EX MANICOMIO DI PISTOIA

Ville Sbertoli

testo Giovanni Rossi Filangieri 

foto Giovanni Rossi Filangieri e Lisa Prioreschi

TIPOLOGIA: ex ospedale psichiatrico

STATO DEI LUOGHI: fatiscente

MOTIVO ABBANDONO: dismissione manicomi

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Quando la tua pazzia non desiderata 

Quando la tua pazzia non voluta viene strangolata nelle sbarre della fossa

 Tu da impotente caprone ti trasformi in uomo e l’unico mezzo per farlo

L’unico mezzo per stupire i camici bianchi che ti vogliono curare a fondo 

è quello di rinchiuderti in una pazzia voluta 

e quando vuoi essere pazzo 

nessun camice bianco riuscirà a trarti fuori dalla fossa 

Tu vuoi essere pazzo 

e sarai un beato felice pazzo per tutto il resto della tua vita 

Pazzo.

Ore 3 del 10 settembre 1968  

(scritta su un muro del manicomio di Pistoia)

 


E’ una giornata grigia ed umida, le colline sopra Pistoia sono immerse in una greve caligine. Ci stiamo dirigendo verso Viale di Collegigliato, una lunga strada a tratti dissestata, che porta fuori città verso le colline omonime quando scorgiamo in alto, lontana, immersa nella nebbia Villa Sbertoli. Ha un aspetto davvero spettrale, con i tre grandi archi bui della piccionaia, simili ad orbite vuote. Mette davvero i brividi, soprattutto in una giornata di tempo cattivo. Non è sempre stato così. 

Quella che oggi è conosciuta come Villa Sbertoli fa parte in realtà di un complesso di due ville di pregevole fattura: Villa Franchini Taviani e Villa Tanzi Lugaro con annesse case coloniche. Costruite tra il XVII ed il XVIII sec., costituivano due esempi di dimore signorili di gran pregio storico ed architettonico. La prima in posizione più elevata sul Colle Gelato (come veniva chiamato Collegigliato fino all’800) e non visibile dalla città, aveva accesso da un viale di cipressi che si dipartiva da Via di Bigiano fino ad un grande cancello che immetteva nel grande giardino; e questo è stato anche l’ingresso al complesso di Ville Sbertoli fino al 1894. La seconda, più antica e più sofisticata nello stile, è posta in una posizione molto panoramica sulla parte più bassa del colle, ma su un declivio pronunciato e visibile dalla Città. Ed arriviamo agli anni cruciali in cui prese corpo quello che divenne il Manicomio di Pistoia, quelli compresi tra il 1868 ed il 1876. 

