noi, le sensazioni saranno ancora più amplificate. Il totale silenzio, rotto solo dai richiami dei rapaci, civette, gufi, allocchi che all'imbrunire prendono possesso di questo luogo al posto dei cani, la fitta nebbia e l’alito della montagna che scende in basso attraverso il bosco rendono questo luogo davvero spettrale. Se esistessero le streghe o le creature della notte è qui che sceglierebbero di vivere, tra la solitudine del bosco soprastante e l’inquietudine delle case vuote del borgo a valle. E se esiterete troppo nel buio di qualche casa o nella penombra di qualche cortile vi prenderanno.  


 

L'esplorazione è stata fatta nel rispetto dei luoghi e degli eventuali cartelli di divieto presenti. Nessuna intrusione in luoghi protetti da chiusure, barriere, cancelli o in presenza di divieti è stata fatta. Nulla è stato toccato e/o prelevato. 

 

IL PRESENTE ARTICOLO NON COSTITUISCE IN NESSUN MODO UN INVITO O UN INCORAGGIAMENTO ALL'ESPLORAZIONE. I LUOGHI SONO FATISCENTI E PERICOLOSI. CHI LO FACESSE, SE NE ASSUME OGNI CONSAPEVOLE RISCHIO. AD OGNI BUON CONTO RICORDATE SEMPRE LA REGOLA "LEAVE ONLY FOOTPRINTS AND TAKE ONLY PHOTOS", LASCIATE SOLO IMPRONTE E NON PRENDETE NULLA SE NON IMMAGINI.


 

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