EBOLI La "Strangulatora"

.                                            di Paolo Sgroia

Nella foto: la dimora di Vico I Barbacani, indicata come abitazione della Strangulatora.

A Eboli, in Vico I Barbacani, la traversa proprio di fronte all’entrata del Mulino Morrone, la prima abitazione sulla destra è indicata come la dimora dove viveva la Strangulatora.
La Strangulatora era chiamata al capezzale dei morenti per aiutarli nel trapasso. Era definita l’Angelo della buona morte. Era una donna che faceva questo “mestiere” per alleviare i dolori e le sofferenze di chi stava per morire. La Chiesa condannava questo tipo di pratica che altro non era se non l’eutanasia di oggi. Un “mestiere” che svolgevano solo le donne, si tramandava da madre in figlia. Questa pratica si svolgeva non solo a Eboli ma anche in altre zone d'Italia. Per esempio in Sardegna la Strangulatora era chiamata "femina accabadora" (s'accabadóra, lett. "colei che finisce", deriva dal sardo s'acabbu, "la fine"). Una donna che uccideva persone anziane in condizioni di malattia tali da richiedere l'eutanasia. Diverse sono le pratiche di uccisione utilizzate dalla femmina “accabadora”. Entrava nella stanza del morente vestita di nero con il volto coperto, e finiva il moribondo tramite soffocamento con un cuscino, oppure colpendolo sulla fronte tramite un bastone d'ulivo o dietro la nuca con un colpo secco, o ancora strangolandolo ponendo il collo tra le sue gambe. Lo strumento più utilizzato, del quale si trovano ancor oggi dei reperti, era una sorta di martello di legno ottenuto tagliando un ramo d’ulivo.


Si hanno prove di pratiche della femmina accabadora fino agli anni venti del '900. Quello dell'accabadora non era considerato il gesto di un'assassina ma era visto dalla comunità come un gesto amorevole e pietoso verso un sofferente.
La pratica a Eboli era simile a quella della Sardegna. La strangulatora per scaramanzia non chiedeva nulla a chi la chiamava, perché essere pagati per finire un moribondo portava male. La Strangulatora tutta vestita di nero e incappucciata arrivava a notte inoltrata nella casa del morente, quando era buio e non c’era gente per le strade. Appena giunta nell’abitazione tutti uscivano fuori dalla stanza per pregare. Lei frattanto si avvicinava al letto del giacente e una volta chiesto il perdono a Dio soffocava il morente con il cuscino, e se non ci riusciva allora usava il bastone d’ulivo, o altre pratiche come quelle usate in Sardegna. L’eutanasia si usava solo quando i dottori esplicitamente dicevano che non c'era più nulla da fare per il malato. La Strangulatora svolgeva da sola questo macabro rito, ed era accompagnata da una persona, di solito la figlia, solo quando doveva tramandare il suo “lavoro”. Dopo che era avvenuto il trapasso, la Strangulatora restava in preghiera. Non se ne conosce il motivo, forse per continuare a chiedere perdono per l’omicidio appena commesso oppure per far credere a qualcuno che lei ufficialmente era lì solo per pregare e non per strangolare il moribondo, pratica vietata non solo dalla Chiesa ma anche dalla Legge. Una volta avvenuto il decesso ed il susseguente momento di preghiera, la Strangulatora usciva dalla stanza con una candela accesa tra le mani e si dileguava velocemente tra i vicoli bui senza farsi seguire perché nessuno doveva conoscere la sua identità. Il rischio di essere arrestata e portata al patibolo era altissimo.

CONDIVIDI SU