IL GIARDINO DI BABUK

Al numero 55 di via Giuseppe Piazzi, una stretta intersecazione della monumentale Via Foria, vi è un antico palazzo cinquecentesco voluto dalla nobile casata dei Caracciolo del Sole e ad essa appartenuto. Il palazzo fin dalle origini aveva una cospicua area verde che costituiva una sorta di prolungamento delle aree boschive di un tempo, in parte oggi occupate dal bosco di Capodimonte. Questo relitto del passato, che ha visto personaggi illustri, intrighi politici, amori, tradimenti, omicidi è un vero miracolo. Come disse Totò in un celebre film di Monicelli: “a Napoli campiamo solo di miracoli”. E così, negli anni ’50 la società di costruzione Snicer, che progettava di elevare in loco una palazzina di ben sette piani, fallì prima di mettere in atto il progetto. A buon rendere San Gennaro! A partire da quegli anni, il giardino fu trasformato in una discarica per materiali di risulta ed altra spazzatura, tanto da fare dimenticare della sua esistenza. 

In tempi più recenti, un professore della Federico II, Gennaro Olivieri, che è anche uno dei massimi esperti dello scrittore Marcel Proust, si interessò a questo ameno luogo che sembrava tutto tranne quello che fosse in realtà. Con grande fatica e dispendio di denaro, lo fece pian piano liberare del tanto materiale che qui si era accumulato. Certi luoghi sembrano avere il potere di attrarre le persone che con quei luoghi hanno forti affinità. E così, alla fine quello che sembrava uno spazio angusto, occultato da una inestricabile coltre di erbacce e pieno di rifiuti, si rivelò essere un meraviglioso e vasto giardino, con una ricca varietà di specie vegetali: alberi di limone, banani, fioriti rampicanti e, al centro, un vecchio faggio che si stima del XIV secolo. Un’oasi in cui rifugiarsi, perdersi, sognare, elaborare idee. Oggi il professore e il suo giardino sono un tutt’uno: il primo il nume tutelare, il secondo la sua emanazione geo vegetale.


Il giardino è un luogo dell’anima, carico di energia, non solo per il suo mentore, ma per tutti quelli che ci passano: anfratti, grotticelle, pezzi di statue, pergolati, vasche zeppe di grandi tartarughe e…. gatti, tanti gatti ma sempre in numero fisso: 19. Il numero karmico 19 è associato a una vita precedente caratterizzata sia da ruoli di comando che da azioni coraggiose, ma si distingue anche per una forte ambivalenza. Diciannove sono gli anni vissuti dal gatto Babuk a cui è intitolato il giardino. Babuk era un gatto turco, di Istanbul per la precisione. Chi fosse Babuk, come e perché fosse arrivato a Napoli …beh fatevelo raccontare dal Professore. Quando andrete li, vi accoglierà nel suo giardino, intrattenendovi con aneddoti che solo lui può ed ha il diritto di raccontare; vi racconterà del macabro ritrovamento legato all’invasione francese del 1799 col generale Championnet. Vi farà soprattutto vedere il monumento funebre di Babuk, al cui interno riposano i suoi resti. 

Noi adesso vi racconteremo di un’altra meraviglia nascosta di questo luogo e che sta proprio sotto il giardino, nelle viscere della terra: una cavità naturale composta da quattro caverne collegate da cunicoli.

Il professore Oliviero ci ha raccontato che fu chiamato dalle persone che gli stavano sgombrando e pulendo l’area. Stavano lavorando in una sorta di cantina, cui si accedeva da una porticina sul lato ovest del giardino, quando si sono accorti che c’era una lunga e profonda scalinata che scendeva in profondità nell’oscurità. Quando scesero con le torce a vedere, la sorpresa fu immensa: lunghe rampe di scale tagliate nel tufo che conducevano in una grandissima caverna e, lungo la discesa, statue, edicole votive, strani simboli incisi nella roccia che sembravano alludere a riti esoterici e confraternite segrete. 

L’ipogeo non è stato tutto completamente ripulito ed esplorato; è assai probabile che possa essere molto più vasto di quello che si vede oggi e che riservi ulteriori sorprese. Certamente, questo ipogeo era un tempo parte della cisterna dell’acqua ad uso del palazzo, cosa comune a tutti i palazzi del centro antico di Napoli. Sicuramente, fu utilizzato come ricovero antiaereo negli anni della guerra; sono rimasti segni evidenti come graffiti e un vecchio impianto elettrico con i caratteristici isolatori di porcellana. Tra la tanta spazzatura che è finità laggiù, 50 metri sotto il livello stradale, ci sono tanti oggetti del passato, anche recente, degni di interesse: tante “riggiole” (mattonelle) colorate, un elmetto dell’esercito italiano della guerra, vecchie caffettiere, un cruscotto di una Fiat 600, giocattoli anni ’40, vecchie bottiglie Fanta, Coca cola etc. 

Tuttavia, la suggestione più grande è costituita dai tanti segni arcani incisi nella roccia. Simboli esoterici, alchemici, percorsi iniziatici? In tempi antichi, questo era probabilmente anche un luogo di riunioni segrete, lontano da orecchie e occhi indiscreti, nel buio ovattato delle viscere della terra, in contatto con le forze e gli elementi vitali.

