LA LUCE DEL NORD


.                SPEDIZIONE ALLE ISOLE LOFOTEN E VESTERALEN

1974, un bambino seduto per terra nella sua stanza, con un libro tra le mani. Un nuovo episodio della serie l’Orso Petzi: “Petzi al Polo”. E’ Rasmus Klump, noto al di fuori della Scandinavia con il nome di Petzi. Questo simpatico personaggio è stato creato da Carla e Vilhelm Hansen, due coniugi che vivevano a Copenaghen; lei scriveva le storie e lui le disegnava. Il mare è il palcoscenico delle avventure di Petzi e dei suoi amici: un pinguino, una foca ed un pellicano. Lo schema classico li vede partire a bordo della fedele nave Mary, per incontrare altri personaggi spesso buffi o bizzarri, e alla fine delle storie tornare sempre a casa, dove la mamma di Petzi prepara “pandekager” (pancakes) per tutti. Amicizia, accoglienza, diversità, umorismo e tanta avventura sono gli ingredienti vincenti di questa serie che è stata venduta in milioni di copie e tradotta in varie lingue, tra cui anche l’italiano.  Quel bambino adora il suo orso e lo strano equipaggio che gira il mondo su una nave costruita con gli oggetti più strani. Legge avidamente il suo libro, la nuova avventura al polo nord. I suoi occhi si posano su una vignetta in cui il cielo è decorato con luci verdi e viola. Quella luce magnetica, cangiante si muove, come fosse viva: è l’Aurora Boreale. L’orso è stupito davanti a quello spettacolo della natura ed il bambino condivide quello stupore. “Mamma cos’è l’Aurora Boreale?” – “E’ una luce che si può vedere solo all'estremo nord, dove fa molto freddo” – “Come al Polo Nord?” – “Si…come al Polo Nord”.

Quel bambino oggi ha 47 anni, ha viaggiato molto, ma ancora non ha visto quella luce: l’Aurora Boreale. Non ha dimenticato il suo orso e conserva ancora tutti i suoi libri; sono ingialliti, segnati dal tempo ma sono lì, nella libreria come preziosi codici miniati. 

E non ha dimenticato quel pomeriggio di tanto, tanto tempo fa quando disse: “mamma, un giorno anche io andrò al Polo Nord a vedere l’Aurora Boreale!”. E’ tempo di mantenere quella promessa

26 gennaio 2014, ore 18.00, quaranta anni dopo, è tutto pronto per affrontare la “notte polare” e riprendere l’aurora boreale. All’ingresso di casa, due grandi bauli MUB 75 stracolmi di abbigliamento tecnico da escursionismo in alta quota, attrezzature fotografiche e subacquee, e due grandi zaini. Destinazione Norvegia, Isole Lofoten e Vesteralen. Arrivo ad Oslo via Copenaghen il 27 sera. Ripartenza il giorno dopo ed arrivo nel primo pomeriggio a Svolvær nelle Isole Lofoten, con scalo a Bodø. Poi, dal 1 al 5 febbraio ancora più a nord, ad Andenes, estremità settentrionale delle Isole Vesteralen, 500 chilometri dentro il circolo polare artico: Latitudine: 69°19'13''. Dieci giorni immersi nel “grande nord”. Non dovremmo trovare condizioni di freddo estremo, poiché le isole del nord hanno un clima più temperato dell’interno e del sud della Norvegia; tuttavia, la latitudine, le poche ore di luce ed il sole sempre basso all’orizzonte ci costringono a prepararci al gelo.

 

27 gennaio ore 12.00, aeroporto di Fiumicino: il gruppo lentamente si riunisce, tre componenti da Napoli, tre da Roma. Ne manca solo uno che parte da Milano, lo intercetteremo a Copenaghen. Davanti al banco della Scandinavian Airlines c’è una tale quantità di bagaglio speciale da imbarcare che sembra la spedizione di Umberto Nobile del 1926. All’arrivo in Danimarca, ci accoglie una spiacevole notizia: la nostra coincidenza per Oslo è stata cancellata; c’è un altro aereo in partenza alle 20.45. Al banco della SAS per cambiare i biglietti incontriamo Claudio. Ora il gruppo è al completo. Arriviamo ad Oslo verso le 23 e data l’ora non attendiamo la navetta, ma prendiamo un Van fino al vicino Confort Runaway Hotel, una moderna struttura di legno scuro dal design essenziale immersa in una densa coltre di candida neve. Fa molto freddo, nevica. Prendiamo possesso delle stanze e scendiamo a mangiare l’unica cosa che è rimasta alla Lounge del piano terra: pane e burro salato danese. Ottimo e soprattutto gratis. Innaffiamo tutto con della corposa birra norvegese. Verso mezzanotte andiamo a dormire. Ci attende un’altra giornata di viaggio.

