.  IL MISTERO DELLA FACCIATA DELLA CHIESA DEL GESÙ NUOVO

In una vivace piazza, sempre affollata di turisti e studenti, nel cuore di Napoli fa bella mostra di sé la Chiesa del Gesù, meglio conosciuta come “del Gesù nuovo”, per distinguerla da una preesistente omonima. Ma è la sua facciata esterna a “bugnato”, poco adatta ad una edificio religioso, ad attirare l'attenzione. Infatti, è quella di un antico palazzo nobiliare non più esistente: Palazzo Sanseverino. 

Palazzo Sanseverino era un imponente edificio, costruito per volere di Roberto Sanseverino, Principe di Salerno, e realizzato da Novello da San Lucano nel 1470; una iscrizione lo ricorda “Novellus de Sancto Lucano Architector Egregius Obsequio Magisquam Salario Principi Salernitano Suo Et Domino Et Benefactori Precipuohas Aedes Editit Anno MCCCCLXX.”  

Quando nel 1547 il viceré, Don Pedro de Toledo, tentò di introdurre a Napoli l'inquisizione spagnola, ci fu una grande sollevazione. Tutta la città insorse, sostenuta, tra gli altri, da Ferrante Sanseverino.  L’inquisizione spagnola a Napoli non fu mai introdotta, grazie anche a quella prima reazione. Tuttavia, i Sanseverino subirono pesanti ritorsioni da parte degli spagnoli per aver appoggiato la rivolta; gli furono confiscati i beni. Ironia della sorte, Palazzo Sanseverino con i suoi giardini fu acquistato dall’ordine religioso dei Gesuiti, che negli anni tra il 1584 ed il 1601 lo trasformò in chiesa. Va detto, tuttavia, che il rapporto tra la Santa Inquisizione  “Spagnola” e la Compagnia di Gesù fu meno stretto di quanto si pensi. I legami con l’istituzione della chiesa per la lotta all’eresia ci furono, ma più che altro per ragioni di obbedienza e, naturalmente, di “sopravvivenza”. Infatti, lo stesso fondatore, Ignazio di Loyola, fu processato ben otto volte dal tribunale della Santa Inquisizione, tanto in Spagna che in Francia ed in Italia. Un illustre teologo domenicano lo accusò persino di essere “il precursore dell’anticristo”. Quindi, non è dato fare congetture di una qualche connessione tra la fallita introduzione dell’inquisizione spagnola, la confisca del palazzo e la creazione di una chiesa dei Gesuiti. 

Tuttavia, che qualcosa di misterioso si nascondesse nel palazzo è confermato poi dal fatto che, nonostante la facciata non fosse propriamente consona ad una chiesa, non fu mai toccata ed è ancora al suo posto dopo cinque secoli e mezzo. Invece, il corpo della vera e propria chiesa ha avuto nei secoli severi problemi statici e strutturali. Nel 1639 ci fu un devastante incendio che aggravò ulteriormente le cose. Nel 1688 ci fu il crollo della originale cupola dopo un terremoto; ricostruita, crollò di nuovo e fu, poi, sostituita con una diversa e più leggera. Fu il famoso architetto Ferdinando Fuga a rinforzare la struttura con diversi interventi nella seconda meta del 1700. In quegli anni i Gesuiti furono cacciati dal Regno di Napoli per farvi ritorno solo nel 900. Infine, un episodio, stavolta fausto, avvenuto durante la guerra mondiale: una grande bomba (esposta ai visitatori) centrò in pieno la navata centrale, ma rimase miracolosamente inesplosa. Nella chiesa riposano i resti di uno dei personaggi più amati a Napoli, il medico dei poveri Giuseppe Moscati, divenuto poi santo. 

Ma nonostante la storia di questo edificio sia ricca di avvenimenti ed il suo interno un concentrato di capolavori d’arte, è la sua facciata esterna ad essere sempre stato il punto di maggiore interesse. Basta osservarla per capire che non è una semplice disposizione di piramidi (bugne) sulla nera pietra di piperno a renderla speciale: c’è molto altro. Tra gli amanti del paranormale e delle scienze esoteriche, questo edificio è sempre stato considerato un luogo di estremo interesse, una fonte di particolare forza energetica e c’è chi sostiene che sia una autentica “porta alchemica”. Questa teoria di piccole piramidi aggettanti verso l'esterno presentano, infatti, degli strani segni che non sfuggono agli attenti osservatori. Incisi dagli stessi “maste ‘e prete” napoletani che avevano sagomato la durissima pietra di piperno, erano stati nel recente passato ignorati ed interpretati come funzionali ai lavori: avrebbero, cioè, indicato la collocazione di ogni blocco rispetto agli altri o la parte di lavoro affidata alle diverse squadre che si occupavano della realizzazione del progetto. In realtà, si è capito che tale idea non era affatto così scontata. La particolarità di questi segni, insieme alla loro disposizione, ha fatto ritenere che ci fosse qualcosa di più articolato e oscuro: una sorta di messaggio codificato e riconoscibile solo a chi ne possedesse la chiave di lettura. Come ricorda uno studioso, Mario Buonoconto, nel suo libro “Napoli esoterica” (Edizioni Newton 1996), già in epoca medioevale vi erano a Napoli confraternite di artigiani organizzate sul modello franco templare. Giunti dal nord Europa, gli intagliatori di pietre erano particolarmente abili nel lavorare il duro piperno che era usato largamente a Napoli nell'edilizia, pubblica e privata, per fare non solo strade, ma le scale, le soglie dei balconi e le facciate dei palazzi. Dunque queste confraternite, che prosperarono già nel periodo, Normanno, Svevo ed Angioino, divennero particolarmente importanti e ricercate nel periodo rinascimentale. Si dice che gli intagliatori fossero capaci di caricare la pietra con energia positiva e che custodissero conoscenze di tipo esoterico. Prima di costruire un edificio importante, sceglievano con cura l’area dove edificare, secondo riti magici antichi, cercando i punti di forza energetici. Trovato il luogo, per proteggere la parte dell’edificio a contatto con gli inferi, usavano porre nelle fondamenta alcune monete per placare i morti. 

