PYRAMIDEN, LA CITTA' MINERARIA ABBANDONATA

TIPOLOGIA: città mineraria abbandonata

STATO DEI LUOGHI: da discreto a fatiscente

MOTIVO ABBANDONO: esaurimento giacimenti/ altro

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Svalbard

Esistono luoghi del pianeta dove è ancora possibile provare un senso di libertà ed insieme smarrimento, luoghi dove la natura è ancora pienamente padrona e la resistenza fisica e psichica è messa a dura prova. Uno di questi luoghi è certamente l’arcipelago delle Svalbard, una manciata di isole a ridosso della banchisa artica, talmente remote da essere quasi invisibili sulle carte geografiche. Politicamente appartenente alla Norvegia, è in realtà un territorio di frontiera, per secoli patria dei cacciatori di balene. Grazie al Trattato delle Svalbard del 1920, le sue risorse naturali sono economicamente utilizzabili da tutti i paesi firmatari dell’accordo; i suoi ricchi giacimenti di carbone sono sfruttati da circa un secolo e mezzo. Le Svalbard sono anche un passaporto per l’Artico e da qui sono partite le leggendarie spedizioni per il Polo Nord. Una terra dura, dal clima estremo. La terra del "sole di mezzanotte" che fa sì che sia sempre giorno per quattro mesi, ma anche la terra della spaventosa notte polare in cui da novembre a fine gennaio - invece - è sempre buio e l’unica luce che rompe le tenebre è quella della algida aurora boreale  Le Svalbard sono la patria di uno dei predatori più temibili, il grande Orso Polare, più numeroso dei residenti stessi e che tutto condiziona con la sua presenza.

Pyramiden

Le Isole Svalbard custodiscono un relitto di un’epoca ormai tramontata, ma che è possibile magicamente rivivere negli spazi sconfinati e nel silenzio assordante delle sue lande desolate: PYRAMIDEN. Pyramiden, Pyramida in russo, è un insediamento minerario abbandonato di epoca sovietica sull’isola di Spitzbergen, sul 79° parallelo latitudine nord. Il nome lo prende dalla montagna a forma di piramide che la sovrasta. Furono gli Svedesi a fondare la miniera nel 1910. Subito si resero conto delle difficoltà di lavorare in condizioni di totale isolamento a quelle latitudini e nel 1927 cedettero la miniera ad una società russa, la Russkij Grumant, che qualche anno dopo la cedette alla Compagnia mineraria russa Arktikugol che è ancora proprietaria della miniera. Distrutta dai tedeschi durante la seconda mondiale, fu ricostruita ancora più grandiosa durante la cd. "guerra fredda", anche allo scopo di celebrare la grandezza degli ideali sovietici. Come una città, era dotata di tutto: aveva un teatro cinema, scuole di ballo e di musica, una scuola, un asilo, un ospedale modernissimo, una biblioteca, una piscina con acqua di mare riscaldata, palestre, campi da basket e da calcetto, una grande mensa, poiché nelle case non c’erano cucine e il cibo veniva preparato per tutti in un unico edificio. Le case erano in realtà tre edifici residenziali: uno per le famiglie chiamato la “crazy house” (сумасшедший дом) in contrapposizione con l’austerità degli altri due; uno per gli uomini chiamato Londra (Лондон); uno per le donne chiamato Parigi (Париж). A partire dagli anni '60 Pyramiden si era ingrandita molto superando i 1000 abitanti, al punto che venne anche creata una sezione del KGB con un suo apposito edificio. 

Le ragioni dell’abbandono della città furono molteplici. A parte il crollo dell’URSS e la fine dell’era sovietica, la miniera cominciò a non essere più produttiva. Negli ultimi anni di attività si estrasse il carbone appena sufficiente al mantenimento della città, attività estrattiva che cessò definitivamente nel 1998. Fu, però, il disastro aereo del 1996 a determinare l’inizio della fine di Pyramiden. Il volo 2801 Vnukovo Airlines, proveniente da Mosca e diretto a Longyearbyen, con a bordo residenti di Pyramiden e Barentsburg, alle 10.22 del 29 agosto 1996 si schiantò contro la montagna Operafjellet poco prima di virare verso l’aeroporto di Longyearbyen. Gli ultimi abitanti lasciarono la città il 10 ottobre 1998. Alcuni tornarono in patria, altri si trasferirono a Barentsburg, una miniera russa ancora oggi parzialmente attiva (clicca sul link). 