28 gennaio, ore 6.00 Dopo un abbondante colazione, alle 7 prendiamo la navetta per il vicino aeroporto. E’ buio pesto e nevica leggermente. Imbarcati i bagagli, passati controlli, andiamo verso l’uscita di imbarco del nostro volo per Bodø. Di li, abbiamo una coincidenza brevissima. Giusto il tempo di arrivare nel piccolo aeroporto che ci imbarchiamo su un piccolo aereo ad elica della Wideroe Airlines per Svolvær. Sbrigate le solite formalità di imbarco, il piccolo velivolo decolla. Bodø dall’alto è bellissima. Non possiamo definirla una città secondo i nostri canoni, piuttosto un grande villaggio costituito per lo più da basse casette di legno colorate illuminate da una meravigliosa luce radente e morbida che conferisce a tutto il paesaggio dei toni quasi fiabeschi. L’aereo sorvola il braccio di mare tra la costa norvegese e le Isole Lofoten ed in poco tempo atterra a Svolvær.

Ad attenderci, le nostre guide, due simpatici ragazzi italiani che si sono innamorati delle Lofoten e vi si sono trasferiti circa 7 anni fa: Claudia e Maurizio.  Con il loro Van andiamo a Svinøya, un isolotto dove un tempo si lavoravano i merluzzi. Oggi è rimasta solo una fabbrica di stoccafisso ed è stato costruito un fantastico villaggio di casette rosse a palafitta sul mare: il Svinøya Rorbuer Base Camp. Un grande ponte collega la piccola isoletta al paese di Svolvær. Due di questa casette sono riservate a noi. Sono davvero incantevoli. In stile tradizionale, tutte di legno, non mancano di nulla. Due piani con tre camere da letto, due bagni di cui uno con sauna finlandese, due soggiorni ed un ampia veranda che sia affaccia direttamente sulla baia. Ci dividiamo in due gruppi: io, Anna, Pino e Gloria in una, Sergio, Marco e Claudio nell’altra. Andiamo al supermercato a fare un po’ di provviste e poi ci concediamo un po’ di riposo. Siamo in viaggio da quasi due giorni. Io mi apro una birra e me la sorseggio sul divano del soggiorno al pian terreno, davanti ad un grande finestrone che affaccia sulla baia di Svinøya. La luce morbida del tramonto, il silenzio rotto solo dallo stridio dei gabbiani e da un nutrito stormo di oche di mare, forse Ededroni, mi fanno lentamente addormentare fino alle 19.00.

