AMENDOLEA

di Lisa Prioreschi

Non è facile raggiungere questo borgo ed è proprio per questo motivo che nel lontano anno 1000 decisero di costruirlo proprio qui. Il luogo offriva una nitida visuale sul mare e, quindi, su eventuali aggressori, per questo motivo si sviluppò e prosperò per parecchio tempo. Lo sperone di roccia la cui cima ospita il borgo si trova in linea d’aria a 5/6 km dal mare, infatti mentre ci avvicinavamo sulla strada che costeggia la fiumara ai piedi dei monti, lo potevamo vedere lassù, solitario e immobile a sorvegliare la vallata.

La strada si fa sempre più stretta e malandata. Arriviamo al ponte che attraversa l’enorme fiumara e non vi nascondo che un po’ di paura a passarci sopra con l’auto c’è stata. Dopo il ponte la strada si fa davvero ostica e piena di frane, nonostante che ai piedi del borgo vecchio ci sia un piccolo paese di poche case tuttora abitate… Arrivati alle case ci si trova davanti ad una strada con una pendenza da incubo che, in pochi metri, ti fa arrivare lassù in alto ai ruderi di Amendolea vecchia. I metri sono 600. 600 potenziali infarti per la strada stretta a strapiombo sulla fiumara, le allegre parti mancanti per le frane e la completa assenza di guard-rail (che non avrebbe fatto nulla lo stesso ma almeno a livello psicologico avrebbe aiutato.) Dimenticavo: ovviamente trattasi di strada a doppio senso.

Arrivati in cima però il panorama è mozzafiato. La fiumara è gigantesca e da lì si vede benissimo anche il mare dove si getta. Sei circondato da monti molto alti con piccolissimi paeselli collegati da “cose” che non si possono minimamente chiamare strade. C’è uno spiazzo dove lasciare comodamente l’auto e per prima cosa decido di andare a vedere il campanile sul lato verso i monti, unica testimonianza, assieme ad un piccolo cimitero senza croci, che lì si trovava la chiesa di San Sebastiano.

Il borgo era composto all’incirca così: dal lato dove lo sperone di roccia si collega ai monti si trovava la chiesa di cui sopra, poche piccole case e le molte stalle per il bestiame. 


Quello che ora è lo spiazzo dove abbiamo lasciato l’auto era una specie di piazza di collegamento. Sullo sperone si trovano il castello normanno, il borgo vero e proprio e la chiesa di Santa Caterina, di cui rimane l’abside ben riconoscibile, la pavimentazione e qualche nicchia con dei resti di semplici affreschi.

Visto il campanile, mi dirigo verso il castello. Ormai è rimasto ben poco, ma avventurandomi dentro ad un’apertura quasi completamente chiusa dalla terra franata (vedi foto con particolare cerchiato in giallo), mi ritrovo ad ammirare l’interno di quella che doveva essere la cappella del maniero, con tanto di raggio di luce scenografico e resti di pitture sulle pareti. Strisciando, come il piccolo serpentello che era accanto a me dentro la cappella, esco e proseguo l’esplorazione. I resti della grande torre del mastio sono ben riconoscibili e al suo interno è possibile ammirare tuttora un grande camino angolare. Davvero bello. Superato il mastio e i resti della torre di guardia, davanti a me ecco aprirsi il borgo vero e proprio. Doveva essere davvero grande e vissuto a suo tempo… Le case – o quello che ne resta – sono tante, a più piani e, come ho riscontrato in altri borghi abbarbicati sulle cime dei monti, sono accatastate l’una sull’altra. A volte una casa è formata dal piano terra e qualche stanza al primo piano, ma la parte sopra appartiene ad un’altra abitazione con l’entrata sul lato opposto. Il borgo che più di tutti è esempio lampante di questo modo di costruire è Senerchia, situato sempre in Calabria. Lì, la parete del monte dove è stato costruito è molto verticale e, diciamo che questa tecnica è ampiamente usata ed estremizzata. 