Oggi la Arktikugol mantiene ancora una sorta di controllo sull’insediamento. Sei persone a turno vivono qui manutenendo gli impianti, come se un giorno o l’altro la città dovesse tornare a vivere. Ma sappiamo tutti che questo è impossibile. L’orso sovietico ormai è addormentato per sempre e il suo “insediamento modello” ormai mummificato tra i ghiacci e le nere montagne. Dal 2012 è stato rimesso in funzione il vecchio albergo della città, il Tulipan Hotel, dove vivono i guardiani della miniera. Uno tra tutti: Aleksander Romanovskij, detto “Sasha” divenuto ormai leggendario tra chi ha visitato la miniera.  Se lo doveste incontrare, chiedetegli di raccontarvi di quella notte quando un orso polare ha fatto irruzione nell'Hotel Tulipano da una finestra al pian terreno devastando il barCome detto, a turni ci sono anche dei tecnici manutentori. Le comunicazioni con il mondo esterno possono avvenire solo tramite telefoni satellitari. I cellulari funzionano solo a Longyearbyen e Barentsburg.

 

La nostra esplorazione

 Le Svalbard sono ben note tra i viaggiatori in cerca di qualcosa di particolare e nella comunità degli Urban Explorers, per gli insediamenti minerari abbandonati, in cima a tutti Pyramiden. Noi che condividiamo entrambe le passioni avevamo da tempo in mente di andare lassù, per esplorare Pyramiden e non solo. E’ il nostro terzo viaggio in Norvegia, abbiamo già visto isole remote dove la vita è abbastanza complicata, ma niente è come le Svalbard. Fa freddo anche in estate (2-4 gradi). Ci sono circa una trentina di isole di cui solo una è abitata: Spitzbergen. Se escludiamo la città mineraria di Barentsburg che conta 400 residenti, Longyearbyen è l’unico vero centro abitato di Spitzbergen e di tutte le Svalbard; con appena duemila abitanti ed è il luogo abitato più a nord del pianeta. Costituito per lo più da bassi edifici di legno colorato è molto lontano dal nostro concetto di centro urbano. Stretta tra l’Isfjorden e due alte montagne, forma una sorta di T rovesciata. Ha come singolari confini tre cartelli di “pericolo orsi” oltre i quali è vietato spingersi senza portare con sé un fucile: uno sulla strada che proviene dall'aeroporto, nei pressi del vecchio molo; un altro sul lato opposto, poco oltre la fattoria dei cani da slitta Villmarkessenter; uno in cima allo stradone che si incunea tra le scure montagne, lungo il quale prevalentemente si sviluppa il villaggio. Gli orsi, si sa, non sanno leggere ed il pericolo è presente anche dentro il centro abitato. Per questo le case di Longyearbyen sono sempre aperte, per offrire un riparo occasionale quanto immediato in caso di brutti incontri. E la gente qui gira sempre armata; prova ne sono i cartelli di divieto di introdurre armi posto fuori dagli esercizi commerciali.

IL CARTELLO CHE SEGNA IL LIMITE DELLA ZONA "SICURA"

 

Anche la nostra casetta, un Rorbu (nda: case tradizionali dei pescatori) affacciato sull’Isfjorden, era aperta e nessuno era ad accoglierci, darci le chiavi e farci raccomandazioni.  Qui si usa così. Dal momento che non ci sono vere strade ed una toponomastica, si arriva con una mappa del luogo ed una foto della casa… e si entra.

Siamo giunti, dopo un breve soggiorno ad Oslo, con un volo della Norvegian che in poco più di tre ore ci ha portato a Longyearbyen. Ci ha accolto subito un grande orso polare impagliato che osserva i bagagli scivolare sull’unico nastro del piccolo aeroporto.

Fuori ci sono le corriere che aspettano l’arrivo del volo giornaliero per condurre a destinazione i viaggiatori. Qui i punti di riferimento per le fermate sono gli edifici principali e la nostra fermata è Mary Ann’s Polarriggs, una sorta di fattoria-albergo ricavata da vecchi impianti di trivellazione.