E’ ormai ora di cena. Sono le 20.40, stiamo sorseggiando un espresso (ci siamo portati caffè e due caffettiere dall’Italia) quando bussano alla porta. Sono Maurizio e Claudia in anticipo di quasi mezz’ora. “Ragazzi, sbrigatevi…stasera è una serata eccezionale, abbiamo una bella bolla arancione proprio sopra le Lofoten”. Ci mostrano il loro Smartphone con una app. particolare: “Norway Lights” E’ un programma che fornisce previsioni accurate e dati in tempo reale sull’aurora boreale norvegese; lo scaricheremo, poi, anche noi sui nostri cellulari. Non ci facciamo pregare più di tanto. Ci prepariamo per resistere al gelo notturno: scaldacollo di pile, guanti, cappello di Tinsulate, giacconi; prendiamo i cavalletti, macchine fotografiche e saliamo sul Van. L’aurora è già sopra di noi e disegna un lungo serpente verde nel cielo terso e stellato. Percorriamo piccole strade di campagna, sentieri semideserti, fino ad una altura sopra un fiordo dove c’è sufficiente buio. Inizia la nostra prima esperienza con la “green light” ed i primi esperimenti fotografici. Piazziamo i tripodi, ci montiamo le macchine sopra assicurandoci che siano ben saldi nel terreno ghiacciato. Ci orientiamo con un diaframma tutto aperto, 25/30 secondi di esposizione e 800 ISO che riusciremo spesso a ridurre anche a 200. Le prime foto, le prime magiche scie della luce del nord catturata dai sensori delle nostre Reflex. E’ una notte indimenticabile, cui ne seguiranno tante davvero eccezionali. Ma la prima volta che vedi l’aurora boreale non la dimentichi più. Solo ora comprendo la tua sorpresa mio vecchio amico orso, i tuoi occhi lucidi di gioia mirabilmente disegnati da Vilhelm Hansen. Adesso quel bambino è sulla Mary, al polo nord, incapace persino di parlare, intrappolato in un’emozione senza tempo, come la figura indelebile di una vecchia fotografia degli anni settanta. Ci spostiamo in altri posti conosciuti dalle nostre guide, che inseguono l’aurora come segugi la selvaggina. E lei, la luce del nord, con il passare delle ore ci regala spettacoli sempre più intensi. E’ viva, ora si allarga come un nastro sfrangiato nelle mani di una ginnasta, ora ondeggia come un grande serpente sinuoso. Non sento più nemmeno la morsa gelida della notte, come se questa luce fredda ed altera potesse in qualche modo scaldarmi. E’ notte fonda e non siamo ancora stanchi di questo spettacolo. Tuttavia, l’indomani ci attendono spettacoli diversi ed altrettanto entusiasmanti, dovendo anche sfruttare al meglio le poche ore di luce. Così verso l’una torniamo alle nostre casette di Svinøya.

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29 gennaio. L’alba alle Lofoten è un momento davvero magico. Al nostro risveglio, non possiamo fare a meno di indossare i giacconi sul pigiama ed uscire, sfidando la morsa gelida dell’aria di primo mattino, a guardare il sole sorgere dietro le alte montagne, in un incendio macchiato di sfumature di rosa e celeste. L’aria tersa, la luce radente (il sole appare tardi e rimane sempre molto basso in questo periodo dell’anno) conferiscono all’alba dei colori che non ho mai visto in tutta la mia vita ed in nessun posto dove sia stato. E’ singolare ritrovarsi tutti all’aperto, macchine fotografiche in mano, in ciabatte e pigiama, ad osservare silenziosi questo spettacolo, ogni mattina come fosse la prima volta. Come concordato, verso le 9.40, Claudia e Maurizio vengono a prenderci col Van per portarci a visitare le isole. Le strade costiere svelano affascinanti, ed inconsueti per noi, paesaggi di ghiaccio e mare. La riva, dove l’acqua è più bassa, è ghiacciata, a volte un uniforme strato, altre tanti blocchi incastrati l’uno sull’altro a formare una distesa solida. Dove i lastroni si sovrappongono, appaiono strane forme, scolpite dal vento e dall’acqua che li scava dall’interno. Il paesaggio è quasi lunare, lungo la strada non appaiono che minuscoli villaggi, fattorie o isolate case di pescatori e qualche faro. Il silenzio è padrone, rotto solo dal rumore del vento o dallo stridio di, gabbiani, oche, aquile e cormorani. Alte cime scure in parte ricoperte di neve e ghiaccio incombono su spiagge di sassi neri e lastroni di ghiaccio semi galleggianti. Difficile dire dove finisca il mare e inizi la terra ferma, tutto si mescola, si incastra in un’atmosfera cupa e gelida. Ci fermiamo spesso a fotografare, arrischiandoci in questi scivolosissimi spazi dominati dal muschio e dai licheni, che sopravvivono al gelo artico, fino al confine col mare. Tutto sembra fuori della portata dell’uomo e della civiltà. Claudia e Maurizio aspettano con grande pazienza tutto il tempo che trascorriamo ad imprimere avidamente questi paesaggi selvaggi nei nostri occhi e nelle nostre schede fotografiche; tanti luoghi che rimarranno nella nostra memoria: Vinje, Vestfjord, Haukland, Kabelvåg, Henningsvaer. La giornata passa velocemente a queste latitudini, l’oscurità arriva presto e verso le 16.30 siamo di rientro al campo base. Ci attende un po’ di riposo, nelle nostre confortevoli casette sull’acqua ad ammirare la baia di Svolvaer e stormi di oche in perenne giostra sull’acqua, prima di cena e prima di uscire nuovamente a caccia di aurore.