Passo da casa in casa, c’è poco da vedere, sono per lo più ruderi da cui si capisce però come doveva essere dura e semplice la vita quassù. Trovo anche quello che doveva essere il grande pozzo con cisterna dell’acqua sottostante, ma che oggi non è più apprezzabile perché murato per motivi di sicurezza. Sulla punta dello sperone c’è l’altra chiesa del paese, Santa Caterina. Questa doveva essere la chiesa più antica. E’ molto semplice e compatta, al suo interno è ancora presente l’antico pavimento ad esagoni. Io sono entrata dalla piccola porta che doveva affacciarsi sulla sacrestia, ma ho scoperto dopo che il vero ingresso è insolitamente posto sul lato, con tanto di scalinata di accesso. Questo perché dove di solito è posto l’ingresso principale della chiesa, l’edificio si affaccia sul dirupo.  Ripercorro a ritroso il sentiero fra quelle vecchie mura cotte dal sole e ritorno all’auto, passando fra altre case, scale che ormai danno sul vuoto e spuntoni di roccia emergenti. E la mente corre via dai pensieri romantici riguardanti la vita passata e ritorna prepotente su quei 600 metri da fare. 

Cenni storici.

 

La prima costruzione di cui si hanno notizie è il castello normanno. Inizialmente a pianta quadrata, ampliato poi verso lo sperone a strapiombo con l’aggiunta, negli anni fra il 1200 e il 1320 di due torri a pianta quadrata e il grande mastio. Negli stessi anni cominciano a comparire delle abitazioni e la chiesa di Santa Caterina, assieme a molte stalle sul lato del monte. Il castello passa di casato in casato finendo per ultimo ai Ruffo di Bagnara. Con la presenza di questa potente famiglia il borgo raggiunge l’apice del suo sviluppo. Due furono gli eventi catastrofici che ne decretarono l’abbandono: nel 1783 un forte terremoto con epicentro a Gioia Tauro fece crollare parte delle abitazioni più esposte allo strapiombo sulla fiumara, molte delle stalle dal lato del monte e la chiesa di San Sebastiano (mai più ricostruita) provocando un primo abbandono parziale da parte degli abitanti. Il castello non ebbe danni e la famiglia restò ad abitarlo, infondendo un po’ di speranza anche agli abitanti rimasti, ma nel 1794 decise di trasferirsi per via di altre frane, lasciando il castello e il borgo al suo destino. Il borgo riprese vita e prosperò anche senza di loro di nuovo fino al 1953, quando un evento alluvionale travolse e fece franare gran parte delle case, le torri del castello e le stalle che restavano sul lato del monte. A questo punto anche gli abitanti rimasti decisero di andarsene non ritenendo più il posto sicuro e questo decretò la vera fine del paese. Quello che si può ammirare oggi è solo parte di quello che era il borgo vecchio. Lo sperone ha continuato negli anni il suo franare inesorabile verso la fiumara facendo rimanere solo poche rovine, trasudanti di storia e di speranze di vita infrante.

L'esplorazione è stata fatta per un tempo davvero breve, nel rispetto dei luoghi e degli eventuali cartelli di divieto presenti. Nessuna intrusione in luoghi protetti da chiusure, barriere, cancelli o in presenza di divieti è stata fatta. Nulla è stato toccato e/o prelevato. 

IL PRESENTE ARTICOLO NON COSTITUISCE IN NESSUN MODO UN INVITO O UN INCORAGGIAMENTO ALL'ESPLORAZIONE. I LUOGHI SONO FATISCENTI E PERICOLOSI. CHI LO FACESSE, SE NE ASSUME OGNI CONSAPEVOLE RISCHIO. AD OGNI BUON CONTO RICORDATE SEMPRE LA REGOLA "LEAVE ONLY FOOTPRINTS AND TAKE ONLY PHOTOS", LASCIATE SOLO IMPRONTE E NON PRENDETE NULLA SE NON IMMAGINI.

 

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