Proprio gli ipogei hanno contribuito a creare quell’alone di mistero che da sempre caratterizza la città di Napoli, una città nata da leggende e miti che ancora oggi resistono. Le sue origini greche, i riti orfico-dionisiaci e il culto isiaco, coltivato da una nutrita colonia alessandrina, hanno permeato la cultura esoterica ed ermetica di Napoli. Il simbolismo della scuola pitagorica e la onnipresente cabala, legata alla presenza nel medioevo di una comunità ebraica, fanno parte integrante del bagaglio culturale cittadino. Non sono favole per creduloni o amanti del brivido. Qui sono nati o sono passati personaggi del calibro di Giovanni della Porta con la sua Accademia dei Segreti, Giordano Bruno, Luigi d’Aquino di Caramanico, Alessandro Conte di Cagliostro, il Principe Raimondo di Sangro, il Barone di Tschudy, il Principe di Palena, il Duca di Capodichino, il Principe Michelangelo Caetani. Questi sono solo i principali personaggi dei molti che animarono i cenacoli ermetisti ed occultisti napoletani. Nel Settecento Napoli divenne uno dei maggiori centri dell’esoterismo europeo ed uno dei luoghi dove gli illuminati si riunivano era l’antica Farmacia degli Incurabili, oggi una delle principali mete turistiche napoletane.

La città è, peraltro, disseminata di simboli esoterici; basta solo aguzzare la vista, alzare lo sguardo, essere curiosi, cercare: il triangolo che racchiude un occhio, la pigna, l’aquila, la piramide, i teschi alati, squadra e compasso, la Stella di David, il Bafometto, la croce patente etc. L’occhio nel triangolo è quello di dio ed il triangolo della Trinità e s’identifica con i tre ideali massonici di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza. La pigna si rifà al culto egizio, rappresenta l’illuminazione e la conoscenza. L’aquila, unico animale in grado di fissare il sole, rappresenta la perfezione. Il teschio alato è un simbolo che unisce due concetti: la mortalità e la trascendenza; simboleggia la fugacità della vita terrena e l'anima che si eleva nell'aldilà. Squadra e compasso è uno dei più noti simboli della massoneria. La piramide è vista come un simbolo di conoscenza esoterica e di iniziazione ai misteri della vita e della morte.  Il simbolo della stella di David è associato al Sigillo di Salomone, un anello con cui il re avrebbe controllato spiriti e demoni. Il Bafometto in ambito alchemico può essere visto come un simbolo della Grande Opera, il processo di trasformazione interiore che porta all'illuminazione e alla realizzazione personale. 

Un simbolo ricorrente nell’ipogeo di Babuk è il triangolo con la croce, simbolo alchemico del fosforo. In alchimia, il fosforo è un simbolo di illuminazione spirituale, di trasformazione interiore e ricerca della conoscenza. L’alchimista Christian Adolph Baldwin nel 1674, alla ricerca dello “spiritus mundi”, aveva riscaldato creta e acido nitrico al calor bianco ottenendo del nitrato di calcio. Il preparato rimasto sul fondo dell’ampolla risplendeva di luce propria nel buio e fu, dunque, chiamato phosphorus, portatore di luce. 


Simboli alchemici, indizi di percorsi iniziatici? Possibile anzi probabile.

La potente famiglia dei Caracciolo del Sole che creò il palazzo ed utilizzò l’ipogeo, era certamente abituata a frequentare quei cenacoli di cui sopra, aperti ai soli iniziati.

Il capostipite dei Caracciolo del Sole fu Cristiano, dominus di S. Chirico in Provincia di Basilicata e ambasciatore di Re Ladislao di Durazzo presso la Santa Sede.

In questo palazzo visse Sergianni Caracciolo, Gran Siniscalco della Regina Giovanna II, detto anche “il re senza titolo” per il grande prestigio di cui godeva presso la Corte angioina. La cosa gli attirò profonde inimicizie, come quella di una potente dama, Donna Covella Ruffo, cugina della regina Giovanna II. Sergianni fu vittima di una congiura e assassinato il 19 agosto 1432. Sembra fosse l’amante della stessa regina, che per qualche oscuro motivo decise di eliminarlo, confiscando anche tutti i suoi beni e imprigionando il figlio Troiano.

Nel 1427, nell’area del monastero di S. Giovanni a Carbonara, sul lato posteriore della chiesa maggiore, appena dietro il monumento funebre a Re Ladislao, Sergianni Caracciolo fece erigere una cappella intitolata alla natività della Vergine e con lo “ius funerandi et inferendi mortuos”. In parole povere, lo "ius funerandi" (diritto di seppellire) collegato allo "ius sepulchri mòrtuum inferèndi” ovvero un Diritto di trasformare il fondo stesso in una res religiosa con la semplice sepoltura del cadavere, senza la necessità di una cerimonia solenne ed ufficiale. In essa, fa evidente mostra di sé il catafalco funebre di Sergianni Caracciolo stesso. La cappella è disseminata di simbolismi e messaggi subliminali, come si usava nel passato, quando spesso si comunicava attraverso luoghi come questi, a tutti ma più spesso a chi era in grado di comprendere. Dalla forma semicircolare costolata ad ottagono, ai soli dorati su fondo rosso dello stemma dei Caracciolo del Sole, agli affreschi (ciclo eremitico e ciclo mariano): tutto nasconde messaggi destinati a pochi. Se volete approfondire, rimando a “Natività della vergine e sapienza esoterica” di Stefano Arcella. 

LA CAPPELLA CARACCIOLO DEL SOLE: CHIESA DI SAN GIOVANNI A CARBONARA

Qui ci premeva solo argomentare come non è affatto sorprendente trovare simboli incisi nell’ipogeo di Babuk, l’ipogeo che fu di Palazzo Caracciolo del Sole. Ed è bello immaginare qui processioni di iniziati scendere con le fiaccole queste scale e compiere antichi riti, mossi da desiderio di potere o di conoscenza, magari di entrambi.

Ma adesso un miagolio lontano ed insistente ci chiama in superficie, alla realtà di oggi.