30 gennaio. La giornata di oggi sarà molto intensa. Il tempo è buono, c’è un tiepido sole. Ci fermiamo ai bordi di una lunghissima strada rettilinea che si dirige verso alcune montagne altissime. Sul lato sinistro, un torrente completamente ghiacciato; poi quello che sembra essere un laghetto ghiacciato su cui hanno montato un campo da Hockey; oltre, ghiaccio a perdita d’occhio, ma non è facile capire se si tratta di mare o di un grande lago. Ci attardiamo a fotografare prima di riprendere la strada.  Siamo diretti nei pressi di un piccolo villaggio sull’isola Gimsøy, dove c’è una chiesa del 1876, la Gimsøy kirke. Nel comune di Vågan nella contea di Nordland, la chiesa è di legno bianco con un piccolo cimitero adiacente, schiacciata tra il mare da un lato e un'alta montagna dall’altro. Alcune tombe del cimitero attirano la mia attenzione: tre sepolture una adiacente all’altra, a formare un unico monumento funebre cinto da una catena. Tre uomini: Peder B.J. Bendiksen, Arthur K. Bendiksen, Harald Hansen. Tre date di morte identiche: 20.1.1934. Trattandosi di un cimitero per lo più di marinai e pescatori, suppongo che si tratti di tre sfortunati uomini uniti da un medesimo tragico destino: un naufragio. E’ passata ora di pranzo e ci dirigiamo verso l’incantevole villaggio di pescatori di Henningsvær, dove compriamo qualche oggetto ricordo e mangiamo un boccone in una locanda. Come ultima meta dell’escursione giornaliera, ci dirigiamo verso Kabelvåg, un delizioso villaggio ai piedi di una alta montagna. Saliamo sulla parte alta della città, un dirupo dove campeggia, come un nume tutelare, la statua del Re Øystein e dal quale si può osservare tutto il villaggio ed un panorama mozzafiato del fiordo antistante. Da una vicina scuola arriva il vociare gioioso di bambini che giocano all’aperto, nel vicino bosco, con le maestre. Attraverso stradine sterrate, costeggiate da casette di legno colorate arriviamo ad uno spiazzo dove lasciamo il Van. Ci addentriamo in un boschetto fino ad arrivare ad un’altra altura che guarda su una scoscesa scogliera. E’ la sorpresa finale di Claudia e Maurizio: un tramonto infuocato di quelli che non di dimenticano più. Il sole morente incendia alcuni isolotti ed un faro al largo, parzialmente ricoperti di neve e ghiaccio. Dopo una buona cena ed un caffè, ci prepariamo all’ultima escursione notturna. Come consueto, usciamo alle 21.00. Stasera andremo a caccia di aurore boreali in un posto davvero inconsueto: un meraviglioso lago ghiacciato nei pressi di Svolvær. Indossati i rampini per non scivolare sul ghiaccio, arriviamo fino al centro del lago dove montiamo le attrezzature fotografiche. Il ghiaccio è spesso quasi mezzo metro ed è sicuro, ma di tanto in tanto sentiamo degli inquietanti boati, dovuti ai lastroni di ghiaccio che si impattano sotto la superficie. Secondo il Nothern light forecast la serata non è eccezionale e non ci sono alte probabilità di vedere una bella Aurora; per di più, il cielo si annuvola rendendo quasi nulle le nostre chances. Così, dopo un’ora passata ad osservare le montagne e le belle casette illuminate ai bordi del lago, ce ne andiamo in un fantastico Pub a due piani a bere una birra. 

