L'IPOGEO DEI CRISTALLINI

All’epoca della Neapolis greca, i morti venivano seppelliti in apposite zone o necropoli fuori dalle mure cittadine.  Queste zone di sepoltura ricadevano a nord della polis, più meno nell’area oggi occupata dal popoloso quartiere dei Vergini, dove soprattutto a partire dal IV secolo a.C. furono scavate tombe sotterranee. L’ipogeo cosiddetto dei “Cristallini”, dal nome della strada dove è ubicato, è una spettacolare testimonianza arrivata fino a noi di quel mondo lontano, eppure culturalmente ancora così vicino. L’eccezionale stato di conservazione delle tombe e delle decorazioni fa sì che scendere in questo ipogeo sia come fare un viaggio indietro nel tempo di 2300 anni, al tempo in cui la città greca aveva perso la sua indipendenza ed era passata sotto il dominio romano nel 326 a.C. Le tombe risalgono, infatti, al periodo tra fine IV e inizi del III sec. a.C.; furono certamente fatte costruire da famiglie altolocate. Le nicchie scavate nelle pareti per accogliere le urne cinerarie suggeriscono che le tombe furono usate fino ad epoca imperiale, poiché fu in quegli anni cambiò il rituale funerario, passando dalla inumazione alla cremazione dei cadaveri.

L’ Ipogeo dei Cristallini fu trovato per caso nel 1889 dall’allora proprietario Barone di Donato, scavando un pozzo nel giardino del palazzo che era sorto sopra le tombe. Attualmente appartiene a Giampiero Martuscelli, un erede del Barone.

Oggi all’Ipogeo si accede dal cortile del palazzo ubicato al civico 133 di via dei Cristallini.

Il complesso dell’Ipogeo di via dei Cristallini è costituito da quattro tombe (A, B, C, D) a doppia camera, superiore e inferiore, scavate nel tufo, ciascuna con ingresso indipendente. La camera superiore, il vestibolo, serviva per adempiere ai riti funebri che prevedevano la sepoltura, seguita da offerte come cibo, bevande e oggetti personali, per aiutare il defunto nel viaggio nell'aldilà. Dal vestibolo mediante una scala si accedeva alla camera inferiore, normalmente chiusa da una pesante lastra, che accoglieva i corpi dei defunti. I corpi erano deposti nei Klinai, sarcofagi scavati nel tufo.

Due di questi monumenti funerari, A e C (particolarmente la tomba C), conservano decorazioni ancora brillanti dopo oltre due millenni ed quello che colpisce qualunque visitatore, anche il più smaliziato, che visiti l’ipogeo. La freschezza delle decorazioni fornisce la sensazione che sia passato poco tempo dalla sua chiusura.  A partire dal 2003 sono state svolte analisi per comprendere quali pigmenti fossero stati usati al fine di poter meglio conservare le decorazioni. Oggi i curatori dell’ipogeo sono a conoscenza della composizione di quasi tutti i pigmenti utilizzati; ad esempio, dalla cosiddetta “fritta d’Alessandria”, noto come” blu egizio”, si ricavavano i blu, gli azzurri, il verde utilizzato nei festoni a fogliame della base dei sarcofagi. I rossi sono ottenuti dalla ocra rossa: lo vediamo nelle fasce di un rosso brillante dei cuscini delle tombe. Il giallo dall’ocra gialla, pigmento usato fin dalla preistoria. I neri sono ottenuti dalla calcinazione delle ossa. Il bianco è ottenuto dalla calcite. Molti di questi pigmenti erano usati anche nella cosmesi.

Non solo la freschezza dei colori, ma anche le incisioni ci danno la sensazione di essere noi stessi ad un funerale greco del IV secolo a.c.; toccanti parole di commiato sulle pareti delle camere mortuarie o sulle stele marmoree, come il ricorrente χαιρε (chaire), ciao o addio.

Per approfondimenti, vi consigliamo : Archeologia Viva: L’ipogeo dei cristallini, di Raffaella Bosso (funzionaria del MANN) dal quale sono tratti le notizie tecnico scientifiche

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