Certamente l’architetto Novello da San Lucano si servì di queste maestranze locali. E gli strani segni incisi ai lati delle bugne "a punta di diamante" sarebbero così disposti in modo da formare una sorta di “canale energetico”, capace di convogliare tutte le negatività verso l’esterno preservando il palazzo ed i suoi abitanti.  L’esistenza di queste confraternite, con conoscenze esoteriche tramandate in segreto e solo oralmente da maestro ad apprendista, rendono plausibile che colui che commissionò la costruzione del Palazzo abbia chiesto esplicitamente la realizzazione di questa sorta di scudo protettivo contro le influenze malefiche. E del resto di questi strani segni vi è traccia in molti altri luoghi della città. Alcuni vanno oltre, ipotizzando che per imperizia, o peggio per qualche diabolico piano, queste pietre segnate non furono piazzate secondo il giusto ordine, per cui invece che convogliare all’esterno, attirassero all’interno le energie negative.  E’ così che alcune leggende spiegano l’origine di tante sventure che nei secoli si sono abbattute sull’edificio: la confische dei beni ai Sanseverino, gli incendi, i gravi dissesti, i ripetuti crolli della cupola della successiva chiesa, l’espulsione della compagnia di Gesù etc.. E qui siamo, però, scivolati nel campo delle leggende.

Ad approfondire il discorso, però, sembra che ci troviamo di fronte a qualcosa di molto più di una leggenda.

Circa una decina di anni fa però, lo storico dell'arte napoletano Vincenzo De Pasquale si è interessato al bugnato. Ha notato che molti simboli, in realtà sarebbero lettere dell’alfabeto aramaico, la lingua parlata da Gesù, e che queste coincidono con note musicali. E, dunque, ha ipotizzato che tali lettere potessero essere  note di uno spartito scritto sulla facciata della chiesa stessa, da leggersi però al contrario: da destra verso sinistra e dal basso verso l'alto. Si è, quindi, rivolto ad alcuni amici ungheresi Csar Dors e Lòrànt Réz, esperti musicologi che, applicando gli antichi criteri Vitruviani sulla “divina armonia”, e le cd. “proporzioni auree”, sullo schema del bugnato segnato dal De Pascale, sono arrivati alla seguente equazione:

caos: + o - architettura + o – matematica + o – musica= perfezione.

Ciò ha svelato un concerto per strumenti a plettro della durata di quasi tre quarti d'ora, cui gli studiosi che l'hanno decifrato hanno dato il suggestivo titolo di Enigma.  Tale concerto è stato eseguito all'organo dallo stesso Lòrànt Réz ma, come si diceva sopra, sarebbe stato scritto per strumenti a plettro. 

Chi volesse ascoltarlo, può farlo: è  nel sottofondo di questo video.

                     la sinfonia "Enigma" 

 

Oltre che musica, la sequenza simbolica conterrebbe anche parole che gli esperti starebbero ancora studiando. E’ la soluzione del rebus oppure l’inizio di uno nuovo? 

 C’è già chi ha messo in discussione questa teoria, come ad esempio Stanislao Scognamiglio. Osservando i segni, quest’ultimo asserisce che sembrano piuttosto appartenere all’alfabeto fenicio. Su una bugna infatti appare una “Daleth”, la terza lettera dell’alfabeto fenicio, tuttavia è rappresentata capovolta. Scognamiglio ipotizza che questi segni siano piuttosto affini ai glifi usati nei laboratori alchemici. E questo non è poi strano, considerando quanto sopra ricordato a proposito degli intagliatori di pietre. Appare assai probabile che questi segni abbiano una ragione diversa da esigenze puramente di tecnica edilizia, ma per ora non se ne conosce con certezza il significato. Siamo ancora nel campo delle ipotesi ed è probabile, come per molte delle cose lontane nel passato, che le ipotesi rimangano tali.

 

Una daleth fenicia o  il fuoco alchemico?                          Alfabeto  aramaico                                                      Alfabeto fenicio                        

Gli appassionati della storia di Napoli sanno bene quanto in questa città leggenda e verità siano intrecciate in modo quasi indissolubile, confondendo tra le pieghe di ciò che appare comprensibilmente inventato moltissimi oscuri segreti. Tutto è complicato dal fatto che, per sue peculiarità, Napoli è un ammasso stratificato di eventi storici, denso quanto la sua storia millenaria e oscuro quanto la sua geometria, che assomiglia più ad un cubo di Rubik che ad un piatto. Tutto si è sviluppato in poco spazio, non allargandosi ma accavallandosi e confondendosi. Tanto per fare un esempio, l’antico teatro della città, quello dove si esibiva Nerone, è ormai inglobato negli edifici e qua e là nel dedalo di strettoie del centro antico ne esce qualche particolare del perimetro o dell’architettura. Ed il suo accesso è, credo caso unico al mondo, da una botola nascosta sotto il letto di un “basso”, quelle tipiche case così chiamate per l’ingresso al pian terreno.

Come sempre, se volete sapere come va a finire questa storia rimanete collegati con la città, oppure venite di persona e divertitevi a cercare. Di sicuro non vi annoierete. 

© Giovanni Rossi Filangieri 2016 

 

CONDIVIDI SU