31 gennaio. Abbiamo prenotato il giorno prima un’escursione nei fiordi vicino Svolvær per vedere le aquile artiche in caccia. L’appuntamento è alle 12.00 alla sede della “Lofoten Explorer”. Prima di recarci li, andiamo a visitare la L. Bergs Sønner A/S, la vecchia fabbrica di Stoccafisso che sta a duecento metri dal nostro villaggio, giù a Svinøya. La sede della Lofoten Explorer è al n°2 di Gunnar Bergs vei. Facile da trovare, essendo Svolvaer molto piccola. Basta recarsi nella piazza principale e andare sul molo a sinistra. Vedrete quasi subito i RIB per il Sea Eagle Safari in bella mostra sulla banchina. La prima cosa da fare è scegliere la tuta termica, mascherina e guanti polari. Il vento gelido dei fiordi e la velocità del RIB renderebbero la gita una sofferenza senza la dovuta protezione. Le aquile non bisogna cercarle a lungo, ce ne sono molte; si vedono volteggiare nel cielo in cerca di una preda in acqua oppure appollaiate sulle rocce a strapiombo sul mare o anche sulla riva, magari intente a mangiare la preda catturata. Avvistato un gruppo di esemplari, il RIB si ferma, lancia dei pesci in acqua e attende lasciandoci il compito di osservare e fotografare. Le aquile sono molto diffidenti e molto… molto veloci. Quindi, bisogna essere pronti per quando decideranno di avventarsi sulla preda; lo fanno ad una velocità e con una precisione incredibile. Scattare buone foto dipende spesso dalla fortuna e da una raffica veloce con tempi di scatto a prova di proiettile. La gita prevede l’osservazione delle aquile ed un giro in tutto il locale fiordo. Ci entusiasmano così tanto le aquile che decidiamo di rimanere tutto il tempo con loro, rinunciando alla visita del fiordo. Cambiamo spesso posto, le aquile sembrano poco ricettive al cibo, forse hanno già cacciato e sono sazie, ma riusciamo comunque a vederne tante e ad immortalare la loro incredibile tecnica di pesca. Torniamo a terra infreddoliti e affamati, ma appagati; andiamo a mangiare un boccone in un vicino buffet. Passiamo al supermercato per organizzare la cena e torniamo a casa, percorrendo il lungo ponte per Svinøya. Saremo di ritorno per le 17.00.Il resto della giornata lo trascorreremo a riposarci e preparare i bagagli. Domani lasceremo le Lofoten per Andenes nelle isole Vesteralen.