Agostino Sbertoli nacque a Fivizzano nel 1827. Finiti gli studi, lavorò come assistente al manicomio di Pesaro. Nel 1862 sposò la marchesa Laura Antaldi e qualche anno dopo si trasferì a Pistoia dove intendeva aprire una casa di cura per malati di mente. Prese in affitto Villa Franchini Taviani e arrivarono i primi malati. Le richieste ed il numero di pazienti crebbe rapidamente; così Villa Sbertoli divenne “Ville Sbertoli”, un complesso di due ville settecentesche con un grande Parco e diversi poderi colonici. Il medico acquistò Villa Franchini Taviani nel 1871 e poi nel 1876 Villa Tanzi Lugaro.  Nel tempo, si abbandonò l’idea di manicomi somiglianti a giganteschi ospedali per abbracciare la filosofia del villaggio costituito da tante strutture funzionali, in una comunità ben strutturata ed autosufficiente. Nasceva una sorta di archetipo del policlinico moderno. Un simile sviluppo si ebbe anche nel famigerato e non lontano complesso manicomiale di Volterra. Così alle due Ville monumentali si aggiunsero altri edifici più piccoli e semplici disseminati nel parco. Il complesso di Ville Sbertoli finì per organizzarsi in base al censo e al sesso della clientela. Villa Tanzi Lugaro, rinominata Villa di Mezzogiorno, fu destinata ad una clientela più facoltosa di ambo i sessi. Scorrendo l’archivio dei ricoverati anno per anno, scopriamo che tantissima umanità è passata da qui e moltissimi nomi illustri compaiono come pazienti della struttura; il che mi induce a pensare che si ricorresse più spesso di quanto si immagini allo stratagemma della pazzia, per evitare scandali ed il carcere. Pensiamo ai tanti delitti d’onore: uxoricidi o duelli “all’ultimo sangue”. Villa Franchini Taviani fu destinata alle “signore”, mentre un villino di più recente costruzione fu assegnato ai “signori”. Il complesso mutò negli anni, con riorganizzazioni e nuove costruzioni fino al 1898 anno in cui Agostino Sbertoli morì e il complesso passò al figlio Nino il quale anch’egli ingrandì il complesso, dotandolo di un nuovo ingresso su via Collegigliato nel 1913, che è rimasto tale all’attualità. Dopo nemmeno quaranta anni sul Collegigliato si era formato un complesso di ben 15 edifici di cui alcuni di gran pregio, con un grande parco di alberi ad alto fusto quali querce, pini marittimi, cedri. Una vera oasi nell’oasi delle colline toscane. Nel 1920 Nino Sbertoli vende tutto ad alcuni privati. Nel dopoguerra il complesso viene acquisito dalla Provincia che vuole dotarsi di un ospedale psichiatrico pubblico e termina la fase per così dire privata del complesso che continua a mantenere il nome in onore del grande psichiatra che l’aveva creato. Ed arriviamo lentamente al 1978 anno in cui la Legge 180, cd. Basaglia, decide la chiusura di tutti i manicomi e si chiude finalmente una lunga stagione di ipocrisie e illegalità. Il manicomio era un carcere senza una vera pena e soprattutto senza una fine della pena, dove la costrizione, la tortura e l’abuso erano la regola. Un luogo dove spesso finivano persone scomode di cui ci si voleva liberare o semplicemente indifese. Molti pazienti erano affetti da ritardi o sindromi che oggi li fanno ritenere portatori di Handicap piuttosto che pazzi o da malattie innocue come l’epilessia. Ma la cosa più importante, che fu la ragione della loro chiusura, il manicomio non tendeva alla cura ed al reinserimento del malato, ma solo alla brutale contenzione. In molti casi gli sventurati reclusi, non protetti da alcuno e di cui nessuno avrebbe reclamato notizie o il corpo, erano oggetto di azzardate e pericolose sperimentazioni. Il mondo cd normale non doveva e non voleva vedere quello che era rinchiuso al di là del cancello.

All’attualità il complesso Ville Sbertoli versa in uno stato di degrado e completo abbandono. Il parco in alcuni tratti è una selva impenetrabile e i tanti vialetti sono ormai un ricordo, seppelliti da erbacce alte mezzo metro. Delle due settecentesche dimore, Villa Tanzi Lugaro conserva ancora un grande fascino nonostante la decadenza. Con la sua imponente facciata, il salone superbamente affrescato, pavimenti maiolicati che lasciano ancora intravedere una superba originaria bellezza, un ballatoio affacciante sul salone principale dotato di ringhiere finemente lavorate di gusto squisitamente barocco, è ormai identificata con l’intero complesso “Ville Sbertoli”, ne è diventata l’icona. L’aspro contrasto tra il glorioso passato che affiora nella polvere e la tristezza mista a dolore di cui oggi è immagine (per la fatiscenza e per quello che ha rappresentato fino a nemmeno 40 anni fa) rende questa grande antica villa molto ambita dai cosiddetti Urban Explorers, o Urbex come amano farsi chiamare, di tutta Europa. Come tutti i luoghi abbandonati, è circondato da lugubri leggende. Tuttavia, Villa Sbertoli (continuerò a chiamarla così d’ora in poi) ha qualcosa di sinistro legata al suo recente passato che lo rende un luogo decisamente spaventoso che scoraggia le persone con i nervi meno saldi e i meno razionali. Più di un abitante della zona giura di avere sentito lamenti, grida e rumori provenienti dalla Villa. C’è anche chi ha sentito di notte suonare il pianoforte del salone. A tutte queste cose, ancorché vere, può essere data una spiegazione. La villa è in stato di forte decadimento e non è difficile che si verifichino di frequente piccoli crolli e distacchi di materiale, ed ecco spiegati i rumori. Le grida o i lamenti poterebbero essere riferite a bande di ragazzini che per scommessa o amore del brivido si avventurano nel complesso; oppure al vento, spesso forte su queste colline, che si infila nelle finestre fatiscenti e negli spazi ormai vuoti. Per quanto riguarda il pianoforte dirò a breve. Un’altra diffusa leggenda su Villa Sbertoli è che lo Sbertoli creò il Manicomio in seguito, per permettere ad uno dei suoi figli affetto da turbe mentali di essere curato e di essere curato in un luogo che gli era familiare e non internato in altri manicomi. Di questa leggenda non ci sono riscontri reali, ma moltissimi in zona sono convinti che la Villa sia infestata dal fantasma di questo ragazzo e da altri sventurati come lui.