Appena scesi, una sensazione di inquietudine ci prende; abbiamo solo una mappa disegnata ed una foto per trovare la casa e ci sembra di essere dentro un romanzo di Jack London. Il cielo di incredibili sfumature celeste pastello è ingombro di nuvole blu indaco e rosa acceso, tutto attorno silenzio, si sente solo il rumore del vento e qualche macchina lontana. Le persone scese con noi dalla corriera si sono allontanate nel nulla assoluto, sicure della loro strada. Non c’è nessuno a cui chiedere informazioni al momento, ma vediamo la strada che porta al villaggio e accanto a noi il fiume che ci divide da esso.

Non sappiamo nemmeno noi come, ma ce l’abbiamo fatta. Siamo ora sistemati e possiamo andare a fare la spesa. 



                                                                                                                                                                                                                                   Mary Ann's Polarrigs

Come dicevamo, Longyearbyen si sviluppa per lo più lungo una larga strada in salita, male asfaltata, che corre verso una gola fiancheggiata da alte e scure montagne. Il cuore dell’abitato è situato in una strada parallela a quella principale, dove c’è una scultura raffigurante un minatore e dove si trova un po’ di vita: qualche posto dove mangiare, una banca, un ufficio postale, qualche bar e persino un supermercato Coop. Fuori, l’immancabile cartello di “divieto di introdurre armi”. I prezzi del supermercato sono piuttosto alti, ma è fornito di tutto. Finita la spesa scendiamo verso il fiordo, verso casa. E’ ormai tardi, ma qui è ancora pieno giorno e lo sarà fino a domani: ad agosto il sole non tramonta mai.

LA STATUA DEL MINATORE

28 agosto La mattina alle 8.00 ci viene a prendere Delphina, una ragazza francese dello staff di Poliarctici cui abbiamo deciso di affidarci per andare a Pyramiden. Sarà lei la nostra guida armata della giornata. Pyramiden è a circa una cinquantina di chilometri da Longyearbyen, in un’ansa stretta e profonda del’Isfjorden, il Billefjorden, proprio di fronte ad un grande ghiacciaio: il Nordenskjøldbree. Il battello è un RIB con 4 sedili esterni ed una parte posteriore coperta in caso di vento forte o mare mosso. Ci sistemiamo fuori per fotografare e filmare, ma in mare aperto c’è molto vento e mare formato e siamo costretti a riparare sotto la cappotta.

MOLO DI LONGYEARBYEN

Non appena entrati nella parte più interna del fiordo il vento scompare e l’acqua si fa improvvisamente liscia come olio. Nell’ultimo tratto che ci separa da Pyramiden possiamo stare fuori a fotografare. Incontriamo diverse balene, gabbiani artici, pulcinella e molti altri uccelli. Qualche curiosa foca baffuta si avvicina e ci scruta prima di riprendere la pesca. Sullo sfondo l’imponente e abbacinante ghiacciaio che si approssima sempre più e ci dice che siamo vicini. 

La calma è irreale, il gommone scivola veloce sull’acqua ferma come uno specchio e l’alito gelido del ghiacciaio comincia a farsi sentire. Pyramiden è nella baia di Adolfbukta, una sorta di profonda conca alla fine del del Billefjorden, e si svela a poco a poco che ci si avvicina.  Il candore del ghiaccio del Nordenskjøldbree si fronteggia e contrappone al nero dei cumuli di carbone sparsi ovunque. Il silenzio è totale, non si sente nemmeno il vento, schermato da queste alte montagne. Devo ammetterlo, l’arrivo a Pyramiden è qualcosa che mette paura e le sensazioni di disagio non si dimenticano. Sembra il gigantesco set di un hollywoodiano film Horror e l’unico fucile di cui siamo dotati ci sembra inadeguato, quasi ridicolo.