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1 febbraio ore 7.00. E’ ancora buio. Maurizio e Claudia sono venuti con il Van per accompagnarci ad Andenes, estremo nord delle isole Vesteralen. Dopo una quarantina di minuti di auto, ci imbarchiamo su un traghetto per una traversata di una quarantina di minuti. Siamo alle Vesteralen, salendo sempre più a nord. Dopo alcune soste, arriviamo ad Andenes al Safari Brygga di Marten Bril. Il lodge è molto curato e tutto al suo interno ricorda il mare: grandi foto di Orche, Aquile artiche, Megattere, Pulcinella, Sule fanno bella mostra sulle pareti; gli scaffali, pieni di libri di uguale contenuto: carte nautiche, cimeli di navi etc. L’atmosfera è tranquilla e cordiale. Una giovane ragazza bionda sta trafficando in cucina. Ci consegnano le stanze: tre al primo piano e una al pian terreno. A noi tocca la “Orca”: grande e confortevole. In breve sistemiamo tutto e scandiamo al pian terreno attraverso la piccola scala di legno. E’ arrivato anche Marten, un gigante norvegese di quasi due metri e largo come una vecchia quercia. Dicono che sia il migliore in assoluto a cui affidarsi per andare in cerca di Orche e Balene. Velista e fotografo di gran fama, è coadiuvato da molti giovani ricercatori di tanti paesi, per sessioni di studio sui cetacei. Il lodge è un via vai di appassionati fotografi e naturalisti, ma non c’è mai stato tanto chiasso e confusione da quando siamo arrivati noi. Al punto che la ragazza ci chiede preoccupata se siamo scontenti di qualcosa e tocca spiegargli che va tutto bene ed è solo il nostro modo di “essere”. Marten ci annuncia che all’una usciremo per un primo giro di ricognizione nel fiordo e di cominciare ad andare nel deposito spogliatoio a scegliere la tuta termica e gli accessori. Prendo la macchina fotografica e preparo il setting per quelli che saranno bersagli grandi ma sfuggenti e veloci: scatto continuo sulla massima velocità di raffica (H), esposizione in modalità a priorità dei tempi e ISO 400 per iniziare. Poi si vedrà in base alla luce. Porto anche la batteria di riserva; con questo freddo e lo scatto continuo, le batterie si esauriscono velocemente. Ad Anna il compito di fare videoriprese. Provo una tuta termica L che mi va a pennello, prendo una mascherina, un paio di guanti ed il piccolo giubbotto salvagente a ferro di cavallo che è obbligatorio indossare. Sono pronto per il mare. All’una precisa, si va verso il vicinissimo molo di imbarco sui veloci RIB. Insieme a noi ci sono due enormi fratelli norvegesi armati di “cannoni” fotografici avvolti in plastiche protettive che scoprirò essere molto utili. Appena fuori del porto, lasciato l’alto faro rosso sulla nostra sinistra cominciamo ad avvistare le prime balene. Sono megattere. Non sono in caccia, si stanno spostando e, dunque, le si vede affiorare per poco e, poi, sparire alla vista. Trascorrono pochissimi minuti ed incontriamo i primi gruppi di Orche. Anche queste sembrano in trasferimento e corrono veloci. Tocca a noi inseguirle, tagliargli la strada per fotografarle da vicino. L’inseguimento dura quasi due ore, nelle quali incontriamo altre balene e tante Orche divise in piccoli gruppi di 5 - 10 esemplari. Come primo giorno possiamo dirci soddisfatti. Il sole è ormai molto basso sull’orizzonte e decora le alte montagne con delicate sfumature pastello. E’ tempo di rientrare nel porto di Andenes. La sera, prenotiamo per le 19 in uno dei due ristoranti aperti, nelle adiacenze del faro: il Riggen. Portiamo con noi l’attrezzatura fotografica per la sera. Non appena li, notiamo che un altro gruppo, tra cui alcuni italiani, discute concitatamente ed esce sul terrazzo che affaccia sul faro. Notiamo che c’è un attività in cielo che ancora non avevamo avuto la fortuna di vedere nemmeno alle Lofoten: un lungo serpentone verde impazza sul faro e su tutto il molo. Avvisiamo la proprietaria del ristorante che usciamo a fotografare e saremo di ritorno verso le 20. Lei sembra non capire bene l’inglese, ma sorride: forse ha capito cosa succede e ci è abituata. La luce del Nord è davvero pazzesca questa notte, esplode in mille strisce proprio sopra il faro regalandoci degli scatti fantastici. La cena la consumeremo con notevole ritardo e a piccoli gruppi. Il richiamo della “green light” è troppo forte. L’aurora non accenna a diminuire con il passare delle ore, intensificandosi proprio sulle nostre teste al Brygga. E’ una notte indimenticabile, dormiremo pochissimo.

2 febbraio. A conferma della imprevedibilità del tempo e del mare a queste latitudini, ci alziamo con un tempo pessimo. I collaboratori di Marten ci annunciano che c’è troppo vento che spira dalla parte “sbagliata”, troppo pericoloso per uscire. Chiediamo se in zona c’è qualcosa da poter visitare e ci dicono che c’è una fattoria Sami dove allevano renne ad un’ora di auto. Così gli chiediamo di avvisarli del nostro arrivo e di prenotarci il noleggio di un Van. Lungo il tragitto avvistiamo in riva al mare, in fondo ad un viottolo sterrato, una piccola chiesa a pianta esagonale, di legno bianco con un tetto di tipiche tegole di pietra grigio scuro. Ci fermiamo una mezz’ora a fotografare. Finalmente arriviamo alla fattoria Inga Sami Siidaa Kvalsaukan, nei pressi di Sortland. Dalla collina scende con un moderno Quad ad accoglierci il fattore in abiti tradizionali Sami. Ci intrattiene in una capanna Sami dove seduti su pelli di renna sorseggiamo un orribile tè. Dopo averci parlato delle renne e del metodo di allevamento, Arild ci conduce ai pascoli dove osserviamo gli enormi animali intenti a brucare. Sta scendendo l’oscurità e torniamo alla fattoria. Salutato il padrone, andiamo a mangiare un boccone in una vicina stazione di benzina. Siamo di ritorno ad Andenes per le 17.30. Avendo a disposizione il Van fino alla mattina seguente, la sera andiamo a cercare l’aurora boreale in un vicino lago di montagna di cui abbiamo visto le foto al Brygga. Lo troviamo, ma è quasi impossibile nell’oscurità impenetrabile trovare una via per arrivare dalla strada alla riva e l’aurora sembra essere in tutt’altra parte. Così, torniamo in paese nei pressi del faro dove mangiamo un boccone al Riggen e ammiriamo una Green light meno brillante delle prime due sere.