Leggende o non leggende, questo è un luogo che non lascia certo indifferenti e regala emozioni forti a chi si avventura dentro; e già dall’ingresso su Via Collegigliato. Il grande cancello grigio chiuso, (ma rotto) con la casa di mattoni rossi a due piani del custode del tempo sulla sinistra, immette su un viale che si inerpica per quello che era il grande parco. La sensazione netta che si prova salendo nel fitto bosco è che la struttura sia ancora viva, operante… anche per la presenza di qualche cartello moderno di pericolo che è stato messo dalle ASL in tempi più recenti. Non si può fare a meno di guardarsi continuamente attorno e trattenere il respiro in silenzio, per ascoltare eventuali passi o voci. Una volta dentro, la densità di alberi impedisce di percepire la struttura e la collocazione dei vari edifici nell’area; persino le due Ville di dimensioni ragguardevoli non si vedono. Così percorsa la strada fino all’emiciclo finale, dove i vialetti che salgono più su sono sbarrati da grandi reti, non ci si è fatti un’idea precisa…almeno per chi come noi è lì per la prima volta. Trovare la strada è meno semplice di quello che possa sembrare. La Villa (Tanzi Lugaro) che cerchiamo dovrebbe essere in basso sulla sinistra, ma non abbiamo visto strade laterali che potessero condurre lì. Così ricorriamo alla tecnologia. Non essendo ancora in possesso di un drone, attiviamo il GPS e la mappa satellitare che conferma il fatto che la villa è in una posizione defilata rispetto a tutto il complesso e che dal viale principale di accesso non ci sono strade carrabili che possano sembrare un accesso alla grande Villa. Imbocchiamo un primo piccolo viottolo sterrato che dopo un centinaio di metri arriva in una casa colonica abbandonata. Da qui appare in alto in tutta la sua grave imponenza la Villa. Ma non è raggiungibile a causa dalla erta salita coperta di erba altissima e sterpaglia. Ci deve essere sicuramente un altro modo. Una cinquantina di metri più su, sulla sinistra, in una curva della salita che piega a destra, occultato da una catasta di rami secchi c’è un vialetto più piccolo, invaso da rami. Percorsi qualche decina di metri, appaiono antichi pilastri e un cancello chiuso; ma salendo nella boscaglia ci si accorge che lì dove il muro di cinta si interrompe c’è un passaggio in un albero cavo che conduce ad un piccolo cancelletto arrugginito, questo aperto, proprio alle spalle del cancello appena visto. Bisogna fare molto attenzione perché il percorso è scivoloso ed accidentato. Finalmente siamo dentro, ma ho i pantaloni e le scarpe zuppi per l’erba bagnata dalla pioggia dei giorni scorsi. Possiamo ammirare la imponente facciata che al centro in alto è sormontata dai tre archi della grande piccionaia. Trovo la piccola targa bianca nel muro che ci conferma essere quella Villa Tanzi Lugaro. Tutte le finestre hanno sbarre e la porta principale con la vecchia elegante pensilina è murata. Bisognerà trovare un varco da qualche parte. Anche nel retro non sembra esserci via di ingresso e il buio, impenetrabile alle nostre piccole torce, che si scorge tra le grate delle finestre basse non ci aiuta. Finalmente, nella facciata laterale troviamo un accesso. Una finestra bassa con la grata divelta per metà permette il passaggio, anche se non agevole, di una persona. Quello che farà esitare qualcuno è che questa entrata immette in una serie di ambienti oscuri che non si vede dove conducano, a meno di non essere già stati qui. Insomma, entrare dentro la Villa è un vero e proprio “salto nel buio” che aggiunge altra adrenalina a quella già in circolo. Entrati, percorriamo stanze piene di detriti, calcinacci, resti indistinti di mobilio che appaiono nella luce delle nostre torce. Porto una luce di quella con fascia, che si mettono in fronte per illuminare dove si guarda ed avere le mani libere. Il mio sguardo illumina le pareti che sono piene di disegni dai colori vividi e tratti infantili; ritraggono case, alberi, fiori, strani personaggi con la barba e tutti armati di fucili. La mia prima sensazione è di “dejà vu”. Mi viene, poi, in mente una scena di “profondo rosso”, quando il giornalista entra nella villa e scopre la stanza dell’omicidio e i disegni fatti dai bambini testimoni del fatto. Mi sembra di rivivere quelle sensazioni e quella scena. Se non fosse che la pellicola è del 1975, precedente quindi la chiusura del manicomio mi verrebbe da pensare che Dario Argento fosse stato qui e da qui avesse preso ispirazione. Attraversiamo queste tetre stanze e attraverso un corridoio da cui arriva una tenue luce, come d’incanto, appare una salone meraviglioso. Con un ballatoio che corre lungo il primo piano chiuso da una ringhiera bianca dal disegno sinuoso, affreschi alle pareti e sulla volta dell’alto soffitto. Sotto uno dei due grandi affreschi delle pareti c’è un pianoforte verticale ormai a pezzi: non ha più la tastiera e manca il pannello di chiusura frontale che nasconde le corde e i martelletti di percussione. Tornando ora alle legende sinistre di cui è ammantata questa dimora, è probabile che nelle notti tempestose il vento forte che spira sulle pendici di questa collina penetri dalle finestre aperte e dalle tante fessure e si scontri con il cordame del pianoforte facendolo suonare. Non vorrei, comunque, capitare da queste parti quando questo dovesse succedere! Continuiamo l’esplorazione della villa nei due piani, intuendo particolari che dalla bellezza dei saloni ci riportano al tragico recente passato. Altoparlanti, lettini con cinghie, spioncini di osservazione sulle porte, una apparecchiatura per l’elettroterapia. Sul muro di un bagno al primo piano, troviamo una poesia scritta in una calligrafia incerta ed elementare, accanto a disegni che mettono una certa inquietudine. C’è scritto:

“…Alla luce c'è sicuro

Per via oscura ma se tutto questo è come è

Che mi Ritrovi a casa mia

E non Rimanga Rinserrato

E che non mi Portino via

E che sappia

E non mi succede mai più

E che mi Ritrovi bene

E che non Patisca

E che non moia

E che abbia salute…” 

Saliamo, infine, alla piccionaia. Dall'interno della villa possiamo osservare i tre grandi archi che dalla lontana vallata comunicano una grande inquietudine. Uscendo dalla Villa dopo più di un’ora di esplorazione, scopriamo un accesso all'esterno più comodo di quello da dove siamo arrivati. Percorriamo il viale centrale fino alla scuola infermieri, il bar, la falegnameria, l’obitorio ed altri edifici che compongono questo enorme complesso manicomiale. Sta facendosi scuro, è tempo di abbandonare il complesso. All'ingresso troviamo un gruppetto di curiosi che borbotta di fantasmi e strane leggende. Ci vedono uscire dal cancello. Naturalmente non riveliamo nulla di quello che abbiamo fatto e visto, nonostante il loro sguardo interrogativo sembri desiderare questo. Dopo poco si allontanano. Ora mi sento come Dante quando torna dal viaggio negli inferi: e quindi “uscimmo a riveder le stelle” …  e con una fame da lupi.  

IL VIDEO

L'esplorazione è stata fatta nel rispetto dei luoghi e degli eventuali cartelli di divieto presenti. Nessuna intrusione in luoghi protetti da chiusure, barriere, cancelli o in presenza di divieti è stata fatta. Nulla è stato toccato e/o prelevato. 

 

IL PRESENTE ARTICOLO NON COSTITUISCE IN NESSUN MODO UN INVITO O UN INCORAGGIAMENTO ALL'ESPLORAZIONE. I LUOGHI SONO FATISCENTI E PERICOLOSI. CHI LO FACESSE, SE NE ASSUME OGNI CONSAPEVOLE RISCHIO. AD OGNI BUON CONTO RICORDATE SEMPRE LA REGOLA "LEAVE ONLY FOOTPRINTS AND TAKE ONLY PHOTOS", LASCIATE SOLO IMPRONTE E NON PRENDETE NULLA SE NON IMMAGINI.


 

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