PANORAMICA DI PYRAMIDEN. SI VEDE BENE LA MONTAGNA CHE DA IL NOME ALLA CITTA' A FORMA DI PIRAMIDE

La piccola darsena dove si attracca è sovrastata da una gigantesca struttura in legno e ferro dove probabilmente scorreva il carbone da imbarcare sulle navi. Sotto la montagna, la vecchia centrale elettrica ridotta ormai ad un relitto ed un edificio azzurrino, forse un magazzino di stoccaggio, con una grande scritta in cirillico пирамида: PIRAMIDA. Ci liberiamo delle tute artiche e degli stivali per essere più mobili nella esplorazione della città abbandonata



Camminando dal molo verso la città si incontrano strani edifici, probabili depositi di stoccaggio del carbone, con i caratteristici camminamenti di legno tra un edificio e l’altro

Una delle prime cose che si incontrano è una grande scultura di ferro rosso a forma di piramide su un basamento di pietra con la scritta Pyramida; serviva a dare il benvenuto a chi arrivava e segnava l’ingresso in città. Si può continuare sulla strada di terra battuta o camminare su una lunga e stretta passerella sopraelevata di legno che serve quando arriva la neve e ricopre tutto di un soffice e spesso manto bianco; corre lungo tutta la città. Bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi perché le tavole in alcuni punti sono mezzo marcite e instabili. La città con i suoi alti edifici è ormai ben visibile e si sente il frastuono delle centinaia di gabbiani che se ne sono appropriati per nidificare. 


Pyramiden non è un semplice insediamento minerario. Oltre la miniera e le strutture di servizio, quello che salta a gli occhi subito è la sensazione di essere in una vera e propria città sovietica in piena guerra fredda, con edifici sproporzionati ed in evidente distonia rispetto al luogo dove si trovano: come un pezzo di Mosca o Stalingrado posato per magia sulle terre polari

L’intento celebrativo è chiaro ed anche la funzione di “portale” verso l’Europa. C’è chi ipotizza che per questo scopo Pyramiden e Barentsburg furono create, nonostante le difficoltà di estrarre il carbone in questi luoghi: per essere vicini e presenti in Europa.

Ma forse le mire espansionistiche non c’entrano nulla ed il fatto che queste miniere siano esistite fino a pochi anni fa (Pyramiden), o parzialmente esistano ancora (Barentsburg), è solo dovuto alla eccezionale capacità di adattamento dei russi ai climi estremi, alla loro tenacia nel portare avanti i progetti. Ed una scritta sulla montagna fatta dai minatori negli anni ’60, MIRU MIR (pace nel mondo), sembra confermarlo. 


Fatto sta che a Pyramiden si possono vivere sensazioni grandiose, dovute non solo all’esplorare una grande città abbandonata, ma all’aver quasi aperto una finestra nel tempo ed essere entrati in un fotogramma della storia di decenni addietro. Il tempo qui si è fermato più che altrove perché niente si conserva meglio che nel gelido artico. Possiamo dire che si è congelato. Si dice che in un ipotetico futuro in cui l’umanità è ormai estinta, Pyramiden sarebbe una delle vestigia umane che si conserverebbero più a lungo. E un anticipo di questo lugubre scenario lo fornisce Pyramiden ormai popolata solo di animali: volpi artiche, uccelli di ogni tipo. A farla da padrone centinaia, forse migliaia, di chiassosi gabbiani che hanno occupato ogni finestra o tetto disponibile per nidificare

La lunghissima passerella di legno grigiastro arriva alla “crazy house” con un enorme prato ingombro di altalene e giochi. Era qui che i bambini passano molte ore, quando il clima lo permetteva, a giocare ed è questo enorme spiazzo che ha probabilmente dato il soprannome all’edificio delle famiglie.


In alto, lontana sul ripido e nerastro fianco della montagna, la miniera.



 

Passando oltre la crazy house, sulla sinistra si trovano due edifici: il Tulipan Hotel e alle spalle uno marrone scuro: Londra, quello dedicato agli uomini soli.


Qui si arriva al cuore di Pyramiden: l’enorme piazza in leggera salita sui cui si affacciavano gli edifici principali e su cui si svolgeva prevalentemente la vita civile della comunità. La crazy house occupa il lato orientale della piazza. Sul lato sud, si affacciano svariati edifici tra cui la mensa, la scuola e, dietro di essa, l’ospedale. Sul lato nord, l’edificio delle donne sole, Parigi, quello del KGB e nella parte alta la piscina. Al centro della piazza, c’è un grande ed eloquente cartellone. Raffigurante l’emisfero nord con una stella rossa, con dentro evidenziato il 79° parallelo nord, è sormontato dal simbolo delle Svalbard: l’orso polare. Intorno, in una cornice nera, la scritta in oro in alfabeto cirillico: ARKTIKUGOL SPITZBERGEN. La piazza è chiusa sul lato occidentale dal grande palazzo della Cultura e della musica. Di fronte, questo palazzo, nella parte più alta della piazza c’è un’austera scultura di Lenin, la sua icona più settentrionale esistente, con lo sguardo rivolto ad est. Ovunque, simboli della gloria socialista sovietica.