3 febbraio. Giornata infruttuosa. Stamane si può uscire, ma il cielo è scuro, il mare è mosso. Cerchiamo le orche e le balene per più di due ore, fino all’altro lato del fiordo innevato. Niente. Solo tanto freddo. Abbiamo paura di avere perso la stagione delle sardine e che i cetacei si siano spostati altrove. Riusciamo comunque a fare belle fotografie al paesaggio, ai fari ed ai pittoreschi pescherecci sempre oscurati da stormi di gabbiani affamati che li seguono. Tornati al Brygga, ci scaldiamo con la consueta zuppa di pomodoro e crostini. Rinuncio al riposo e vado con Marco in giro per la rada. Mi hanno detto che è facile incontrare gli Ededroni, le oche di mare, un coloratissimo uccello dallo sgargiante piumaggio. Infatti, non fatichiamo molto a trovarle. Su una spiaggetta a pochi metri dal Brygga ci sono due esemplari molto socievoli che si lasciano fotografare a lungo prima di riprendere il mare infastiditi dalla nostra insistenza. Continuiamo il giro al faro e poi sul lungo mare dove troviamo i resti di un aquila artica ed una balena, forse un capodoglio. Cerchiamo di avvistare le foche brune che ci hanno detto nuotare spesso sulla riva a sinistra del faro, ma non ne vediamo. Il tardo pomeriggio, lo dedichiamo ad un giro per Andenes, prima di cenare in una locanda dalla meravigliosa atmosfera marinaresca. Assaggio lo stufato di renna: superbo. 

4 febbraio. Terza uscita in mare, secondo buco nell’acqua. Non vediamo nulla nonostante Marten cerchi disperatamente fin dentro gli angoli più remoti del fiordo. Tanto vento e gelo. Molto scoraggiati, ci consoliamo con la zuppa. Oggi era l’ultimo giorno di permanenza ad Andenes. Domani, verso le 17 dovremo iniziare il lungo viaggio di rientro, previsto per la sera del 6. Il pomeriggio andiamo a comprare qualche souvenir qua e là, nei pochissimi negozi aperti. Ceniamo in un pub del villaggio e torniamo al Brygga.