Sopra: L'icona di Lenin più a nord del mondo davanti al palazzo della "cultura. 

 

A destra: Delphina, la nostra scorta armata



IL PALAZZO DELLA CULTURA


La nostra guida ci tiene d’occhio, ma ci lascia abbastanza liberi di girare. Purtroppo, non tutti gli edifici sono accessibili. A parte la sede del KGB che è da sempre inavvicinabile, molti edifici sono sigillati, a causa della pericolosità ma anche dei furti e degli atti vandalici. Se l’esterno regala emozioni strane, all’interno degli edifici è ancora più forte la sensazione di essere in una macchina del tempo. Dai soffitti pendono brandelli di lampadari e fili, vecchie foto e locandine sono ancora appese ai muri o per terra nelle stanze semibuie, telefoni e apparecchi vecchi di decenni.



Una grande palestra con campo da basket e calcetto; si possono solo immaginare le sfide sportive di cui sono state testimoni queste mura nella penombra e nel silenzio greve di oggi


In una stanza della casa della musica, alcune Balalaika, il tipico strumento a corda, altri strumenti più comuni come fisarmoniche, batterie; un pianoforte verticale con lo spartito aperto, come se il pianista si fosse alzato da poco dal suo sediolino. E’ un Krasnyy oktyabrya, un “Ottobre rosso”, di fabbricazione sovietica. E’ ancora accordato. Una stanza per la danza con la sbarra per gli esercizi.



Troviamo anche una palestra per la danza con la sbarra per gli esercizi. 


Nella “Casa della cultura” un ragazzo russo sta lavorando alla catalogazione e restauro delle vecchie “pizze” sovietiche e dei proiettori. E’ molto disponibile e ci fa vedere il suo laboratorio, la stanza di proiezione con i macchinari e, in tutto il suo splendore, la sala cinema teatro tutta illuminata. C’è un progetto di aprire un festival del cinema qui, che sarebbe il festival più estremo del pianeta, con il quale recuperare il patrimonio culturale e cinematografico sovietico. Alcuni anni fa i film erano tutti aggrovigliati sul pavimento. Ora molti sono stati riavvolti sui supporti, rimessi nelle pizze, riuniti laddove rotti. Insomma, non tutto è perduto.


Sulla sinistra del palazzo della cultura c'è la Piscina che fu utilizzata anche dagli abitanti di Longyearbyen che non ne avevano una. 

LA PISCINA

Quando Pyramiden raggiunse un certo sviluppo, si sentì la necessità di portare una sezione del KGB per controllare la popolazione residente che era a contatto con l'occidente in qualche modo. I cittadini erano schedati, con fascicoli personali ricchi di ogni tipo di informazioni: dai gusti cinematografici, lerrari, musicali, sessuali, alle relazioni, amicizie etc.

IL LUGUBRE EDIFICIO CHE OSPITAVA IL KGB


IN QUEI RIQUADRI VENIVANO AFFISSI I RITRATTI DEI LAVORATORI MODELLO DELL'ANNO


LA MENSA

Abbiamo visto decine di città fantasma, di luoghi carichi di storie drammatiche, ma le emozioni che ci ha regalato Pyramiden sono state davvero uniche, soprattutto per la bellezza del contesto ambientale in cui si trova.

E’ tempo di lasciare la Ghost Town, tornare al battello che attraverso il fiordo ci riporterà alla base. Longyearbyen che ci era apparsa un luogo irreale e fuori dal mondo, al confronto ora ci sembra affollata e piena di vita.

RINGRAZIAMENTI

Marco Fenili di 4WIND

Stefano Poli di POLIARCTICI

Tutti i ragazzi di Pyramiden per i suggerimenti, l'assistenza e l'accoglienza

 

IL VIDEO