5 febbraio. Come se Andenes non volesse farci partire delusi, al contrario dei due giorni precedenti questo è uno di quelli che non si dimenticano per tutta la vita. Marten viene presto al Brygga accogliendoci con: “Ok guys…today it’s a very very lucky day. They call me on the radio: many Whales and Orcas just few minutes out of the harbor. We go”. Il cielo è terso, il mare sembra essersi del tutto calmato. Si esce subito. Siamo euforici! Non appena fuori del porto, appaiono degli sbuffi: le prime orche. Vedo Marten dirigersi deciso verso un motoscafo d’altura fermo al largo e intuisco il perché: è la BBC che sta girando un film sulle orche. Sono sopra un banco enorme di sardine sotto il quale diverse balene sono in agguato ed un gruppo di Orche si prepara a rimpinzarsi. Hanno bombole e scooter; per noi invece è difficile. Marten dice che c’è troppa corrente ed è pericoloso buttarsi. Il mare ribolle delle sardine impazzite, delle enormi bolle delle megattere e del nuoto delle orche in totale frenesia. Ad un tratto un enorme sbuffo e vediamo a meno di dieci metri da noi ergersi, come un grattacielo, l’enorme muso di una Humpback Whale, una bocca enorme spalancata su un gruppo di argentee sardine, che saltano nel disperato tentativo di scampare a quella voragine animale. L’enorme corpo ricade pesantemente in mare sollevando spruzzi ed un onda che investe il nostro RIB. Gli attacchi delle orche sono più rapidi ed orizzontali, lavorano in gruppo. Ci spostiamo spesso, alla ricerca di questo tipo di situazioni. Oggi ci sono le sardine, che sembravano sparite negli ultimi giorni. Basta seguire il volo degli uccelli per trovare il banco e i cacciatori in agguato nelle profondità. Oggi è davvero una giornata di grazia, impensabile dopo i fallimenti degli ultimi 3 giorni. Arriva persino un’enorme Blue Fin Whale. Quello che purtroppo guasta è che siamo fuori del canale dove solitamente si concentrano i banchi di sardine e quindi dove questi bestioni si nutrono. Siamo spostati più al largo, verso il centro del fiordo. La presenza di corrente forte rende prudente Marten che farà fare un solo salto, di brevissima durata verso la fine della giornata, quasi a ridosso del porto di Andenes. Se qualcosa è mancato un po’ è il contatto subacqueo con orche e balene. Siamo consapevoli, che ci vuole tanta, tanta fortuna e che tali contatti sono spesso fugaci. Siamo consapevoli di essere stati testimoni di uno spettacolo della natura incredibile, di quelli che non si dimenticano mai, quando ormai non ci speravamo più ed eravamo rassegnati ad andar via senza essere pienamente soddisfatti di questo aspetto del viaggio. Rientriamo in porto felici come bambini a Gardaland. E’ che oggi sia una giornata di grazia ce lo conferma Marten che grida: “Guys…. guys look over there, sea eagle on your left”. Una gigantesca Aquila sta immobile sopra un alto palo di legno infisso nell’acqua, uno di quelli che servono da attracco rapido. Si gode il tiepido sole immobile e si lascia fotografare tranquillamente: un autentico miracolo dopo le sfuggenti Aquile viste alle Lofoten. Ci scaldiamo con la zuppa che oggi sembra essere più gustosa. Cominciamo ad esaminare le centinaia di foto scattate con raffiche in high mode, avidamente. Anche Marten è felice, consapevole di averci regalato una giornata superlativa: la sua Andenes non si è smentita. 

E’ tempo di organizzare il rientro. Saliamo nelle nostre stanze a assemblare i bagagli che, come consueto, non ne vogliono sapere di chiudersi. Smonto la piccola stazione di ricarica batterie, rimetto a posto l’attrezzatura fotografica e video per passare al bagaglio vestiario. Tutto il bagaglio è adesso nell’ingresso del Brygga. Sono le 16.45, Marten ed una simpatica ospite norvegese del lodge ci accompagnano al vicino aeroporto di Andenes con un’enorme Van nero. L’aeroporto è minuscolo. Ci siamo solo noi. Alle 17.45 attraversiamo la pista per salire sul piccolo bimotore ad elica della Wideroe. Arriviamo a Bodø alle 18.40, il tempo di scendere che ci imbarchiamo su un volo SAS delle 19.00 per Oslo. Recuperati i bagagli, mangiamo un boccone veloce. Sono le 22, c’è nebbia e tanta neve. Torniamo all’albergo che ci ha ospitato il 27 gennaio, il Confort Runaway Hotel.

6 febbraio. Rientro in Italia. Sveglia alle 6.00, colazione col buio pesto. Alle 7.15 c’è la navetta per l’aeroporto. Abbiamo un volo per Copenaghen alle 9.15. Salutiamo Claudio che è diretto a Milano, parte con un altro volo più tardi, e ci imbarchiamo. Arriviamo a Copenaghen alle 10.20, orario previsto, e ci reimbarchiamo per Roma alle 11.30 per arrivare a Roma alle 14.00. Ritirati i bagagli, è il momento del commiato. Alcuni di noi (Pino, Gloria e Marco) sono arrivati, mentre per me, Anna e Sergio il viaggio non è ancora finito: dobbiamo arrivare a Napoli.

EPILOGO

Il mio racconto termina qui. Ringrazio tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggere e condividere questa appassionante avventura con me. Il “bambino” ora è felice, in pace. Quella storia illustrata può essere chiusa senza rimpianti, in attesa di scrivere un nuovo capitolo del libro che è la vita di ciascuno di noi. 

 

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